Il decreto sullo «statuto del lavoro autonomo non imprenditoriale è stato approvato ieri dal Consiglio dei ministri, insieme alle norme sul «lavoro agile/smart-work» e un “piano contro la povertà” da 800 milioni nel 2016 e 1 miliardo nel 2017. Il cosiddetto «Jobs Act delle partite Iva» è composto di 21 articoli ed è un collegato alla legge di stabilità. Inizierà l’iter parlamentare ed è stato concepito come un completamento delle norme generali del Jobs Act. La normativa dovrebbe procedere insieme all’ipotesi, annunciata dal viceministro alle Finanze Luigi Casero, sull’abolizione degli studi di settore per tutti i liberi professionisti. Con questa misura quasi il 739 mila persone (su 6 milioni 664 mila) che saranno esentate dalle disposizioni previste dal sistema «Gerico»
Il Jobs act dei freelance per la Cgia
Le norme sulla tutela della malattia grave, la maternità/paternità, i congedi parentali, interesserà 220 mila lavoratori autonomi — come ha ricordato ieri la Cgia di Mestre: il 6% di una platea di partite Iva-persone fisiche che in Italia ammonta a quasi 3 milioni 900 mila lavoratori. Le norme sull’accesso ai fondi europei, per il contrasto ai ritardi di pagamento oltre i 60 giorni e quelle sul committente che rifiuta di stilare un contratto scritto con il lavoratore autonomo dovrebbero riguardare quasi due milioni di professionisti.
Il provvedimento del governo è a geometria variabile e recepisce una parte delle rivendicazioni dei movimenti dei freelance: le donne potranno ricevere l’indennità di maternità continuando a lavorare; avranno diritto a un congedo parentale di sei mesi fino al compimjento del terzo anno di vita del bambino; prevista la deducibilità del le spese per la formazione al 100% entro i 10mila euro l’anno. Ripristinata, dopo la protesta di Acta e della freelance Daniela Fregosi, la tutela sulla malattia grave (tumori, ad esempio): il versamento dei contributi è sospeso per un periodo non superiore a 150 giorni. Si tutelano le invenzioni fatte dai lavoratori autonomi. Sulle clausole abusive si impedisce al committente di modificare unilateralmente i termini di pagamento superiori a 60 giorni (era salito a 90) e si introduce la deducibilità dell’assicurazione che la partita Iva può contrarre (anche cin maniera mutualistica) in caso di insolvenza del cliente.
Diritti sociali, e dintorni
Lo «statuto» si conferma «piccolo», nel senso che non sembra contemplare la riforma della gestione separata (con aliquota fissa al 24% richiesta dai freelance) e non calcola minimamente l’ipotesi di una riforma sulla previdenza privata, gravemente squilibrata come ha dimostrato l’ultimo rapporto Adepp.
Manca una misura sull’equo compenso e il reddito minimo per contrastare l’emergenza sociale di lavoratori con redditi inferiori alla soglia di povertà di 9,455 euro all’anno. «Le famiglie con reddito principale da lavoro autonomo rischiano più di altre oggi di scivolare nella povertà» ha ricordato Paolo Zabeo (Cgia). Secondo una ricerca dell’associazione Bruno Trentin-Consulta delle Professioni-Filcams Cgil il 45,7% dei lavoratori autonomi percepisce meno di 15 mila euro annui, il 60% ha difficoltà ad arrivare a fine mese, il 68,6% dichiara di non avere margini di contrattazione con i clienti. Nella stessa condizione versano le professioni ordinistiche: in questo caso i lavoratori con redditi inferiori ai 15 mila euro è intorno al 40,9%.
Dallo «statuto» mancano i diritti sindacali e di associazione tra freelance nella sharing economy. Norme che mancano anche nel provvedimento gemello sullo «smart-work» che prevede modalità di impiego flessibili nel lavoro subordinato e non riguarda gli autonomi.
La «ratio» di un simile intervento accanto a quello sulle partite Iva sembra più che altro improvvisata o occasionale.Ieri il ministro del lavoro Poletti ha escluso che si tratti di un nuovo «contratto precario». Le risorse stanziate dal governo sono pari a 10 milioni per il 2016 e 50 milioni per il 2017.
Contro la povertà: annunci epici per riforme in saldo
Il Consiglio dei Ministri ha approvato ieri una legge delega contro la povertà. Stanziati 600 milioni di euro nel 2016, 220 per l’Asdi: il sussidio per chi non ha trovato lavoro dopo avere percepito la Naspi. Il finanziamento salirà a un miliardo nel 2017. Questi soldi saranno usati per il Sostegno per l’inclusione attiva (Sia), un provvedimento mediocre e senz’altro non un reddito minimo. L’Italia è ormai unica in Ue a non averlo. Sarà erogato con «social card» alle famiglie con un Isee sotto i 3 mila euro e con figli minori. Meno di 200 euro di media a testa non per tutti i poveri italiani, ma solo per quelli che vivono in 12 città sopra i 250 mila abitanti.