La seconda ondata della pandemia ha colpito in modo probabilmente ancor più pesante di quanto accaduto in primavera. Se abbiamo affrontato il lockdown nell’ottica di “tenere duro” per il tempo necessario, con la speranza che la nostra vita sarebbe in qualche modo ripresa, l’autunno ci ha dimostrato ancora di più come questa pandemia influenzerà le nostre vite ancora per molto tempo, con il rischio costante di subire chiusure e limitazioni.
Appare quindi sempre più evidente come la strategia adottata dai governi e dai poteri economici e finanziari sia quella di puntellare e agire in un’ottica di emergenza continua, senza però avvicinarsi alla radice del problema: l’intrinseca nocività del capitalismo in cui viviamo, motore del sistematico degrado ambientale all’origine della pandemia stessa. Questo modello non ammette riforme radicali, almeno finché non si trovi il modo di estrarne ulteriore profitto.
La partita sul recovery fund, che animerà il dibattito politico per i prossimi anni e che già sta producendo la sua prima crisi di governo, rischia di assecondare gli appetiti di padroni e devastatori ambientali, facendo di fatto pagare a tutt* noi – tramite il meccanismo del debito – i costi di una crisi che ha radici profonde, e di cui certo non siamo noi i responsabili: possiamo già sentire il rumore di Confindustria, Eni, Telt che affilano i loro coltelli, pronti ad accaparrarsi la fetta più grande.
Questa crisi tuttavia sta andando a colpire una composizione sociale molto variegata e che ha già pagato un prezzo altissimo: precari, lavoratori e lavoratrici dello spettacolo, piccoli ristoratori, baristi, camerieri, lavoratori e lavoratrici del sociale, lavoratori e lavoratrici del turismo e tutte quelle categorie in cui la natura del rapporto di lavoro è intrinsecamente precario, atomizzato e spesso a cavallo tra il lavoro nero e il lavoro regolarizzato.
Il 2021 rischia quindi di diventare una vera e propria macelleria sociale: cosa succederà nel momento in cui verranno sbloccati i licenziamenti? Cosa succederà quando verrà interrotto il blocco degli sfratti? Cosa succederà quando verrà interrotto l’esiguo flusso di denaro erogato tramite bonus?
In questo contesto crediamo sia fondamentale provare a stimolare un dibattito pubblico e politico e immaginare nuove forme organizzative che siano in grado di intercettare questa composizione sociale e che siano in grado di aprire un terreno di lotta dal basso sulla questione del reddito.
Un terreno di lotta conflittuale che provi a mettere in discussione non solo l’entità dei provvedimenti, ma la base ideologica che sta alla loro base: rifiutiamo il sistema del debito come unica forma di finanziamento del welfare, rifiutiamo l’approccio caritatevole statale e chiediamo invece forme di reddito permanenti ed universali che mettano a valore tutte quelle attività che quotidianamente svolgiamo e che però non vengono considerate degne di ricevere un salario, come ad esempio il lavoro di cura (sia esso rivolto alle persone, ai nostri territori o alle comunità).
Rifiutiamo anche un’allocazione delle risorse che dia per scontata la necessità produttivista della crescita capitalista infinita, con le conseguenze ambientali che ben conosciamo.
Lottiamo invece perché quote di ricchezza sociale sempre più ampie siano al contrario allocate in modi diretti a liberarci dalla necessità di un posto di lavoro a tutti i costi, costi che si traducono sistematicamente in livelli intollerabili di nocività e degrado ambientale.
In particolare crediamo che il confronto debba avvenire partendo dalla messa in discussione delle forme classiche delle lotte per il reddito, che individuano comunque nello stato centrale l’ente erogatore di sussidi e welfare: siamo rimasti abbagliati dalle rivolte oltre oceano di Black Lives Matter, e quel “defund the police” che riecheggia ancora nelle nostre menti. Queste lotte ci parlano di pratiche di mutualismo e cura che trasformano la rivendicazione di una più equa redistribuzione della ricchezza in una pratica conflittuale di riappropriazione, stravolgendo quindi il modello societario stesso rimettendo al centro le persone e le comunità che vivono i territori.
Vorremmo quindi affrontare la questione del reddito, facendo seguito alla partecipata assemblea ospitata in settembre dal Climate Camp di Marghera, consci dell’intreccio inscindibile delle problematiche fondamentali che oggi caratterizzano in termini conflittuali, la possibilità o meno che si determini una netta inversione di tendenza rispetto alle cause che hanno prodotto la pandemia: dalla questione della sanità, a quella delle discriminazioni di ogni tipo – cresciute ulteriormente con la pandemia – al mancato rinnovo dei contratti nazionali che interessa milioni di lavoratori, a quella del salario minimo, al permanere di forme di lavoro schiavistico, al diritto alla casa, ad una istruzione degna, alla necessità di trasformare le infinite forme mutualistiche che di sono rigenerate all’interno della pandemia in soggetti protagonisti delle lotte per una vita degna.
Vorremmo affrontare la questione insieme a tanti e tante con l’atteggiamento di chi vuole confrontarsi con tutte le altre soggettività che daranno la propria disponibilità a parteciparvi, nella consapevolezza di essere una parzialità che ha assoluto bisogno di ricercare assieme ad altr* strade condivise per produrre con i fatti e non con le parole quei cambiamenti assolutamente indispensabili qui ed ora.
Per questi motivi, perché il copione del 2021 sia degno di un Oscar e non il solito “cinepanettone”, vi invitiamo sabato 30 gennaio alle ore 15.30 ad una assemblea pubblica per riprendere il confronto e riaprire uno spazio di lotta sulla riconquista del reddito, del tempo e di tutto ciò che ci spetta!
Per collegarsi via ZOOM, utilizza questo link ——————–> https://us02web.zoom.us/j/5968067125