Le ordinanze restrittive emanate per fronteggiare la diffusione del c.d. “Nuovo Corona Virus” e per ultimo il DPCM dell’8 marzo hanno messo a nudo e drammatizzato la condizione di estrema precarietà, assenza di tutele e bassi redditi che colpisce i lavoratori e le lavoratrici di alcuni settori dei servizi quali quello della cultura, delle arti, dello spettacolo, dello sport e dell’intrattenimento, del turismo, dell’educazione e dei servizi sociali in appalto oltrechè del lavoro domestico e di cura. Diverse centinaia di migliaia di persone occupate in questi ambiti lavorativi – dipendenti, parasubordinati, soci di cooperativa, autonomi, in nero – si vedono già dimezzati se non azzerati gli introiti economici. E così moltissimi freelance, artigiani e commercianti.
Il diritto alla salute è un bene primario da garantire indistintamente con serietà, competenza e attraverso precauzioni adeguate. Certo è che questo tipo di gestione della crisi sanitaria non colpisce tutti e tutte allo stesso modo: c’è chi è obbligato a stare a casa e chi deve comunque presentarsi al lavoro, non sempre per garantire beni e servizi essenziali, quasi mai nelle condizioni di totale sicurezza come se il virus si fermasse davanti alle porte delle aziende e dei magazzini.
In assenza di politiche adeguate, le misure di lockdown adottate per ridurre i contagi e rallentare la diffusione del virus, rischiano di acuire le già ampie diseguaglianze sociali presenti nel nostro Paese. Per questo parliamo di reddito di quarantena perché vogliamo politiche coerenti e basate su un criterio di giustizia sociale: se è necessario fermare servizi e attività produttive, devono essere assicurate a tutti e tutte le dovute garanzie reddituali, a partire dalle categorie che già prima di questa crisi avevano meno tutele e ammortizzatori sociali.
ADL COBAS ha lanciato un appello pubblico per affrontare collettivamente i temi della continuità occupazionale e di redditto nella fase dell’emergenza e in prospettiva alla luce della crisi e della ristrutturazione dell’economia e del mercato del lavoro e che inevitabilmente seguirà alle politiche di contenimento del “corona virus”.
Attraverso assemblee telematiche territoriali, settoriali e nazionali molto partecipate in primis dai lavoratori e dalle lavoratrici che abbiamo indicato, ma anche da tante altre realtà organizzate, associazioni di lavoratori, collettivi, piccole cooperative e micro imprese, abbiamo impostato un percorso rivendicativo nazionale volto ad ottenere subito un “reddito di quarantena” per affrontare le primissime esigenze economiche e successivamente conquistare ammortizzatori sociali degni per chi ad oggi ne è escluso nonché un vero reddito minimo di esistenza capace di tutelare chi è sospeso nella zona grigia tra lavoro subordinato e autonomo e per chi un’occupazione formale non ce l’ha.
Le misure approvate dal governo Conte, sebbene molto importanti da un punto di vista delle risorse mobilitate sono tuttavia insufficienti, selettive e ancora lontane dal riconoscere il principio della garanzia per ogni individuo di un minimo vitale. Freelance e professionisti, artigiani e commercianti, autonomi dello spettacolo, parasubordinati sono come sempre i più penalizzati: per loro è prevista solo una indennità una tantum di 600 euro. Una cifra che riuscirà a coprire solo una piccola parte delle spese ordinarie (secondo l’Istat la soglia di povertà è di 826,73 euro mensili se risiede in un’area metropolitana del Nord, a 742,18 euro se vive in un piccolo comune settentrionale), ma che non tutti potranno ricevere visto che queste misure prevedono dei tetti di spesa non adeguati a coprire la platea dei potenziali beneficiari. Lavoratori autonomi occasionali (chi lavora con la ritenuta d’acconto), colf e domestiche non avranno alcun ammortizzatore sociale.
Forse, potranno accedere ad un “Fondo per il reddito di ultima istanza”, ma lo strumento dovrà essere regolamentato e lo stanziamento (300 milioni di euro) è risibile.
Nonostante la sospensione di adempimenti tributari, contributivi e assicurativi, delle rate per il mutuo sulla prima casa, un bonus baby-sitting e il riconoscimento di un credito d’imposto sull’affitto di negozi e botteghe per marzo, per tutti questi lavoratori i prossimi mesi saranno drammatici.
I lavoratori dipendenti certamente potranno accedere a strumenti di integrazione del reddito straordinari (CIG e FIS con casuale “emergenza Covid-19”) ed in deroga, e per la volta anche le aziende con un solo occupato saranno coperte. Tuttavia dobbiamo ricordare che nelle busta paga la decurtazione reale per le ore di sospensione sarà del 30/40% e che probabilmente in molti non vedranno velocemente il pagamento di quanto dovuto perché sarà difficile ottenere l’anticipazione da parte dell’azienda e i tempi di pagamento delI’INPS non sono saranno immediati. Per non parlare del rischio legato al finanziamento di questi strumenti, in particolare della cassa integrazione in deroga.
A questi provvedimenti contrapponiamo la nostra proposta del reddito di quarantena che per il tempo dell’emergenza dovrebbe essere strutturato un trasferimento monetario diretto più consistente e universale rispetto alle indennità di 600€, l’accesso gratuito o calmierato a beni e servizi fondamentali, ammortizzatori sociali che coprano a tutti i lavoratori e le lavoratrici il 100% dello stipendio e che siano esigibili con tempestività.
Per il tempo della crisi che seguirà l’emergenza vogliamo però il riconoscimento di un reddito minimo di esistenza che assieme alla definizione di un salario minimo garantisca il principio che tutti hanno il diritto ad esistere, tutelati e protetti dalle malattie e dalla povertà
Una proposta concreta è l’estensione del cosiddetto “reddito di cittadinanza” in senso universalistico, incondizionato e non vincolante. La misura è finanziabile nell’emergenza anche con la massa monetaria in arrivo dalla Banca Centrale Europea, con le misure economiche di investimento annunciate, oltre che a regime con una necessaria riforma fiscale fortemente progressiva e coordinata, se non unificata, con quella degli altri Pesi dell’Unione Europea.
In questa prospettiva chi rischia di perdere una parte del proprio salario potrebbe ricevere ciò che manca da una quota del reddito. Chi è estraneo agli ammortizzatori sociali così riformati dal decreto “Cura Italia” può ricevere un reddito pieno calcolato sul massimale del “reddito di cittadinanza” vigente: 780 euro, subito, a testa. L’estensione di questa misura andrebbe a beneficio di chi è disoccupato, lavora nella zona grigia del lavoro informale e non ha potuto per mille ragioni accedere alla misura. Questa misura inoltre integrerebbe le indennità di 600 euro per i freelance, gli autonomi e i parasubordinati e sarebbe concepita come una misura strutturale e duratura, oltre l’emergenza, e per tutti gli anni a venire quando dovremo affrontare le conseguenze devastanti di una recessione globale che può avere effetti sociali, e politici, ancora imprevedibili ma di sicuro impatto sulla vita di milioni di persone.