Non ci siamo conosciuti troppo bene, non abbiamo avuto il tempo di condividere quelle esperienze di vita e di militanza che ti hanno accomunato a tanti e tante di noi. Posso però dire di aver avuto la fortuna di conoscerti quel che basta per saper prendere il nocciolo della tua personalità, l’impressione “vera” che lasciavi senza filtri sulla mente delle persone, da tutti i punti di vista, che fosse per parlare di un’iniziativa, per fare analisi di fase, per calibrare i prossimi passi o per ballare sotto le casse mai stanche dei tuoi dj set, magari in una sala di uno spazio occupato di Napoli – perché relega un cibo e un’aria di festa che non ti esauriva mai. Sarebbe sensato parlare di te oggettivamente, purtroppo non posso farlo: né perché ti ho conosciuto da sempre, né perché si può dare una versione universale a partire da un’esperienza singolare. Il “chi sei” vivrà nei ricordi e nei pensieri di chi ti ha amato e circondato; ma le parti di te che continueranno a risplendere le si vedranno soprattutto nei gesti quotidiani, nei pensieri, nelle attitudini che hai insegnato con passione e minuziosità ai tuoi conoscenti e compagni/e. Questo è quello che sei e sei stato, almeno per me: un compagno che, dopo un confronto di ogni tipo e genere, lasciava un qualcosa di sé su cui riflettere. E lo facevi a dispetto della diversità di esperienze, biografie, caratteri e provenienza, come nel caso di un ragazzino toscano iscritto all’università che non sapeva niente di concreto sul lavoro schiavistico nei magazzini della logistica o sulle basi militari. Per me rimarrai sempre lì: nel punto in cui si materializzano tutte le conseguenze del vivere sulla propria pelle subalternità e sottomissioni militari oppure ogni volta che ci ripetevi l’importanza del mondo della logistica e della composizione migrante, delle lotte per il salario contro il profitto e degli scioperi degli “ultimi degli ultimi”. Senza arroganza, senza pretese di avere la soluzione nella propria tasca, sapendo che la lotta è un rischio il cui sbocco è inconoscibile. Un perfetto materialista. Rileggendo le frasi, che riporto qui sotto, mi sei venuto costantemente in mente. Forse non sarai stato un filosofo, ma – per me – la descrizione ti si addice. In ogni caso, sei stato un “buon incontro” che ha fatto capire e apprendere una quantità innumerabile di cose nuove. Ti saluto con uno degli ultimi messaggi che mi hai scritto: “ci vediamo nelle lotte…e nella trash”.
«Il filosofo materialista non conosce nulla della direzione del treno: da dove veniamo? Dove andiamo? Egli è se si vuole. Egli vede passare un treno e lo prende in corsa, come nei Western americani […] E’ sprovvisto di tutto, anche solo per annotare le sue impressioni. Guarda il paesaggio, ascolta, impara una quantità di cose. E’ l’uomo del “sentito dire”. Tuttavia, a partire dall’incontro delle informazioni, del loro incrociarsi o contraddirsi […] finirà con il sapere un mucchio di cose che l’idealista ignora sempre. Poiché l’idealista disprezza gli altri (i suoi compagni di viaggio), non rivolge loro la parola e, a Lione, scenderà dal treno: sarà sempre lo stesso uomo. Il materialista, invece, sarà cambiato perché, a contatto di vite singolari, avrà fatto dei “buoni incontri”»