Pubblichiamo la traduzione di questo appello apparso su Libération del 7 giugno 2016 [qui l’originale, con la lista dei firmatari]. L’appello raccoglie tra i firmatari, oltreché lavoratrici e lavoratori intermittenti dello spettacolo, i nomi di noti registi e direttori di teatri e istituzioni culturali. Si tratta insomma di una platea ampia che prende qui la parola, nel contesto del movimento francese, per rivendicare la battaglia che gli intermittenti dello spettacolo stanno conducendo. Alcuni elementi, in questo testo ci paiono di particolare interesse: in primo luogo il fatto che, al di là di alcuni passaggi tecnici che riguardano lo specifico della vertenza in corso, vi è contenuto un richiamo esplicito alla possibilità di considerare il modello dell’intermittenza non più soltanto in termini corporativi o settoriali, ma uno strumento da proporre come rivendicazione generale “di flexsecurity per tutti i cittadini” e dunque come terreno di lotta immediato per tutto il cognitariato metropolitano, in Francia ed in Europa. In secondo luogo l’individuazione di questo terreno, che è quello del riconoscimento del lavoro cognitivo e precario, come l’unico vero spazio di iniziativa in grado di far paura al patronato e agli amministratori dell’austerity. Ed infine il rifiuto da parte degli intermittenti di lasciar relegare la propria condizione all’interno delle compatibilità di bilancio dello Stato, dunque in termini essenzialmente assistenziali e perciò esposti all’alternanza delle forze di governo. Al contrario, la posizione qui espressa, definisce il modello dell’intermittenza dei lavoratori dello spettacolo come economicamente efficace e sostenibile, basato sul pieno riconoscimento delle forme immateriali di produzione della ricchezza.
«Ci sono giorni in cui non bisogna aver paura di chiamare per nome le cose impossibili da descrivere» (René Char).
Sfinimento… Le rivendicazioni degli intermittenti dello spettacolo per ottenere il diritto all’indennità di disoccupazione e preservare il loro statuto specifico faticano a farsi sentire. È difficile sfuggire all’etichetta di “privilegiati” che qualcuno affibbia loro solo per poter discreditare una lotta che dura da quasi 25 anni: una lotta condotta dapprima sulla difensiva, e poi, dopo una dozzina d’anni, in modo costruttivo, avanzando proposte concrete e con l’elaborazione collettiva di un progetto valido.
Il nostro pubblico ha finora faticato a comprendere le nostre rivendicazioni, troppo tecniche, e a comprendere che i tecnici e gli artisti che quello stesso pubblico applaude, sono in maggioranza lavoratori precari: una realtà che col passare del tempo diventa sempre più grave. In questa breccia si sono da sempre precipitati il Medef1 e i suoi alleati, con una durezza tale da farci pensare che il loro vero timore sia che emerga il modello di ciò che potrebbe essere una flexicurity per tutti i cittadini.
Al di là dell’argomento secondo il quale i valori, i pensieri, le esperienze percettive che sono prodotti sulle nostre scene, nei nostri film e nelle nostre musiche sono necessarie al buon andamento di una società che considera e rispetta l’insieme di coloro che la compongono, i detrattori degli intermittenti non hanno mai tenuto conto del fatto che il settore dello spettacolo produce più ricchezza di quanto non costi – argomento confermato da numerosi economisti.
Nella notte tra il 27 e 28 aprile è stato firmato un accordo che verte sul funzionamento degli annessi 8 e 10 al codice dell’Unedic2 che regola il sistema d’indennizzo degli intermittenti dello spettacolo. Un comitato di esperti composto da un ispettore generale degli affari sociali, un magistrato onorario della Corte dei conti, un sociologo, dei rappresentanti dell’Unédic, di Pôle Emploi e dei ministeri della Cultura e del Lavoro, presieduto da un economista, ha approvato questo accordo che permette di realizzare risparmi per più di 90 milioni di euro.
Questo accordo è storico
intermittents_en_lutteEsso recepisce buona parte delle rivendicazioni degli intermittenti: sulla data detta “d’anniversario”3, sulle 507 ore su 12 mesi, sul riconoscimento del congedo di maternità e delle ore d’insegnamento artistico, sui diritti pensionistici. L’insieme del nostro settore ha accettato in cambio di fare importanti sforzi: fissazione di un tetto massimo per le indennità, soppressione del versamento dei contributi per l’indennità di disoccupazione durante i congedi pagati, aumento dell’1% dei contributi a carico del datore di lavoro. Considerate le difficoltà dell’insieme delle strutture e compagnie che vedono i loro budget dileguarsi anno dopo anno, queste concessioni sono la prova di una consistente volontà di adattamento: uno sforzo che finora nessun altro settore ha accettato di fare.
Il 30 maggio il Medef e le confederazioni CFDT, CFTC, CGC hanno rifiutato di firmare l’accordo del 28 aprile, sconfessando nel contempo il loro “settore dello spettacolo”. Col pretesto di insufficienti economie, non hanno voluto integrare l’accordo con la nuova convenzione di indennità di disoccupazione dell’Unédic.
Sfinimento… Questo rifiuto non ci stupisce: esso era già scritto nella “lettera d’inquadramento” proposta dal Medef prima che iniziasse il negoziato. Questa lettera esige che il settore “spettacolo” realizzi 185 milioni di euro di economie (400 al 2020): una sproporzione di bilancio inaccettabile.
Con quale coraggio si chiede al 4% dei disoccupati indennizzati, di sostenere il 23% delle economie totali (dei tagli?) dell’Unédic (50% al 2020)?
Gli intermittenti non possono sopportare questo sforzo.
Essi hanno altri scopi, che quello di uccidere il soggetto che si pretende di curare.
Il governo, per voce del suo Primo Ministro, ha dichiarato di «volersi impegnare per preparare la messa in opera dell’”accordo” affinché entri in vigore a luglio». Manuel Valls ha manifestato l’intenzione di prorogare l’accordo per decreto, lasciando credere a tutti che il problema era stato risolto. Ricordiamo che nel 2014, Manuel Valls aveva annunciato che il governo si sarebbe fatto carico di uno dei dispositivi del protocollo firmato quell’anno: la cosiddetta «retribuzione differita»4. Una misura, all’epoca, presentata come una tantum.
Noi rifiutiamo categoricamente che la presa in carico dello Stato diventi permanente. Questa proposta, presentata come generosa, è in realtà estremamente pericolosa. Perché?
Se oggi l’indennità di disoccupazione degli intermittenti dello spettacolo fosse finanziata, almeno in parte, dallo Stato, lo specifico regime previdenziale degli intermittenti sarebbe vincolato ai budget dello Stato e alle alternanze politiche. E allora… che succederebbe al prossimo cambio di presidenza alla testa dello Stato, al prossimo cambiamento di governo o di maggioranza parlamentare? Che succederebbe se domani il nuovo Primo Ministro rifiutasse di portare avanti ciò che Manuel Valls pretenderebbe di aver salvato oggi?
La risposta è chiara: l’intermittenza, essenziale e strutturale per la sopravvivenza del nostro settore, scomparirebbe, sic et simpliciter, senza che alcuno possa far nulla per impedirlo.
Una tragica scomparsa che spazzerebbe via in un sol colpo 25 anni di lotte in un quadro democratico di negoziazione.
Se così fosse, saremmo in molti a dire che sarebbe proprio un governo di sinistra ad aver affossato gli intermittenti e, attraverso loro, la vitalità della cultura francese.
Il 16 giugno si svolgerà l’ultimo negoziato interprofessionale sull’indennità di disoccupazione.
Noi, intermittenti dello spettacolo o direttori permanenti dei teatri, direttori di istituzioni culturali, responsabili di compagnie teatrali e festival, autori al fianco degli intermittenti, saremo molto attenti allo svolgimento della riunione e saremo disposti ad agire tutti insieme in caso di rifiuto della firma dell’accordo approvato all’unanimità il 28 aprile 2016.