Con i mesi che passano e la stagione della pandemia che non finisce più, a volte sembra che non si riesca più ad avere una visione chiara del presente, o perlomeno un minimo di lucidità dentro le strane torsioni che assume il dibattito. Per non perdere la bussola forse è necessario fare un passo indietro e ripercorrere il periodo abbiamo passato dall’inizio dello shock.
Nel Marzo del 2020 i provvedimenti governativi ci avevano improvvisamente fatti piombare in uno stato di emergenza che incarnava il peggiore dei nostri incubi, un mondo in cui si poteva solo lavorare, fare la spesa e stare chiusi in casa: produci consuma crepa.
Dietro l’incubo abbiamo visto immediatamente la voracità di chi non era disponibile a rinunciare alla propria rendita per la tutela della salute. Abbiamo visto l’arroganza e l’irresponsabilità di Confindustria che voleva tutto aperto, “toccate tutto ma non il mio profitto”, che pretendeva che gli operai andassero al lavoro senza alcuna misura di sicurezza, senza mascherine, senza distanziamento, ecc. contribuendo a diffondere i contagi in moltissime aree soprattutto al nord.
Di fronte a ciò abbiamo sostenuto gli scioperi spontanei, abbiamo promosso l’astensione dal lavoro come forma di prevenzione e tutela, abbiamo preteso l’intervento per la messa in sicurezza di fabbriche e magazzini. Abbiamo rivendicato il reddito universale per tutti e tutte, perché non volevamo tutto aperto in spregio alla tutela ed alla cura delle nostre comunità, ma volevamo e vogliamo la garanzia di una vita degna per tutti, perché la nostra vita è irriducibile al bisogno del capitale e del profitto.
Come sempre, prima, durante e dopo la pandemia, abbiamo lottato per avere più sicurezza, per non morire sul lavoro e di lavoro, contro la nocività e per poter mantenere le nostre forme organizzative prendendoci cura delle nostre comunità in lotta.
Abbiamo rivendicato una migliore sanità pubblica universale, l’accesso alle cure ed alla protezione sociale per tutti. Abbiamo manifestato per rivendicare la necessità di dare la priorità assoluta ai bisogni delle nostre comunità, al diritto alla casa, ai servizi sociali, al trasporto pubblico, alla scuola senza le classi pollaio e senza la DAD. Abbiamo preteso che le cure e le tutele fossero estese a tutti e tutte, homeless, persone senza documenti, agli invisibili che popolano le nostre città. Abbiamo denunciato lo scandalo della proprietà privata dei vaccini, che garantisce profitti stratosferici alle case farmaceutiche ed esclude miliardi di persone dall’accesso ad un minimo di protezione e sono, ancora adesso, lasciati morire a migliaia in molte zone di America Latina, Africa, Asia.
Ci siamo uniti alle rivendicazioni dei movimenti in tutto il mondo che chiedono l’accesso a vaccini e cure gratuite ed universali su scala globale e non solo nei paesi ricchi. Abbiamo denunciato il fatto che la pandemia è l’ennesimo frutto avvelenato della crisi climatica, provocata da un capitalismo senza freni e che nella sua incontrollabile voracità distrugge l’intero pianeta. Scioperi, manifestazioni, iniziative, picchetti: questa è stata la storia degli ultimi 18 mesi, contro il governo di unità nazionale e perché nulla debba ritornare “come prima”.
La risposta capitalista non si è fatta attendere e, ancora una volta, è consistita nel tentativo di rilanciare e rilegittimare lo stesso sistema che ha causato i disastri. Improvvisamente hanno trovato una grande quantità di risorse pubbliche, che però sono quasi tutte indirizzate a sostenere la ristrutturazione del sistema produttivo e finanziario, mentre al welfare sono state riservate poche briciole. Contemporaneamente è stata sferrata una nuova offensiva volta a ridurre e comprimere ancora di più i diritti e la qualità della vita.
La lobby nucleare si è rifatta avanti proponendosi come alfiere della green economy; quel piccolo sostegno chiamato reddito di cittadinanza è sotto attacco in nome della ripresa perché bisogna “soffrire”, ovvero essere disponibili ad accettare i lavori di merda a qualsiasi condizione sotto il ricatto della miseria; i licenziamenti sono stati sbloccati con effetti devastanti su migliaia di lavoratori. Le grandi multinazionali come Fedex non hanno esitato a buttare sulla strada centinaia di lavoratori a Piacenza, ad assoldare squadracce per picchiare i lavoratori in sciopero, fino alla tragedia dell’uccisione di Adil durante un picchetto.
Prima con la pandemia e adesso con la retorica della ripresa, si è voluto creare un inguardabile clima di unità nazionale, le cui politiche sono del tutto organiche alla riproduzione del sistema capitalistico. Non è un grande complotto, è il funzionamento del sistema stesso: le tecnologie e le piattaforme informatiche, anziché ridurre il tempo di lavoro, sono utilizzate per estrarre ulteriore profitto, per eliminare ogni barriera tra tempo libero e tempo di lavoro; sono utilizzate per esternalizzare i costi ed i rischi.
In questo contesto l’invenzione del cosiddetto “green pass” rischia di essere un ulteriore passo per esternalizzare le responsabilità: i datori di lavoro si sentiranno in diritto di non fare più sanificazioni, garantire la sicurezza, gli spazi, il distanziamento sociale, la tutela della salute. Si cercherà di scaricare la responsabilità della protezione dal contagio esclusivamente sui singoli, mentre è chiaro che tutte le misure già previste dai vari protocolli sanitari devono assolutamente essere mantenute. E’ un po’ la stessa retorica che viene utilizzata rispetto alla crisi climatica. Con il governo dei migliori, l’unità nazionale ed il recovery plan il mondo sarà più green e smart, e se protestate siete criminali facinorosi o “radical chic”.
Con l’unità nazionale, nella rappresentazione mediatica fatta dall’alto, tutti i temi che abbiamo posto, le lotte effettuate, i conflitti reali dentro e fuori i posti di lavoro, nei quartieri, nelle città, sono stati completamente rimossi. Il nemico da sbattere in prima pagina sono diventati i “no vax”, una percentuale fisiologica soprattutto di persone diffidenti, impaurite, comprensibilmente incerte di fronte ad una situazione senza precedenti.
E’ un nemico molto comodo, perché appunto non pone nessuna delle questioni concrete rispetto alle quali abbiamo lottato prima e durante la pandemia. Ci sembra un malcelato tentativo di costruire una dialettica mediatica tutta interna al governo della crisi, alla compatibilità economica e finanziaria e funzionale all’ennesimo tentativo di irreggimentazione sociale.
Diciamolo con chiarezza: rispettiamo profondamente tutti quelli che hanno semplicemente paura, che diffidano dello Stato, dell’industria farmaceutica. Sappiamo bene che “la scienza” non è neutra, che non può diventare una nuova religione in mano a pochi apprendisti stregoni. Sappiamo che la “scienza” ha prodotto la bomba atomica, gli ogm e mille altre mostruosità, anche perché, pur sfruttando spesso il lavoro del settore pubblico, la “scienza”, come l’intero modello produttivo, va dove decide chi paga e ne vuole trarre profitto.
Questa diffidenza è quindi un sentimento diffuso e certamente la costrizione, la repressione, le misure autoritarie non faranno che peggiorare la situazione. Ma dobbiamo anche dire con estrema chiarezza che oggi, a distanza di un anno e mezzo dallo scoppio della pandemia, i vaccini sono uno strumento fondamentale per ridurre il contagio e soprattutto per evitare che il contagio porti alla morte o al ricovero in terapia intensiva. Questo ci dicono i dati ufficiali sui contagiati, sulle morti e sui ricoveri in terapia intensiva. Il problema, se mai, è un altro: quello che il vaccino oggi viene somministrato quasi esclusivamente nel mondo ricco e se non si rimedia in tempi rapidi a questa enorme ingiustizia, vedremo, tra le altre cose, il moltiplicarsi di varianti che potrebbero rendere inefficaci i vaccini. Per questo siamo convinti che chi oggi scende in piazza contro il “green pass”, in realtà, sta lottando per garantire una libertà di scelta individuale che confligge enormemente con la necessità di protezione di una intera collettività. I “no green pass”, al di là di essere una evoluzione dei “no vax” o “no mask”, svolgono oggi un ruolo mediatico molto negativo nel riuscire a distrarre dalle problematiche sulle quali bisognerebbe mobilitarsi per evitare che tutto rimanga nelle stesse condizioni che hanno portato alla esplosione della pandemia.
In base a questi ragionamenti siamo convinti che bisogna spostare l’asse delle lotte e delle mobilitazioni dal piano individualistico a quello delle rivendicazioni collettive che riguardano la crisi climatica, la scuola, la sanità pubblica, il trasporto pubblico, le discriminazioni di genere o razziali, i diritti più elementari ad una vita degna.
Altro discorso va fatto nei luoghi di lavoro, in via del tutto transitoria e immaginando un percorso che deve portare allo smantellamento delle teorie complottiste e al riconoscimento che il vaccino, ad oggi, è fondamentale per combattere il virus, rispetto a chi, per paura, perché si è riempito la testa di fake news, o chissà per quale altro motivo, non si è ancora vaccinato. Abbiamo sempre rivendicato in tutti i posti di lavoro, come misura di sicurezza, quando non c’era il vaccino, la necessità di effettuare tamponi gratuiti. Pensiamo allora che sia necessario garantire la gratuità del tampone costruendo al contempo incontri ad hoc con personale medico che sia in grado di smantellare ogni dubbio sui rischi connessi alla somministrazione del vaccino.
Allo stesso tempo dobbiamo assolutamente mobilitarci per contrastare l’ultimo incredibile provvedimento governativo che consiste nel non garantire più la copertura della “malattia” per i giorni di quarantena, una misura che invece dovrebbe precisamente limitare la diffusione dei contagi.
Detto questo però, dobbiamo dire con estrema chiarezza che la paura del vaccino sta diventando il brodo di coltura per le teorie complottiste della nuova destra, dei negazionisti, che utilizzano lo stesso schema rispetto alle migrazioni, parlando di “sostituzione etnica” ed altre porcherie di tal fatta.
La paura, sia essa dei migranti, del virus, della miseria, è una passione triste che rischia sempre di fornire un terreno fertile per uno pseudo “movimento” interclassista basato su di un individualismo proprietario.
La libertà non è un concetto slegato dalla pratica del comune e dalla conquista di diritti collettivi, altrimenti diventa libertà anche quella di sfruttare, di inquinare, di non aver vincoli di alcun tipo, nemmeno quelli definiti collettivamente. Nelle nostre dinamiche di lotta collettiva il motto “tocca uno, tocca tutti” significa anche che la tutela di uno deve essere quella di tutti.
Per questo, se parliamo di libertà, ricordiamoci di uno degli strumenti più odiosi, che discrimina e produce migliaia di morti nel mediterraneo e non solo, strumento che si chiama permesso di soggiorno, passaporto, esclusione dalla cittadinanza. Si tratta di vita e di morte, non di mangiare la pizza…. Di che libertà stiamo parlando quando metà della popolazione mondiale non ha accesso ai servizi sanitari di base, e ogni anno 100 milioni di persone sono spinte verso la povertà estrema a causa delle spese sostenute per la salute. Quasi 800 milioni di persone nel mondo spendono più del 10% delle proprie entrate per la salute, e tra queste per 180 milioni la percentuale supera il 25%. Secondo lo studio ogni giorno più di 800 donne muoiono per cause legate alla gravidanza e al parto. E quasi 20 milioni di bambini non ricevono le vaccinazioni di cui hanno bisogno, correndo quindi il rischio di morire di malattie come la difterite, il tetano, la pertosse e il morbillo. Anche quando i servizi sanitari sono disponibili, utilizzarli può significare andare in rovina da un punto di vista finanziario. E allora come si fa a non rendersi conto che il baricentro delle lotte va spostato su un terreno che è quello di garantire nel mondo intero il diritto alla salute.
Se parliamo di democrazia ricordiamoci che nei posti di lavoro la democrazia non esiste. I lavoratori che aderiscono alle organizzazioni sindacali di base, anche se sono in maggioranza, spesso non hanno diritto all’agibilità sindacale, non possono decidere sui loro contratti e sugli accordi siglati dai Confederali che, come per diritto divino, vivono sulla rendita di un riconoscimento formale sempre garantito ed intoccabile, anche dove non contano nulla…
Se parliamo di controllo sociale ricordiamoci che il lavoro, e la sua gerarchia, è il primo strumento di controllo delle nostre vite, del nostro tempo, del nostro destino; così come il controllo effettuato col ricatto della miseria, degli sfratti, dei mutui da pagare che ipotecano il futuro dei lavoratori e ne limitano, di fatto, la libertà e l’autodeterminazione.
Queste sono la libertà, la democrazia, i diritti per cui vogliamo lottare: quelli delle nostre comunità, quelli di chi lotta e partecipa, quelli con cui condividiamo la fiducia quando siamo ai picchetti, alle occupazioni, ai blocchi, alle manifestazioni.
Praticare il comune e costruire lotte ed organizzazione passa necessariamente proprio da quella fiducia che comprende anche la cura collettiva. È evidente che questo sistema, e chi ne gestisce il governo, non può candidarsi a risolvere le crisi che loro stessi hanno provocato. E se i disastri climatici sono sempre più evidenti ed invasivi, per quanto riguarda la crisi pandemica siamo molto lontani dalla sua soluzione.
In questi anni abbiamo cercato di praticare l’intersindacalità tra esperienze di lotta, costruita dal basso e con la capacità di andare oltre i piccoli orticelli, anche dei cosiddetti “sindacati di base”. Abbiamo cercato di praticare percorsi di confluenza e contaminazione con i percorsi degli altri grandi movimenti sociali che scuotono il mondo, il movimento climatico, transfemminista, dei migranti, ecc.
Per noi sono questi gli anticorpi ad una pandemia che si chiama capitalismo, per questo sciopereremo l’11 ottobre.
ADL COBAS – CLAP – SIAL COBAS