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ADL Cobas > Blog > Campagne Pubbliche > L’emergenza del futuro.
Campagne Pubbliche

L’emergenza del futuro.

adlcobas
di adlcobas Pubblicato 19 Marzo 2020 7 minuti di lettura 1k Visualizzazioni
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7 minuti di lettura
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Naomi Klein, nel suo ‘Shock Economy’, oltre 10 anni fa, ci raccontava, con una ricca casistica e dovizia di particolari, l’uso, da parte del capitale, delle catastrofi naturali e/o indotte dalle guerre, dalle scelte politiche, dalle rivolte sociali, per sperimentare nuovi percorsi per la ristrutturazione e riconversione capitalistica in funzione di un ampliamento dei propri margini di profitto. Una lucida diagnosi del cinismo e dell’intelligenza al servizio dell’accumulazione capitalistica.

Oggi, a fronte della pandemia prodotta dal Covid-19, ci troviamo nel bel mezzo di una trasformazione, tutta da definire, percepire, verificare, torcere e combattere, di valenza globale, a cui, perfino ‘il cervello’ del capitale non aveva preconizzato. Le analitiche descrizioni della Klein ci parlano di interventi ‘limitati e locali’ tipo la Guerra nel Golfo, lo tsunami a Ceylon, le Twin Towers, il Cile di Pinochet, ma qui e ora siamo nel mezzo di una tempesta globale dagli effetti, largamente, indefinibili. Ha colpito pesantemente la Cina e la Corea del Sud, ora imperversa in Italia ed Europa, si riverbera negli USA, si presenta, latente, in un altra 50tina di Stati. Siamo molto lontani dall’assorbimento endemico della pandemia.
Abbiamo assistito, increduli, alle misure socio-economiche imposte alla provincia di Whuan e a quelle limitrofe, dal partito-governo cinese, che ha usato la propria capacità di controllo-comando come fosse in condizione di guerra: coprifuoco, posti di blocco militari, cinture di sicurezza, lavori forzati, blocco ‘nazionale’ della mobilità, geolocalizzazione, tracciamento dei social-media. Al tempo stesso garanzie sociali, lavoro, reddito, credito, mantenute per tutti. Un vero dominio da Partito-Padrone.
Qui, da noi, in presenza del Covid-19, si è tentato un percorso omeopatico, a piccole dosi, presto travolto dalla gravità della morbilità, ma, ostinatamente, si è tenuta aperta tutta la filiera produttiva, in ostaggio al dio denaro, con i lavoratori usati come – appunto – merci, dentro ad un sistema produttivo con – normalmente – approssimative misure di sicurezza, che sono diventate irrisorie difronte ad un contagio virale. Tanto vale, forse ancor di più, per la distribuzione, il commercio e i servizi. Per tutto e tutti. Altro che solo servizi di pubblica utilità. La retorica di guerra, ampiamente usata nella comunicazione istituzionale, in quella ufficiale e generalista, si è fermata nelle maglie del sistema produttivo italico, si è manifestata con il tricolore ai balconi delle finestre o con il canto sguaiato del nostro terribile “sian pronti alla morte” inno nazionale. Una retorica presto scardinata da un’ondata di ironia, sarcasmo e facezia che circola ‘ad abundantiam’ nei social media, non ancora telecomandati come in Cina.

Ma quello che colpisce, aldilà della drammaticità della situazione, è il cambio di paradigma nell’approccio, pur emergenziale, di politica economica: 25 anni di neoliberismo sfrenato accantonati per decreto, lo scostamento dello 0 virgola nel rapporto debito PIL ridicolizzato da risorse economiche uscite come da una cornucopia, la politica monetaria europea della BCE e del FMI rovesciate come un calzino nel loro impianto d’intervento. E se questo è stato avviato, con affanno, con una manovra da 25 mld di € dal governo italiano, ora quello spagnolo parla di 200 mld, quello tedesco di 500 mld, idem quello inglese, per arrivare ai 1000 mld dichiarati da Trump in difficoltà elettorale. Miliardi di euri come se piovessero. Non è solo una enorme quantità di denaro che viene messa a disposizione dell’intervento pubblico per tamponare le urgenti esigenze sociali, ma è la destinazione di buona parte delle risorse che viene virato alla riscoperta della ‘funzione’ pubblica dello Stato, nella Sanità e oltre. Un cambiamento che si riflette, per assurdo, anche sulla possibile rinazionalizzazione di Alitalia.

Non tutte le crisi vengono per nuocere, dunque?! Ci andrei molto cauto e guardingo.
Quando il cambiamento non è indotto da un ciclo di lotte sociali non può che essere uno strumento di autodifesa del sistema di produzione e riproduzione per salvaguardare se stesso, insomma si sta delineando una enorme manovra economica transnazionale in funzione anti ciclica, volta a contrastare la recessione che sta piombandoci addosso. Inoltre, per ora se ne è parlato poco o niente, sta dilagando, sottotraccia, un grave pericolo in tema di libertà. La geolocalizzazione individuale, il tracciamento dei social media, la privacy accantonata, lo scambio di banche dati sul modello cinese, è stato invocato da Zaia, Fontana e ventilato dalla Meloni. Il controllo del territorio, l’uso dispiegato dei militari, la verticalizzazione della decisionalità nella funzione pubblica, il ruolo di prefetti e sindaci, la decretazione d’urgenza a livello governativo, mettono all’angolo i principi cardine della Costituzione, di quanto è sopravvissuto nella dialettica tra parti sociali.E chi ha avuto esperienza delle varie fasi emergenziali che hanno caratterizzato la storia recente e passata del nostro Paese, sa bene che dalle restrizioni liberticide si ritorna indietro con grande fatica e mai del tutto. Pensate, per restare a ieri, al daspo urbano, alle misure anti sciopero, alla legge Salvini: tutto fermo, tutto pronto per essere applicato alla bisogna.

Certo, come in ogni crisi, rimane anche per tutti noi un’occasione per riprendere la parola e l’iniziativa per strappare dei risultati ugualitari che ricostituiscano un comune sentire da cui ripartire. Possiamo evidenziare la mistificazione liberista delle compatibilità contabili di bilancio, le balle lobbistiche di tutte le forze partitiche. Possiamo denunciare le pandemie presenti e future come indotte dalla devastazione dell’ecosistema Terra da parte di questo sistema di produzione. Dobbiamo dirci che il modello di vita dominante è catastrofico e dobbiamo cambiarlo, strutturalmente e individualmente. Possiamo far risaltare che si può lavorare – l’emergenza dell’oggi ne è la dimostrazione empirica – meno quantitativamente e meglio qualitativamente. L’emergenza è anche il nuovo che esce allo scoperto. Dobbiamo solo vederla e provarci.

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