Nonostante le iniezioni monetarie espansive di Mario Draghi, l’economia italiana ed europea non si solleva dalla sua depressione. Così il Pil pro capite italiano è ai minimi da 10 anni (25.256 euro), e l’Italia è spaccata in due: gli abitanti del nord ovest superano quota 30 mila (30.821), mentre al sud si fermano a 16.761 euro. Nuovo lavoro non ne è stato creato, anzi si manifesta un forte squilibrio a sfavore delle donne (70,6% gli uomini occupati, 50,6% le donne), e con un netto divario territoriale tra l’occupazione al centro-nord e quella al sud. Insomma Renzi e Squinzi si sono fermati a Eboli
La povertà relativa coinvolge circa il 10% delle famiglie, quella assoluta un altro 5,7%. Nel 2014 l’indicatore di grave deprivazione materiale, spia delle difficoltà economiche, segna una piccola riduzione (dal 12,3 all’11,6%), ma il problema riguarda ben 7 milioni di persone, quattro delle quali nelle regioni del meridione. Non certo per caso, sale al 14% l’incidenza del lavoro precario a termine nel 2015, ed è più alta al sud (18,4%) rispetto al centro nord (12,5%). Quanto agli occupati a tempo parziale (18,5%), anche in questo caso è un dato in crescita. Ma nella classifica del lavoro, l’11,7% di tasso di disoccupazione – dato non comprendente chi lavora saltuariamente con voucher et similia – resta altissimo. Nella Ue soltanto la Grecia, la Croazia e la Spagna hanno tassi di occupazione inferiori al 56,4% italiano. Per giunta il 58,1% dei senza impiego cerca lavoro da oltre un anno. La dimensione media delle imprese italiane, pari a 3,8 addetti, è di gran lunga inferiore al dato medio europeo (5,9).
La fotografia dell’Istat rileva poi una continua diminuzione del tasso di natalità. Nel 2014 si attesta a 1,37, rispetto al 2,1 necessario per garantire il ricambio generazionale. Per fortuna ci sono gli immigrati: all’inizio del 2015 ne sono stati censiti oltre 5 milioni (1,9% in più rispetto al 2014), che rappresentano l’8,2% del totale dei residenti. Stranieri che hanno una istruzione poco inferiore agli italiani: tra i 15-64enni quasi la metà degli stranieri ha la licenza media, il 40,1% ha un diploma superiore, e il 10,1% una laurea (tra gli italiani il 15,5%).
In questa cornice Renzi licenzia il DEF, il documento di economia e finanza che contiene le linee guida che il governo intende seguire nel prossimo anno: non emerge alcuna novità sostanziale, solo una conferma di quanto messo in campo e qualche allusione ad interventi sociali [pensioni?] qual ora le condizioni li rendano possibili; si conferma la riduzione del rapporto deficit/PIL a fronte di una leggera crescita del debito pubblico complessivo e un del PIL di 1, 2 punti percentuali. Una revisione al ribasso su quanto preannunciato euforicamente, dovuta al decremento del consumo al dettaglio delle famiglie italiane che la dice lunga sulla comune percezione della crisi.
Una gelata sulla valutazione del PIL italiano [ed europeo] viene confermata dal FMI per bocca dell’ineffabile lady Lagarde, che assegna all’Italia un misero + 1% e allerta tutti i governi rappresentando un mondo economico instabile e costantemente in balia a possibili sommovimenti.
Insomma si viaggia a vista avvolti dalla spessa nebbia di questa crisi in cui tutti gli interventi economici adottati si sono rivelati dei palliativi e hanno approfondito il divario economico e sociale tra i cittadini, da cui se ne esce solo con un cambiamento profondo e radicale, dove la solidarietà, il mutualismo, la cooperazione e le produzioni si possano dislocare su di un nuovo e condiviso progetto societario.