Non è certo una novità che lo Stato proceda con interventi repressivi di ordine pubblico per far fronte ai problemi reali e materiali che i cittadini devono affrontare quotidianamente; basti rammentare quanto è successo un paio di anni fa nei confronti dei movimenti di lotta per la casa a Roma, più recentemente a Bologna, qualche giorno fa a Padova; basti pensare alle cariche contro i facchini a Bologna, a Torino, a Parma, e, da ultimo, qui a Grisignano nel vicentino; basti riandare alle retate di militanti dei movimenti con provvedimenti restrittivi di vario genere, con un ventaglio che va dall’arresto all’obbligo di firma, con il foglio di via coatto, con un uso abnorme delle imputazione per il reato associativo, sia esso qualificato in associazione a delinquere o sovversiva.
Dopo tempo, troppo tempo, abbiamo spesso assistito alla caduta di tali pesantissime imputazioni associative sia in sede istruttoria, sia in sede dibattimentale: bene per le soggettività coinvolte, male per i movimenti espressione di quelle lotte. Hai voglia di urlare e scrivere – giustamente – che la repressione non ci fermerà, ma nella realtà i provvedimenti restrittivi e, spesso, anche gli interventi di ordine pubblico ottengono quello che avevano come obiettivo: frenano, rallentano, bloccano i percorsi di lotta, anche quelli più radicati e massificati. Lo abbiamo visto nel passato e lo constatiamo nel presente: i movimenti ci devono convivere e lo devono, sempre, mettere nel conto del possibile.
Tuttavia nell’applicazione della ‘giustizia’ va registrato oggi un paradosso. Nel mentre si è allargata nella procedura e nell’architettura del processo penale una cultura e una metodologia più ‘garantista’ rispetto al passato, probabilmente perché tra le maglie della giustizia è passato anche il fior fiore della classe politica istituzionale ed amministrativa, contemporaneamente assistiamo ad uso spropositato delle imputazioni e delle condanne per i reati sociali, quali resistenza, violenza privata, oltraggio, picchetto, blocco stradale, perfino il blocco degli sfratti diventa interruzione di pubblico servizio [quello dell’ufficiale giudiziario].
E non è un approccio estemporaneo, frutto del becero protagonismo di questa o quella Procura, che legge un corteo accompagnato da qualche petardo come fosse il prodromo di una insurrezione organizzata da bande armate. Signori giudici inquirenti [e giudicanti] datevi una calmata: leggere con questo codice la quotidianità delle lotte nella crisi rasenta il ridicolo, forse inconsapevolmente per chi non ha vissuto dal vivo gli ultimi 30 anni del 900. Ne consegue, dunque, che il terrore per le istituzioni sono le lotte sociali nelle città e nei territori e non certo le corruttele, le associazioni mafiose politiche e non, tanto più quando la crisi economica, quando l’impoverimento diffuso, quando la risoluzione delle difficoltà sociali sono una realtà condivisa da milioni di cittadini. E come tale va indagato e perseguito da una Giustizia a cui viene assegnato un ruolo di supplenza della Politica per una soluzione ‘manu militari’ di problematiche sociali. Una vecchia e collaudata pratica per una fase politica e per delle pratiche sociali tanto diverse che, spesso, l’indignata risposta rimane nei bit criptati di Anonymous.
La disobbedienza civile, la rivendicazione di diritti negati, la richiesta di reddito e di servizi adeguati diventano immediatamente problemi di ordine pubblico, di cui si possono vedere i riflessi politici, un esempio macroscopico è presente nel decreto di Alfano sugli stacchi contro le abitazioni abusive, che fa il verso alla legge antisciopero 146/92 chiamata anche legge anti cobas, ma lo si può notare anche – qui nel Veneto – nel protagonismo dell’assessore all’istruzione, formazione e lavoro Elena Donazzan.
Questa si è permessa per ben 2 volte nell’arco temporale di un mese di entrare a gamba tesa in due importanti vertenze di lavoro in cui i lavoratori e le lavoratrici erano rappresentate in larghissima parte dall’ADL cobas. In ambedue i casi, alla NEK, impresa di sanificazione ambientale, e al PRIX, importante catena di supermercati, la Donazzan, anziché produrre un’opera di mediazione politica e sociale, come nelle sue competenze istituzionali, ha istigato le associazioni industriali di categoria, con il placet dei sindacati ufficialmente riconosciuti, a desistere da siglare accordi con le rappresentanze reali dei lavoratori e ha redarguito gli stessi Prefetti per essere stati troppo accomodanti con i lavoratori, chiedendo ad alta voce che le vertenze fossero affrontate come problema squisitamente di ordine pubblico.
La magistratura padovana non si è fatta attendere molto e, contro il comitato di lotta per la casa ha messo in pratica le indicazioni politiche ricevute, applicando alla vertenzialità sociale, alle occupazioni e al blocco degli sfratti, pratiche tipiche e caratterizzanti del sindacalismo sociale, comuni, per altro, a una molteplicità di soggetti, il reato di associazione a delinquere, con l’aggravante di interruzione di pubblico servizio, in essere nell’operato dell’ufficiale giudiziario.
E’, ci auguriamo, sbagliato immaginare una concatenazione meccanica tra le varie vertenze, che si muovono in piani e ambiti diversi, ma nel pensare male, spesso, ci si avvicina alla realtà fattiva; se questo lo fosse, sarebbe un pessimo segnale per i percorsi sociali che cercano e praticano la soluzione della crisi che attanaglia milioni di persone con la pratica delle lotte.
Un ultimo appunto lo vogliamo dedicare al ruolo della stampa locale, in particolare al Mattino di Padova, che per vendere qualche copia in più, ha preparato l’opinione pubblica alle operazioni di polizia, stuzzicandone la morbosa curiosità politica andando a delineare banali mappature di movimenti e soggetti, rinvangandone i trascorsi politici e giudiziari. Giusto per non dismettere il ruolo velinaro e criminalizzante che tanta stampa locale, e non, ha avuto e, così, far risplendere la stella di sceriffo allo scribacchino di turno.