“nella babele
della fame
rasoterra
ogni povertà
parla
di nuovo
di nuovo
una lingua
diversa”
Mario Benedetti
Viviamo in un’epoca di muri.
Muri reali, concreti, durissimi, e muri simbolici, mentali, culturali, sociali. Muri senza porte e senza porti. Muri che attraversano il Mediterraneo o il Rio Grande, sempre più grandi, sempre più alti, eretti per delimitare la frontiera delle diseguaglianze. Muri che provocano la morte di molti, l’esclusione di molti, ma non fermeranno mai il movimento di moltitudini che si sposta.
Per questo il dispositivo del potere produce una proliferazione dei muri, anche all’interno della società, perché tutti coloro che attraverseranno il muro saranno condannati a rimanere sempre esclusi, fantasmi nel mondo dei muri, del Daspo urbano, dei fogli di via, delle espulsioni, del lavoro nero, della homlessness.
E’ questo il mondo dell’inclusione differenziale, in cui i muri servono ad escludere, ma anche a rinchiudere; sono contemporaneamente barriera e gabbia. Il sistema autoritario non si limita a far erigere i muri agli stati, alle polizie ed agli eserciti, vorrebbe trasformare ognuno di noi nel guardiano del muro, anzi ognuno è invitato a costruirsi il proprio, per separare il dentro ed il fuori, la paura dal desiderio, il privato dal comune: ognuno di noi è caldamente invitato a costruirsi la sua stessa gabbia.
Da anni la retorica della “sicurezza” non ha fatto altro che legittimare, da “destra” e da “sinistra”, un modello societario globale e locale, fondato su mostruose disuguaglianze, sullo sfruttamento dei corpi e dell’ambiente, sulla predazione di risorse e dei beni comuni.
Il crollo del “patto sociale” novecentesco ha prodotto una nuova generazione strutturalmente precaria, senza più alcuna tutela, ancorchè “formale”, una generazione in cui il precariato è l’orizzonte, che è condannata ad un livello di vita peggiore rispetto a quello dei propri genitori, costretta alla migrazione ed alla mobilità, in cui il welfare pubblico è elemosina per i più poveri, mentre quello dominante, privato, significa indebitamento a vita, ricatto asfissiante.
La governance neoliberista, anche nella sua variante “socialdemocratica”, è in verticale crisi di consenso per la gestione dell’austerità che ha prodotto il drastico impoverimento delle popolazioni e la sempre maggiore concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi ed ha così spianato la strada al nuovo modello di comando, cosiddetto “sovranista”, autoritario e dal volto feroce.
Questo nuovo modello non scalfisce minimamente i rapporti di potere globale ed, anzi, si propone come nuovo garante dell’ordine costituito, recuperando il consenso perduto ai danni dei più deboli, dei migranti, invocando nuove forme di irreggimentazione sociale, di individualismo identitario e neo nazionalista, patriarcale e razzista. Dio, patria e famiglia nel XXI secolo, in salsa social network.
L’incedere in tutto il mondo di questa ondata, sta smascherando i reali meccanismi del potere globale, la violenza e la morte su cui si fonda il moderno sistema capitalista, incapace di produrre benessere e sempre più abbarbicato a meccanismi di rendita ed estrazione di ricchezza dai beni comuni e dalla cooperazione sociale.
E’ in questo contesto che stiamo assistendo all’attacco sferrato a livello globale ai migranti, alla solidarietà, all’organizzazione di qualunque azione di supporto, con l’evidente scopo di polarizzare ancora di più un corpo sociale che ha da tempo il mantra della guerra tra poveri come risposta all’impoverimento di massa.
In Italia, il decreto Salvini sulla “sicurezza” ha assunto un carattere volutamente simbolico del nuovo tipo di governance. In realtà quel provvedimento, perfettamente in linea con le politiche del suo predecessore Minniti, non solo presuppone la morte in mare o nei lager libici dei migranti, la loro invisibilità nel territorio, ma colpisce anche gli occupanti di casa, i manifestanti e gli operai in sciopero che bloccano le merci (col plauso degli industriali). E poi ogni giorno assistiamo a provvedimenti di amministratori locali volti all’esclusione dal (ormai ridottissimo) welfare, dagli asili, dalle case popolari, sulla base della provenienza.
Di fronte a questo scenario si è data una significativa reazione, una sostanziale ripresa di lotte e mobilitazioni negli ultimi mesi sulla questione migranti.
In particolare la grandissima manifestazione del 10 novembre a Roma, preceduta e seguita da innumerevoli mobilitazioni territoriali, ha reso evidente e visibile una consistente parte della società indisponibile ad arruolarsi nella crociata neo autoritaria. Questa parte della società, che continua a mobilitarsi, non si sta accontentando di testimoniare una presa di posizione: l’attacco è così grave che immediatamente si pone il problema della necessità di disobbedire, di sabotare, di infrangere i dispositivi della legge salvini.
Con la manifestazione del 10 novembre è nato il movimento degli indivisibili, un movimento che ha innanzitutto avuto la caratteristica di essere nato e cresciuto “dal basso”, senza grandi strutture organizzative alle spalle, composto da centinaia di collettivi, centri sociali, associazioni, comitati, che hanno deciso di prendere la parola e l’iniziativa in prima persona.
Si tratta di un elemento importantissimo, perché esiste un tessuto sociale, un reticolo di organizzazioni, attivisti, che, non solo non è stato travolto dal fallimento e dal collasso della “sinistra” istituzionale, ma, al contrario, sta ritrovando un senso di protagonismo e di attivazione, finalmente libero dai tentennamenti, dalle ambiguità, dalle compromissioni, del ceto politico “di sinistra”.
Questo tessuto sociale non nasce certo adesso, ma si è formato e si consolida nelle pratiche quotidiane, nel mutualismo, nella presenza nei quartieri, nelle scuole, nei posti di lavoro, in tutti quei luoghi dove si manifestano contraddizioni e mobilitazioni, in cui si producono conflitti, rivendicazioni di bisogni, si costruiscono le impalcature dei movimenti. Stare “in basso” significa anche riaffermare la centralità dei territori, il diritto all’autodeterminazione nelle scelte, nei percorsi, la centralità delle comunità in lotta, contro il neocentralismo autoritario.
Indivisibili, per tutti coloro che sono abituati a fare attivismo politico “sulla strada”, significa avere la consapevolezza che la questione migranti, così sovraesposta, così strumentalizzata ed allo stesso tempo tragicamente agitata, non può essere affrontata separatamente, come se fosse una questione a sé, accettando stupide e false contrapposizioni tra migranti e poveri autoctoni, tra rifugiati e terremotati o senza casa. Per questo non possiamo accettare il terreno di scontro fortemente voluto da razzisti e leghisti, ovvero delimitando il campo come se le migrazioni ed i migranti fossero scollegati dalle politiche globali, accettando la distinzione tra migranti “economici” e “rifugiati”, perché, come tutti noi, sono il prodotto delle politiche di guerra e depredazione, delle politiche che hanno prodotto la crisi climatica, dell’austerità e del neoliberismo capitalista.
Per questo il concetto di indivisibili si snoda su piani diversi:
Indivisibili sono i diritti. Il diritto ad una vita migliore, il diritto all’abitare, il diritto ai servizi sociali, il diritto di non essere sfruttati, discriminati, inquinati, il diritto ad una vita degna. Tutti questi diritti devono stare assieme, e riguardano tutti. I diritti sociali vanno rivendicati tutti insieme. Non c’è più alcuno status di cittadinanza o di nascita da “estendere” ad altri (ammesso che ci sia mai stato). I diritti sociali sono terreno di conquista, per tutti.
Indivisibili sono i soggetti. Migranti, precari, giovani, donne, anziani, lavoratori, ecc. Di fronte al tentativo di segmentazione sociale, di guerra tra poveri, di false contrapposizioni e differenziazioni “etniche”, dobbiamo ribadire che nostri fratelli e sorelle sono tutti coloro che lottano con noi, e che il nemico sta sempre in alto, e sventola bandierine nazionali.
Indivisibili sono le pratiche. Perché di fronte alla legge della barbarie disobbedire è giusto. Praticare l’illegalità è necessario. Dalle mille esperienze di cooperazione, mutualismo e welfare dal basso ai sindaci che violano i diktat di salvini; dagli occupanti di case e centri di accoglienza, dal boicottaggio della guerra e delle armi; dalle lotte contro il neocolonialismo fino al guttalax nei piatti dei leghisti (come a zerobranco), tutte queste pratiche sono indivisibili, sono parte della necessità di opporsi alla barbarie. Finalmente una parte consistente del corpo sociale ha rotto il tabù della “legalità”, si è aperto finalmente un dibattito sul fatto che la legittimità etica, la giustizia sociale, la pratica del comune, sono i princìpi delle nostre azioni. E quando una legge è così palesemente ingiusta, è necessario violarla.
Indivisibili significa che, se nella Babele dei poveri “ogni povertà parla di nuovo una lingua diversa”, il compito dei movimenti è quello di ritrovare una “koinè”, un canale comune di comunicazione ed iniziativa, di lotta, senza annullare le differenze, le lingue diverse, ma capace di intersecarle, di ricombinarle, di metterle in comune.
Non ci nascondiamo che questo nascente movimento degli indivisibili ha bisogno di fare ancora tanta strada, anche se abbiamo già visto molti momenti significativi.
Tutte queste numerose e diffuse mobilitazioni si stanno ponendo alcuni interrogativi comuni, poiché il movimento ha la necessità di “evolvere”, di trovare percorsi di sviluppo per il suo allargamento e per dare gambe concrete alle pratiche di opposizione, di disobbedienza al governo della barbarie.
Innanzitutto si stanno formando reti territoriali di iniziativa e condivisione. Reti composte da soggetti anche molto diversi, che praticano forme di accoglienza, cooperazione, mutualismo, condivisione.
Queste reti hanno la caratteristica di essere aperte ed inclusive, perché ci sono molte storie e sensibilità diverse, in cui l’obiettivo è la contaminazione, la discussione, la ricerca.
Riteniamo inoltre sia necessario individuare alcuni obiettivi ed iniziare a definire delle campagne comuni, in grado di mettere fortemente in discussione le attuali politiche migratorie e non solo.
NEOCOLONIALISMO: è urgente puntare i riflettori sul ruolo delle multinazionali, dei produttori di armi, dei predatori delle risorse e dei promotori delle guerre, nell’attuale scenario di depredazione ed impoverimento di intere aree del mondo, in particolare l’Africa (ma non diversamente in America Latina ed in molte aree dell’Asia). E’ evidente che in Italia ed in Europa ci sono consistenti settori del capitale coinvolti in queste politiche, che sono una delle fondamentali cause delle migrazioni.
DIRITTO ALL’ABITARE ED AL WELFARE: le pratiche della cosiddetta accoglienza hanno la necessità di estendersi, rivendicando un concetto molto semplice, quale quello del diritto ad un tetto PER TUTTI. Sappiamo bene come il governo non condanni solo migliaia di rifugiati alla condizione di senza casa, ma che la casa è uno dei beni su cui si concentrano speculazioni per tutti.
NO ALLO SFRUTTAMENTO: Come è già stato più volte sottolineato, le politiche migratorie non sono altro che normazione e disciplinamento di forza lavoro. Siamo tutti perfettamente consapevoli che i corpi dei migranti saranno messi al lavoro. Come già per coloro che sono arrivati vent’anni fa, saranno sottoposti allo sfruttamento intensivo, tenuti sotto scacco e sotto ricatto dal loro status, manodopera altamente sfruttata ed a basso costo. Già adesso molti sono già al lavoro in condizioni iper precarie, senza diritti, in nero e, senza residenza, senza alcun accesso al welfare, ecc. Per questo è necessario aprire una campagna di inchiesta / azione all’interno dei luoghi di lavoro, per la rivendicazione dei diritti, della residenza, dei permessi di soggiorno.
LIBERTA’ DI MOVIMENTO: In un mondo globale, in cui le filiere di produzione e circolazione delle merci si snodano in tutto il mondo, è necessario ribadire il diritto alla libertà di movimento delle persone. Per questo va rivendicato il diritto al soggiorno ed alla costruzione di canali sicuri per il movimento degli esseri umani. Per questo va rivendicata innanzitutto l’apertura dei Porti, il diritto a non morire durante il viaggio ed a arrivare in un porto sicuro. E’ necessario anche riprendere la campagna contro i CPR, le strutture della detenzione “amministrativa” peggiori delle carceri, per migranti che non hanno commesso alcun reato, se non quello di essere in vita.
CULTURA: In questa fase di grande confusione riteniamo indispensabile investire verso l’attivazione di produzioni culturali ed artistiche schierate col movimento degli indivisibili. La comunicazione è uno snodo cruciale, non solo per respingere le “narrazioni” dominanti, ma anche per costruire immaginario comune, sogni ed utopie concrete, quelle che ci fanno camminare insieme.
MUTUALISMO E COOPERAZIONE: E’ necessario valorizzare, potenziare e mettere in rete le migliaia di esperienza esistenti di costruzione di società altra, attraverso la costruzione di welfare dal basso, attraverso forme di cooperazione e mutualismo, ecc. Forme di vita che mettono in pratica già adesso nuovi legami sociali, fondati sulla solidarietà, sulla condivisione, sulla pratica del comune; forme che creano immediatamente nuovi legami sociali e comunità aperte ed includenti ed in lotta contro il blocco autoritario e razzista.
Gli obiettivi sono molto alti e l’attacco ai diritti è molto forte. Ma come sempre la vita eccede i dispositivi di repressione, normazione ed irreggimentazione sociale. Avremo bisogno di nuovi passaggi di riconoscimento reciproco, di consolidamento e rilancio della potenza dei movimenti.
Noi siamo pronti.
“I poveri furono i soli
a creare un sindacato sulla torre
Ma è anche vero che non sono mai riusciti
a trattare con un padronato senza volto
e dopo 2400 anni senza salario
si misero d’accordo per scendere senza preavviso
alla calunniata terra matria”