Da decenni la vita pubblica italiana è accompagnata da un sottofondo musicale dato da un perpetuo rumor di manette, che in questi giorni ha aumentato i suoi decibel con l’accantonamento dell’istituto giuridico della prescrizione, sponsorizzato dal ministro Bonafede, concordato con la Lega ai tempi del Conte1, e ora fortemente voluto dai 5 Stelle, pronti a fare le barricate parlamentari a fronte delle vaghe proteste dell’area PD, rimasta col cerino in mano.
È sicuramente un ulteriore slittamento dei diritti del cittadino di fronte all’arroganza del potere giudiziario: l’abolizione della prescrizione però è la ciliegina sulla torta. Un ultimo strappo al logorato vestito delle garanzie individuali, l’oltrepassamento del patto sociale repubblicano, la trasformazione dello Stato di diritto in uno Stato autoritario dell’epoca neoliberista, dove le difficoltà e le carenze della decisionalità politica sono, da molto tempo, supplite dalla Magistratura, con una estensione enorme della sfera di applicazione del diritto penale, su ogni aspetto della vita civile, che non sarebbero stati possibili se il Potere politico-rappresentativo, in grave crisi di rappresentanza, non avesse appaltato la gestione della vita pubblica al Potere giudiziario, con la penalizzazione completa di tutti gli aspetti del vivere sociale, sia privato che pubblico.
È un trasferimento di competenze, di ambiti di intervento ed azione che viene da lontano, ma il possiamo individuarne l’origine nel ruolo ricoperto dalla Magistratura, sia inquirente che giudicante, durante la fase dirompente della conflittualità sociale e di classe, verso la fine degli anni ’70 del secolo scorso. Un trasferimento di competenze che divenne evidente con il così detto caso e processo 7 Aprile, cominciato già nel 1977 e conclusosi 10 anni dopo.
Penalizzare il conflitto sociale nel tentativo di bloccarne gli ulteriori sviluppi o le derive, che potevano minare le fondamenta dello Stato costituito, è stata la mission affidata alla Magistratura, che ha operato di conseguenza, esondando dal proprio ruolo, dalla propria funzione costituzionale.
Un ruolo che si è consolidato nello svolgimento delle inchieste contro la mafia stragista, contro le grandi cosche della criminalità nazionale e internazionale. Un riconoscimento sociale conquistato dall’azione politico-giudiziaria della Magistratura, costato e pagato con molti propri uomini, lasciati morti sul campo, e con uno scontro sotterraneo, infido e opaco con un Potere politico-istituzionale, inefficace, colluso e corrotto, con cui tenterà di fare i conti, poi, con il percorso chiamato di Mani Pulite. Da qui il via ad una valanga giustizialista della Magistratura, che ha travolto tutti gli argini garantisti e si è incuneata in ogni ambito societario, forte delle inchieste sul Berlusconi mafioso e pappone, sulle corruttele negli appalti delle Grandi Opere, mescolando il sacro e il profano, il privato e il pubblico, nel dilagare della penalizzazione della convivenza e del conflitto sociale.
Una deriva giustizialista che ha partorito un proprio partito politico [Italia dei Valori], che ha promosso l’agire politico di molti magistrati, scesi in campo con le medaglie delle loro inchieste. Un giustizialismo populista che è penetrato in profondità, formalmente, in tutte le compagini politiche, che è diventato il tratto caratterizzante dell’origine e del successo elettorale dei 5 Stelle. Fino ad arrivare alla recente ripresa della scena pubblica, attraverso il protagonismo meta-giudiziario del Potere politico-istituzionale, con le abnormità della legge Salvini, dove, si penalizza il dovere civico di salvare le vite umane in pericolo, facendo carta straccia della Costituzione e dei Trattati internazionali.
Ma senza perderci in dietrologie che possono risultare partigiane o di difficile comprensione a molti, visto il tempo trascorso, basta guardare all’oggi per rilevare la persistente azione di supplenza della Magistratura nei confronti dei vuoti, dell’incapacità/impossibilità della mediazione politica del Potere politico-istituzionale, a fronte delle domande sociali di cambiamento, prodotte dalle insorgenze e dalle lotte nel vissuto sociale quotidiano.
Che altro è la recente sentenza della Suprema Corte, che ha stabilito che coltivare in casa qualche piantina di cannabis non è reato, se non una risposta ai sempiterni tempi parlamentari sulla legge in materia di sostanze psicotrope?!
Che altro sono le multe [76.000€] inflitte a 19 operai (e 2 solidali) in applicazione della Legge Salvini, semplicemente colpevoli di aver scioperato e picchettato la tintoria Superlativa di Prato, dopo che non ricevevano lo stipendio da mesi e lavoravano in condizioni di totale sfruttamento?!
Che altro sono i Daspo, introdotti come misura amministrativa e penale contro le violenze durante gli avvenimenti sportivi, che grazie alla rielaborazione del buon Minniti sono debordati in ogni aspetto della conflittualità sociale radicale presente nelle città e nei territori, diventando una specie di confino preventivo alla commissione di ipotetici reati per episodi di violenza, che spesso sono le resistenze a sgomberi di edifici, ad aggressioni fasciste, o blocchi stradali per scioperi e manifestazioni non autorizzate?!
Che altro sono le recenti sentenze della Consulta e della Corte d’Assise di assoluzione per Marco Cappato per l’assistenza da lui prestata nella gestione del fine vita, se non l’invito esplicito a che cessi il ping-pong parlamentare sulla relativa legge in discussione?!
Che altro sono le condanne contro gli attivisti No Tav della Valle Susa, di cui Nicoletta Dosio si è fatta portavoce entrando in carcere a 74 anni, se non la richiesta, tutta politica, di mettere in discussione la penalizzazione della vita sociale, che, come giustamente ci ricorda Nicoletta, non può essere risolta con un atto di grazia ad personam, ancora una volta delegata alla Magistratura, il cui presidente è il Presidente della Repubblica, ma invece da ottenere attraverso una battaglia di libertà, che metta la centro la cancellazione immediata non solo dei decreti Salvini ma anche di tutte quelle micro norme che criminalizzano la povertà e il conflitto, compreso il Daspo urbano e da stadio.