Come ADL Cobas non possiamo non entrare in merito alla decisione di Alì spa di allargare il magazzino di via Svezia: altri 150.000 mq di cemento, che si vanno a sommare alla continua espansione della GDO nel nostro territorio, con il conseguente ulteriore consumo di suolo.
Padova è già martoriata dalla cementificazione, dove si stima una percentuale superiore al 49,4% di suolo già consumato e non ha di certo bisogno di sacrificare altre aree verdi, ridotte oramai al lumicino. Tra le altre cose, nella Zona Industriale e nell’area Zip esiste un numero enorme di magazzini ed ex fabbriche abbandonati che potrebbero essere riutilizzati senza bisogno di costruire nuovi edifici, certo con costi maggiori, ma è evidente che ogni nuovo metro quadro di suolo cementificato produce danni che si sommano in modo esponenziale. Quindi dobbiamo dirlo con grande determinazione: fermiamo le nuove cementificazioni. Questa città, non siamo noi a dirlo, è tra le più inquinate d’Europa e necessita di una riconversione ecologica seria, che parta da una consumo di suolo pari a zero e se mai va attuata una politica al contrario, nel senso di liberare dal cemento nuove aree. Padova, negli ultimi quarant’anni ha perso 30.000 abitanti mentre il consumo di suolo è continuato a crescere con previsioni da qui al 2050 di aumento della cementificazione tra gli 8 e gli 11 ettari all’anno. Occorre fermare questa follia se vogliamo contribuire in modo determinante a salvaguardare la città nella quale viviamo.
L’operazione di facciata di “Greenwashing”, che adotta Alì, non può certo coprire il danno che provocherà alla collettività con l’espansione del magazzino, sia nel territorio immediatamente adiacente che altrove, perché sappiamo bene che tale ampliamento è finalizzato all’apertura di nuovi punti vendita nella Provincia e nella Regione che significa quindi altre colate di cemento. Sicuramente in questo periodo tali scelte imprenditoriali non possono essere giustificate da un aumento dei consumi, visto l’aumento del costo della vita, ma sono solo il frutto della volontà di accaparrarsi fette di territorio da sottrarre alla concorrenza e di investire sul mattone (basti pensare all’inutile costruzione del centro commerciale ad Abano), il tutto a discapito dell’intera comunità. Inoltre è da sottolineare che tutto ciò comporterà un’imponente circolazione di mezzi, dato che la maggior parte della merce non è vero che proviene dal territorio, ma è in realtà di importazione, mezzi che andranno a contribuire al consolidamento dell’inquinamento dell’aria che respiriamo, che è già gravemente malata. Quindi non saranno un po’ di giovani alberi piantati a risanare l’impatto ambientale provocato da queste scelte scellerate, fatte in nome del solo profitto aziendale a discapito di tutti i cittadini, perché è bene ricordare, che queste grandi catene di supermercati sono anche tra le prime responsabili dell’incremento degli allevamenti e delle colture intensive e sono le maggiori responsabili dello spreco alimentare attraverso la politica “dello scaffale pieno” (che consiste nell’esporre la merce, indipendentemente se questa verrà venduta o meno, per dare un senso di abbondanza al cliente che entra all’interno del punto vendita); senza infine dimenticare che questi colossi dell’alimentare sono una fonte immane di produzione di rifiuti, derivanti dagli imballaggi utilizzati per il cibo e per il secco.
Nemmeno la promessa di 250 nuovi posti di lavoro può giustificare questa operazione: veramente riteniamo che siano questi i posti di lavoro che vogliamo e che le istituzioni e gli enti locali devono sostenere? Tra l’altro nella logistica, ed in generale nel settore della movimentazione merci, in particolare nella pianura padana, le offerte di lavoro si sprecano. Noi crediamo invece che il pubblico dovrebbe investire o favorire solo quelle iniziative economiche che creano posti di lavoro coerenti con le politiche di contrasto della crisi climatica ed ecologica. Inoltre come O.S. sindacale sappiamo bene cosa significhi per i lavoratori essere alle dipendenze di Alì spa. Basti ricordare infatti le vertenze che abbiamo portato avanti negli anni, che hanno riguardato proprio le condizioni di lavoro alle quali erano costretti a sottostare i dipendenti all’interno dei magazzini. La gestione di questi depositi, inizialmente, era appaltata a cooperative ed aziende truffaldine che garantivano alla committenza un basso costo della forza lavoro, senza alcun rispetto delle regole e delle norme, a discapito delle maestranze, attraverso l’applicazione di contratti pirata come l’UNCI e attraverso l’evasione fiscale e contributiva; successivamente, dopo che siamo riusciti, grazie alle lotte, ad imporre la legalità, un giusto salario e, per finire, l’internalizzazione di tutto il personale, la vertenza si è dovuta inevitabilmente spostare nella rivendicazione dei diritti sindacali, perché per la famiglia Canella i propri dipendenti non possono e non devono organizzarsi per rivendicare condizioni migliori. A testimonianza di tutto questo è importante ricordare che la prima mossa fatta da Alì spa è stata quella di negare l’agibilità sindacale, arrivando ad impedire ai lavoratori di riunirsi in assemblea e in seguito cominciare una vera e propria repressione nei confronti dei dipendenti fatta di minacce, lettere e sanzioni disciplinari anche per futili motivi, licenziamenti e denunce penali contro chi scioperava, il tutto per intimorire chi aveva il coraggio di alzare la testa.
Sappiamo che esiste una certa sudditanza da parte delle istituzioni nei confronti di questi grandi marchi, perché utilizzano anche politiche pubblicitarie di “Social Washing”, attraverso l’elargizione di denaro per eventi sportivi e sociali, che li fanno erroneamente vedere come benefattori , riteniamo però che questa Amministrazione, che prima delle elezioni, in continuità con quella precedente, ha preso impegni chiari verso una svolta ambientalista delle politiche sul consumo di suolo, non possa e non debba concedere la possibilità ad Alì spa di edificare su un terreno agricolo, perché come abbiamo detto sopra nulla può giustificare questa operazione.
Riteniamo invece che Amministrazione comunale ed Interporto, di cui il comune di Padova rappresenta uno degli azionisti, possano e debbano impegnarsi per una riconversione ecologica di tutta quella zona, attraverso l’abbattimento di quelle strutture che non sono più utilizzabili per dare spazio a aree verdi, attraverso l’installazione di pannelli fotovoltaici sopra tutti i magazzini esistenti, il riutilizzo dei magazzini e delle costruzioni abbandonate, anche a scopo sociale e non solo commerciale.