Qualora vengano confermate le notizie apparse sui quotidiani di domenica 29 agosto dalle quali emerge che l’Avv. Pinelli avrebbe scelto come linea di difesa quella di procedere per i suoi assistiti con l’istituto del “patteggiamento” ciò significa che Bertan e Pinton riconoscerebbero le loro responsabilità in base ai fatti contestati, solo per avere uno sconto sulla pena e per mantenere il casellario giudiziario pulito. In sostanza, gli imputati devono riconoscere le proprie colpe in ordine ai reati contestati che, ricordiamolo, in base all’art.603 bis del codice penale, al di là delle aggravanti contestate, recita così:
“E’ punito con la reclusione da 1 a 6 anni chi ;1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno. Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato. Ai fini del presente articolo, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni:
1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;
2) la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;
3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;
4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.
Costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:
1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;
2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;
3) l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro”
Ora, se questo è il reato contestato, con le varie aggravanti, vista la gravità delle accuse è chiaro che la scelta della difesa, evidentemente, parte dal presupposto che le prove sono schiaccianti e che non rimane altra strada che ammettere la colpa, allo scopo di usufruire degli sconti sulla pena previsti per l’applicazione del patteggiamento e di garantire di conseguenza la libertà a Pinton e Bertan. Tutto ciò ci porta a dire che quello che abbiamo sempre sostenuto dall’inizio della vicenda e cioè, che l’azienda era perfettamente al corrente di quello che succedeva all’interno di Grafica Veneta, risulta vero e certificato dall’ammissione. Ma nonostante ciò, Grafica Veneta vorrebbe ricostruirsi la faccia, o lavarsi la coscienza, non assumendo i lavoratori gravemente sfruttati all’interno del proprio stabilimento, ma elargendo 200.000 € ad una non meglio precisata “comunità pakistana” ( a parte il fatto che non sono coinvolti solo pakistani). E’ sicuramente grave di per sé il solo fatto di avere pensato una cosa del genere, l’averla pubblicizzata è ancora più grave, in quanto si cerca di scansare ancora una volta il vero nocciolo del problema che è e rimane quello di sedersi al tavolo Prefettizio, verificare chi effettivamente lavorava in Grafica Veneta ed in base a riscontri oggettivi, che ci sono, procedere alle assunzioni di tutti quei lavoratori che avevano il badge per entrare in Grafica Veneta o che utilizzavano quello di qualcun altro, procedere alla regolarizzazione di chi lavorava in nero, collaborare alla soluzione dei problemi di sistemazione abitativa e aprire il confronto sulle differenze retributive dovute per la corresponsione irregolare delle retribuzioni. Ci auguriamo che Grafica Veneta, oltre che pensare a mettere in salvo i propri dirigenti, pensi anche cambiare completamente atteggiamento nei confronti dei lavoratori, tutt’ora espulsi dal ciclo produttivo e senza salario, e ricercare una soluzione dignitosa che faccia finalmente capire che c’è la volontà di dimostrare che i diritti non spettano solo ai propri dipendenti, ma anche a chi ha sempre contribuito all’ottimo andamento dell’attività produttiva di Grafica Veneta, pur essendo dipendenti di un’altra società.