Ieri si è svolto l’ennesimo incontro in Prefettura a Vicenza per cercare una soluzione alla vertenza che vede protagonisti 53 lavoratori e lavoratrici che, lo scorso 18 gennaio, sono stati letteralmente buttati fuori dal magazzino Prix di Grisignano di Zocco. Una vicenda che, se non si giocasse sulla pelle di decine di persone e delle loro famiglie, potrebbe sembrare una commedia dell’assurdo. Senza ripercorrere tutta la vicenda, ci vogliamo concentrare sull’epilogo, partendo da quanto successo la sera del 27 gennaio. Quella sera ci fu un incontro tra il Prix, rappresentato dal dirigente Michele Marchesini e dall’avvocato Gianluca Spolverato, consulente incaricato dalla proprietà, i rappresentanti di ADL Cobas, le cooperative Leone e Sinco. Quell’incontro pose le basi per arrivare a un accordo, che il giorno seguente doveva essere solo firmato dalle parti. L’accordo prevedeva il reintegro dei lavoratori, con il riconoscimento dell’anzianità lavorativa e conseguente applicazione degli scatti maturati, dei livelli acquisiti precedentemente e, visto che non si trattava di nuova occupazione (alcuni lavoratori erano impiegati in quel magazzino da oltre 15 anni), la non applicazione del Jobs Act. L’azienda inoltre avrebbe messo a disposizione, per i lavoratori che avessero VOLONTARIAMENTE accettato, un incentivo all’esodo, partendo da una base economica indicata dai rappresentanti del Prix stesso, uguale per tutti, con aumenti dell’importo in base all’anzianità e ai carichi familiari. Addirittura, ADL Cobas, su mandato dei lavoratori, ha accettato di posticipare alla fine del 2016 la discussione su alcuni punti che facevano parte delle richieste iniziali, quali il riconoscimento corretto dei livelli in base alle mansioni e la pausa retribuita per i lavoratori a turno (cose queste previste dal Contratto Nazionale e mai applicate in quel magazzino), oltre ad un ticket mensa. Massima disponibilità da parte dei lavoratori e di ADL Cobas, quindi. Chiusa la riunione con un accordo che andava a soddisfare tutte le parti, ci si riconvocava per il giorno dopo per la stesura definitiva e la firma sull’accordo.
Il 28, come ci ha abituato ormai il Prix, venivano modificate le condizioni. La proprietà avrebbe riconosciuto un incentivo più basso di quello proposto la sera precedente, chiedendo di riformulare la lista dei lavoratori disposti ad accettare. La sera precedente avevano dato la disponibilità in 21, a fronte della nuova proposta i lavoratori disponibili erano scesi a 17. Questo perché, è utile ricordarlo, l’accordo prevedeva la volontarietà da parte del lavoratore ad accettare l’incentivo, in alternativa alla riassunzione.
Fine della storia? Magari.
Dopo aver consegnato la nuova lista, il Prix cambiava nuovamente le carte in tavola per ben tre volte: prima mettendo un tetto massimo di impegno economico, cosa che non era mai stata discussa prima, poi chiedendo di scaglionare gli incentivi dei lavoratori, infine con un ultimatum che, annullando il principio di volontarietà, esigeva l’uscita di 21 lavoratori, e non solo dei 17 che avevano dato la disponibilità. Questo, tra le altre cose, dopo che la cooperativa Sinco si era detta disponibile ad assumere anche i quattro che avevano ritirato l’adesione all’incentivo.
Insomma, il Prix voleva lo scalpo dei lavoratori.
Questi continui voltafaccia erano chiaramente destinati a voler far saltare, da parte del Prix, l’accordo che era stato raggiunto e già scritto nei minimi dettagli. Il 29 gennaio, in segno di protesta contro il mancato accordo, i lavoratori sono tornati davanti ai cancelli del Prix, e hanno sciolto il presidio solo dopo la convocazione, da parte del Prefetto di Vicenza, di un tavolo con le parti al fine di arrivare ad un accordo.
L’incontro si è svolto ieri, lunedì 1° febbraio e, come di consuetudine, il Prix ha cambiato nuovamente versione formulando una nuova “proposta”: azzeramento di quanto definito nei giorni precedenti, addirittura affermando che chi aveva fino ad allora discusso nei vari incontri in rappresentanza del Prix non aveva il mandato da parte della proprietà (!), indisponibilità a riassumere i lavoratori, e proposta di buonuscita di 600.000 € da dividere tra tutti e 53 i lavoratori espulsi dal magazzino, aumentata poi a 700.000 €, e poi in serata a 900.000 €. Questa proposta è stata rigettata ieri da tutti i lavoratori e le lavoratrici.
Qualcuno potrebbe dire che sono un sacco di soldi, e allora vediamo dove sta il trucchetto del Prix.
Assumendo nuova manodopera, ovviamente a tempo determinato, cooperativa e Prix possono usufruire degli sgravi fiscali del Jobs Act, ovvero di soldi dello Stato, della collettività. A quanto ammonta questo “regalo”? Sostituire i 53 lavoratori espulsi con altrettanti neoassunti con il Jobs Act garantisce un importo di 516.000 € di sgravi fiscali in tre anni. A questo ci aggiungiamo l’abbattimento del costo del lavoro, con lavoratori senza anzianità e al livello più basso. Oggi un lavoratore inquadrato al 5° livello, con uno o due scatti di anzianità ha un costo del lavoro mediamente più alto di circa 280-300 € al mese di un lavoratore assunto al livello 6° J. Moltiplichiamo queste differenze per le 14 mensilità e per il numero dei lavoratori e, in tre anni, il Prix abbatte il costo del lavoro di altri 650.000 €. Totale, quasi un milione e duecentomila euro.
Ovviamente, sulle pelle dei lavoratori licenziati e su quelli neoassunti, che chiaramente dovranno sottostare a tutto ciò che gli verrà imposto pena la perdita del posto di lavoro.
MORALE DELLA FAVOLA
Ovvero, quali sono i vantaggi per il Prix dopo questa operazione?
1) Eliminare un sindacato scomodo come ADL Cobas dal magazzino (per tutto il resto ci sono CGIL, CISL e UIL);
2) Assumere lavoratori altamente ricattabili vista l’assenza di tutele determinata dal Jobs Act;
3) Abbattere sensibilmente il costo del lavoro;
4) Approfittare degli sgravi fiscali previsti dal Jobs Act per i neoassunti.
Complimenti, caro Prix, bella furbata, ma non ti stupire se poi i lavoratori s’incazzano.