Quattordicesimo giorno di mobilitazione. I ferrovieri e i dipendenti del trasporto pubblico parigino sono in sciopero dal 5 dicembre e la loro mobilitazione sta riuscendo a paralizzare quasi completamente il paese. Accanto a loro si mobilitano le altre categorie: la funzione pubblica, gli insegnanti, i lavoratori dell’energia hanno scioperato il 5, il 10 e ieri, il 17 dicembre.
Accanto ai grandi cortei si moltiplicano le azioni “dal basso” nelle quali i militanti sindacali si mescolano ai gilets jaunes : il 10 dicembre i portuali hanno chiuso i porti di Marsiglia e di Le Havre, mentre sette delle otto raffinerie presenti nel paese sono state bloccate dagli sciopero. Dall’inizio delle proteste i depositi della RATP (la società parigina del trasporto pubblico) sono stati anch’essi bloccati dai lavoratori in sciopero e da cittadini solidali, mentre sono state segnalati a più riprese tagli all’alimentazione elettrica in varie zone del paese sia il 10 che il 17.
Scioperi a forte impatto e con un sostegno in crescita
Le ripercussioni sulla vita quotidiana di chi vive in Francia sono notevoli: a Parigi, la città più colpita, circolano solo due linee metropolitane, quelle con i treni automatici, i tempi di attesa alle fermate dell’autobus superano la mezzora e mote linee non sono attive, mentre i treni che collegano la città alla sua enorme periferia sono anch’essi in buona parte fermi ai depositi. Chi può, lavora da casa, chi invece è obbligato a spostarsi, recupera la bicicletta o si avventura in automobile nel traffico cittadino.
A due settimane dall’inizio delle proteste, lo straordinario si va pian piano “quotidianizzando” e sembra che nemmeno le festività natalizie passeranno indenni le prossime settimane. Tuttavia, secondo un sondaggio IFOP riportato da diversi media (Le Journal du Dimanche, LCI, Nouvel Observateur) il sostegno dell’opinione pubblica anziché diminuire, dall’inizio degli scioperi non è che aumentato: 46% sostenevano o nutrivano simpatia per le mobilitazioni il 1 dicembre, 53% il 6 dicembre e 54% il 15 dicembre.
Forti del sostegno in crescita e dello slancio accumulato in queste settimane di mobilitazione i ferrovieri e i lavoratori RATP sono decisi a proseguire con le mobilitazioni anche nei giorni cruciali delle feste, con la sola eccezione del sindacato “riformista” CFDT che ha invece chiesto ai suoi iscritti di concedere una “tregua” per natale.
Governo in difficoltà, sindacati agguerriti
All’indomani della grande manifestazione del 17 dicembre la principale preoccupazione sembra essere proprio una tregua natalizia, che consenta ai francesi, “di raggiungere la propria famiglia e avere un po’ di serenità” secondo le parole del governo. L’”intersindacale”, il comitato che riunisce le organizzazioni sindacali mobilitatesi fin dall’inizio contro la riforma (principalmente CGT, FO, FSU, Solidaires) ha annunciato ieri in un comunicato ufficiale intitolato “Nessuna tregua, fino al ritiro!” che “senza ritiro del progetto, non ci sarà alcuna tregua. Facciamo appello a organizzare delle azioni di sciopero e delle manifestazioni ovunque possibile, in particolare il 19 dicembre attraverso delle mobilitazioni locali, e questi fino alla fine dell’anno”.
È per scongiurare questa eventualità che il capo del governo, Edouard Philippe, ha convocato i sindacati oggi [mercoledì 18, Ndr] e domani per un giro di consultazioni. Questa volta con lui non ci sarà l’Alto Commissario Jean-Paul Delevoye, incaricato nel 2017 dal governo di negoziare e redigere il progetto di riforma. Delevoye si è dovuto dimettere dopo che la stampa ha scoperto che quest’ultimo ricopriva una serie di incarichi remunerati in alcune organizzazioni legate al mondo assicurativo, che ha forti interessi nello smantellamento dell’attuale sistema pensionistico. Il governo ha nominato un nuovo Commissario, stavolta proveniente direttamente dalle file della maggioranza parlamentare, il deputato Laurent Petraszewski, ex responsabile risorse umane presso Auchan e protagonista di un episodio poco edificante raccontato dai sociologi Michel Pinçon e Monique Pinçon-Charlot nel loro libro “Le président des ultra-riches” (Parigi, La Découverte, 2019): nel 2002 Petraszweski fece licenziare una cassiera per non aver fatturato 80 centesimi di spesa e aver donato un pane al cioccolato bruciato a una persona. Inoltre Petraszewski ha anche dichiarato di aver percepito compensi da Auchan per un montante di 71 mila euro nel 2019 in quanto responsabile risorse umane di Auchan, anche se all’epoca era già deputato e non poteva accumulare incarichi remunerati. Petraszewski ha poi precisato che si trattava di una semplice liquidazione ma le opacità intorno a lui hanno cominciato ad addensarsi già il primo giorno del suo nuovo incarico.
Crisi del macronismo?
Il caso Delevoye e un possibile nuovo caso Petroszewski da un lato e la forza delle mobilitazioni di questi giorni dall’altro sono il sintomo di una crisi del macronismo, in particolare della sua capacità di formare una classe dirigente indipendente dagli interessi della grande impresa così come di trovare la legittimità necessaria a mettere in pratica il proprio programma, appiattito sugli interessi delle imprese e dei francesi più ricchi.
D’altra parte questa carenza di legittimità era evidente già all’indomani del secondo turno delle elezioni presidenziali. Pochi giorni dopo il duello Macron-Le Pen, le Monde sottolineava la debolezza del consenso a Macron: appena 8 milioni di voti al primo turno e 20 al secondo, a fronte di 10 milioni di astenuti al primo turno e 12 milioni al secondo.
Quello che tutti sapevano ma facevano finta di ignorare è che Macron non è stato eletto per il proprio programma, ma per scongiurare la vittoria di Marine Le Pen. Ciononostante sin da subito il giovane presidente ha deciso di indirizzare la Francia verso politiche neoliberali rifiutando ogni negoziato: e così nell’agosto-settembre 2017 sono state adottate le ordinanze che deregolamentavano ulteriormente il mercato del lavoro e riducevano gli spazi di democrazia nelle imprese; nel dicembre dello steso anno l’imposta sulle grandi fortune è stata abolita, una scelta dal forte impatto simbolico che ha lasciato il segno in tempo di austerità, proprio mentre i trasferimenti sociali, in particolare quelli per gli affitti, venivano tagliati; nella primavera del 2018 è arrivata l’attacco ai ferrovieri, con la fine dello statuto speciale degli “cheminots”, una delle categorie più sindacalizzate e combattive in Francia, e la riforma dell’istruzione universitaria che rendeva più competitivo e selettivo, in termini di classe, il diritto allo studio. Queste due riforme hanno generato una prima risposta sociale di massa, con il grande sciopero delle ferrovie e le occupazioni delle università. Ma l’incapacità di allargare il movimento e la forte repressione poliziesca e mediatica avevano avuto ragione delle resistenze. Vinte queste due battaglie il macronismo sembrava davvero invincibile e le opposizioni parlamentari e sindacali impotenti. È proprio nei mesi successivi che la rivolta dei Gilet gialli è esplosa, a cavallo di due grandi questioni dolenti del mandato Macron: la questione ecologica e quella sociale.
Nell’agosto 2019 Nicolas Hulot, ministro dell’ambiente e figura storica dell’ecologismo francese, si dimette, stanco dell’incapacità di affrontare seriamente la crisi ecologica e l’influenza che gli interessi della grande impresa hanno sul governo. Proprio in quei mesi il governo decide di imporre una tassa “ecologica” sui carburanti che in realtà penalizza in maniera spropositata le classi medie e popolari: l’indignazione monta spontaneamente al di fuori di ogni organizzazione e sfocia nelle occupazioni delle rotonde: è l’inizio della rivolta dei gilet gialli che mette sotto scacco il governo per mesi ed ha cambiato radicalmente lo spazio politico e sociale francese.
Macron e il suo governo arrivano quindi all’appuntamento della riforma in grande difficoltà politica e in crisi di legittimità. Inoltre su questa riforma si cristallizza un malcontento generale diffuso nella società francese dopo decenni di austerità e crescita delle disuguaglianze.
L’opposizione sociale alla riforma è forte e in espansione, ma il governo ha scommesso troppo su questo progetto e nessuna delle parti sembra intenzionata a retrocedere. Tutto dipenderà dalla durata e dall’intensità delle mobilitazioni e anche dalla loro capacità di estendersi nelle prossime settimane.
*Francesco Massimo – Fa parte della redazione di Jacobin Italia. Fa ricerca e insegna a Parigi.