Trump gioca a Risiko con Xi Janpin, Putin, Merkel e Macron.
Appunti sparsi di geopolitica.
Il Risiko, un gioco da tavolo in voga a cavallo tra gli anni 70 e 80 del secolo scorso, è ancora uno strumento per comprendere le strategie e le tattiche che stanno alla base del confronto guerresco tra competitors per il dominio del mondo, proviamo ad applicarlo all’attualità dello scontro geopolitico in atto per tentare di comprendere i sommovimenti generati dall’irrompere nello scacchiere internazionale dello spregiudicato Donald Trump, accompagnato del suo staff di consiliori e lobbisti.
La dottrina “prima l’Amarica, prima gli americani” che gli ha permesso di ottenere il mandato presidenziale è stata declinata anche sul piano internazionale, non che Obama si fosse gdimenticato di tale presupposto ma il tentativo di generare una pax americana lo aveva fatto mettere in secondo ordine. In estrema sintesi se l’impostazione di Obama per la politica estera è stata caratterizzata dal mantenimento dello status quo ante con lo smussamento dei punti di maggior attrito – vedi Iran, Iraq, ASEAN, Ucraina e i vari trattati internazionali – determinando la riproduzione di una sorta di multilateralismo con lo stabilizzarsi di potenze regionali determinanti negli assetti politici ed economici della globalizzazione, quella del clan Trump ne rovescia l’impostazione cercando di ricostruire la postazione imperiale degli USA, che sta dietro lo slogan “First America”.
In questa prospettiva e con questa ottica si possono leggere i suoi tweet con i quali abbandona i summit internazionali sul clima-inquinamento, sul commercio internazionale, il G7; le tweettate con le quali denuncia il pericolo nucleare dell’Iran e della Corea del Nord, Gerusalemme legittima capitale d’Israele, l’infida Cuba e tanto altro. Una decisionalità tweettata, e dunque per sua essenza intrinseca senza trattative e senza mediazione, ma immediatamente efficace è quella che vuole e, oggi, impone l’imperatore Trump, pronto a mostrare, all’occorrenza, unghie e denti. Una tattica di destabilizzazione e sparigliamento degli equilibri dati, per riproporre gli USA al centro del ‘nuovo ordine mondiale’ in via di determinazione. Un procedere per successive approssimazioni, che, in realtà, si è già svelato azzardato, frutto di una mente politica, quella di Trump, bipolare, tipica di un giocatore di poker o di risiko, appunto. Lo abbiamo visto, da poco, quando ha ritirato la firma appena apposta al documento finale del G7 in Canada, offeso a dir suo dalle parole di Trudeau ma ancor di più durante l’escalation contro il dittatore Kim Jon-un, definito come un pazzoide rocket man, con movimenti e provocazioni aeree e navali contro la Corea del Nord, per poi arrivare ad incontrarlo e ad operare per favorire gli accordi bilaterali tra le 2 Coree. Una tappa di un percorso che da aggressivo si ritrovato a volgersi ad accondiscendente verso un nuovo equilibrio nell’area del Pacifico in cui gli USA e l’ASEAN cedono posizione, arretrano di fronte alla penetrazione militare, economica e politica della Cina e della Corea del Nord stessa. Un braccio di ferro che da esibizione di forza si è tradotto in dimostrazione di debolezza.
La stessa guerra dei dazi con l’Europa e la Cina potrebbe portare ad un risultato, nel medio periodo, lontano dall’esigenze economiche degli USA di Trump, che forte di una ‘quasi piena occupazione’ interna e di una solida autosufficienza energetica, in presenza di una larga propensione al consumo, vuole ridurre la voragine del deficit commerciale degli Stati Uniti nei confronti della Cina e dell’Europa – leggi Germania, Francia, Italia. “Prima L’America” ovvero la scelta di voler privilegiare le imprese e l’economia USA, proteggendole dall’invasione commerciale ‘straniera’, molto di più che la patina da suprematista bianco, ha portato Trump a complimentarsi con Salvini, Orban, la Le Pen, etc: i sovranisti lavorano molto bene allo scardinamento dell’Unione Europea, e un’Europa disarticolata, divisa, indebolita politicamente è molto più sovra determinabile economicamente.
Lo stesso uso della Russia di Putin, dipinto da Trump ora come amico ora come nemico, è funzionale all’approfondimento degli attriti tra gli storici Paesi europei e quelli dell’Est europeo, infatti gli Stati europei, al G7, si sono scontrati con Trump su diversi punti, in particolare sulla Russia. Trump aveva sostenuto poco prima del summit che quest’ultima avrebbe dovuto essere riammessa al G8, da cui era stato esclusa nel 2014 per via della guerra in Ucraina e dell’annessione della Crimea. Il nostro Presidente del Consiglio Conte, prontamente, si è detto d’accordo con l’affermazione del presidente americano, dimostrandosi l’unico tra i leader europei prono ai voleri internazionali degli USA, asserendo che una riapertura alla Russia avrebbe portato enormi benefici agli interessi economici dell’Italia. Forse nessuno lo aveva debitamente informato che l’enorme surplus commerciale della Germania, che l’Italia, in coro con molti altri Membri europei, vorrebbe fosse riversato in Europa, sta per essere investito in Russia, lungo quella ‘via della seta’ che avrà come terminal europeo Berlino e che da tempo Putin ha prospettato affari d’oro all’industria automobilistica tedesca. E’ quello stesso Putin che, rieletto con un quasi plebiscito, tiene aperte le prospettive di mercato ed d’investimento per i paesi europei storici nel mentre consolida il proprio ruolo nella struttura e nei rapporti della Shanghai Cooperation Organization, che, con l’ingresso di India e Pakistan, oltre che Cina e Russia e gli Stati transcaucasici, e i recenti accordi con Turchia e Iran, forma un potenziale mercato di oltre 3 miliardi persone. Infatti è prevista per il 2020 la creazione di un area di libero scambio tra tutti i paesi aderenti che si va innestare sull’originario patto stilato nel 2001, principalmente, per la salvaguardia territoriale e la sicurezza in chiave anti NATO-ASEAN. Da «Asia agli asiatici» a «Eurasia alle potenze eurasiatiche» potrebbe essere il moto di Xi Janpin e Putin, parafrasando quello di Trump.
Lo sbandierato tentativo della presidenza USA di imporre con la forza del mercato e delle armi un nuovo ordine mondiale alle dipendenze dirette della Casa Bianca, Pentagono e Wall Street deve fare i conti con Xi Janpin, Putin, Merkel e Macron: loro rappresentano, aldilà degli ammiccamenti e dei tweet, l’ostacolo reale, il nemico vero, a cui vanno ad aggiungersi, come ulteriori difficoltà, le ripercussioni della generale turbolenza ed instabilità geopolitica mondiale, dal Medio Oriente all’Africa, dall’America Latina alle migrazioni endemiche. Una partita di Risiko tutta da giocare, dove il gambler che muove continuamente le ‘sue armate’ rivela le proprie debolezze.