Sono tuttaltro che lavoretti. Parte dal Piemonte una proposta di legge al Parlamento per normare la cosiddetta gig economy, riconoscendo i mestieri organizzati da piattaforme digitali come lavoro subordinato. Ieri il Consiglio regionale ha infatti approvato all’unanimità il documento presentato dal capogruppo di Leu Marco Grimaldi. «È la prima proposta normativa nazionale sulle piattaforme digitali e una delle prime proposte organiche su scala europea».
La legge ridefinisce l’inquadramento dei lavoratori attraverso contratti chiari e trasparenti, per riconoscerne diritti e tutele, e per impedire che siano aggirate molte delle regolamentazioni previste dai contratti collettivi, come le tutele in caso di malattia, la libertà di opinione e il divieto di discriminazione. Precisa, inoltre, come il concetto di subordinazione si applichi alle nuove forme di lavoro digitale tramite piattaforme, sotto forma di eterorganizzazione.
«Con questa legge – ha sottolineato Grimaldi, che ha seguito da vicino le vicende, processuali e non, dei rider di Foodora – si estendono finalmente diritti fondamentali a una categoria sempre più ampia, riconsiderando la materia della gig economy come lavoro. Vietare il cottimo su base regionale non bastava (norma approvata lo scorso novembre, ndr), serviva una proposta che riscrivesse le regole del gioco e ridefinisse il concetto di subordinazione. A questo punto ci aspettiamo che il Parlamento discuta e approvi la legge prima possibile». La legge è stata sottoscritta dai consiglieri di maggioranza Accossato, Ottria (Leu), Appiano, Olivetti, Rossi, Valle e altri (Pd) e infine sostenuta anche dalla maggiore forza di opposizione, il M5S.
Ha collaborato alla stesura della proposta Marco Barbieri, docente universitario di Diritto del lavoro. «Subordinazione non significa solo avere un capufficio che ti dà ordini, ma – spiega – è compatibile con le nuove forme di lavoro, sostanzialmente subordinate a una piattaforma digitale. Subordinazione è quando la tua prestazione viene organizzata da un altro, d’altronde il cliente paga la piattaforma, non paga te. Per questo ragionamento ci siamo anche affidati alle indicazioni di una sentenza della Corte costituzionale del 1996. Il diritto del lavoro arriva prima del fordismo e ha ragione di esistere tuttora».
Queste istanze, contenute nella proposta piemontese, sarebbero dovute entrare a far parte del Decreto dignità: Marco Barbieri e Pasquale Tridico – prima delle elezioni indicato da Di Maio come potenziale ministro del Lavoro – ne avevano discusso con il ministro dello Sviluppo economico, che però disse che non era ancora venuto il tempo per un passo tale e cercò la strada della trattativa tra rider e aziende. Il vuoto normativo è quindi rimasto, ed è stato evidenziato dal processo di Torino. Dopo la sentenza negativa dell’11 aprile scorso, quando fu respinto il ricorso di sei fattorini, pochi giorni fa, il 10 gennaio, il processo in appello ha stabilito per i lavoratori il risarcimento dei pagamenti e dei contribuiti previdenziali non goduti.
*da il manifesto.it