L’esperienza di occupazione transfemminista della regione piemontese ha sventato un attacco istituzionale che minacciava di chiudere quegli spazi che giornalmente offrono servizi di supporto e aiuto alle donne del territorio e mettono in atto pratiche di decostruzione del sistema patriarcale e di consapevolezza del pensiero non binario
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Il trenta marzo La casa delle donne di Alessandria si è svegliata con la notizia di un avvio di un procedimento di sgombero nei loro confronti. Una fonte interna al comune indica le giornate del 4 e 5 aprile come decisive del futuro dell’occupazione. L’allarme lanciato sui social e l’allestimento repentino delle tre giornate di resistenza ha riscosso un moto di solidarietà nazionale. Abbiamo chiesto a Marta, attivista della Casa e di Non una di meno di raccontarci questo spazio e come si sono svolti i fatti.
Cosa è successo in questi giorni alla Casa delle donne di Alessandria?
La casa delle donne è stata la prima occupazione dell’epoca Salvini al ministero degli interni nel 2018 e oggi a distanza di quattro anni è un’occupazione che ha resistito a uno sgombero. Ha davvero resistito grazie a un meccanismo di solidarietà e alla radicalità: si possono costruire esperienze di occupazioni transfemministe che siano in grado di far fronte agli attacchi che subiscono dalle politiche istituzionali.
Il valore di far parte di una rete così grande e così forte come quella di NUDM lo abbiamo sentito tuttə, dai nodi più vicini come Bologna, Torino, Treviso, Alba che sono venute a darci una mano a quelli più distanti che stanno parlando di quello che accade ad Alessandria. Non pretendiamo certo di essere un punto di riferimento, sappiamo di arrivare da una città di provincia, da una realtà piccola, ma crediamo che in qualche modo quello che è successo qui possa rappresentare un po’ un precedente.
Inizialmente è partita in modo spontaneo una campagna social che ha attirato varie artistə tra cui Zerocalcare, Anarkikka, Sted, Rita Petruccioli e tantə altre hanno espresso solidarietà con le illustrazioni che ci hanno regalato.
Poi durante la tre giorni che abbiamo lanciata è passata tantissima gente, siamo state attraversate da un’ondata. Nel pomeriggio della prima giornata sono venute due Drag una di Alessandria e una di una città qui vicino a leggere le storie senza stereotipi alle bimbe e bimbi che erano qui, poi abbiamo avuto un collegamento con la casa internazionale delle Donne di Roma, Lucha y Siesta, Porpora Marcasciano, La casa delle donne di Torino, Carlotta Cossutta insomma un po’ di realtà o soggettività che hanno voluto esprimerci vicinanza e la giornata si è conclusa con un momento di ballo e musica. Il giorno seguente è stato dedicato alle artiste della zona che sono venute a fare performance. Sono state davvero giorni in cui abbiamo goduto dello stare insieme, pur nell’ansia di quello che sapevamo sarebbe potuto succedere.
Il supporto ci è stato anche durante le notti, dove si è fermata a coprire turni anche gente che conosciamo appena. Quindi chi si oppone a questa esperienza ha sbagliato i conti e noi oggi siamo di più e più forti di prima.
Consideriamo questa situazione un grande risultato anche se sappiamo che la battaglia non è finita, siamo consapevoli che l’incubo dello sgombero continua a pendere sulla casa, ma forti anche che abbiamo dimostrato quanto pericoloso sia per la politica istituzionale la decisione di sgomberarci, per cui speriamo che ci penseranno con più attenzione prima di fare altri passi.
Qual è la situazione giuridica di questo spazio?
Ipab (Istituto di Pubblica Assistenza e Beneficienza) aveva in gestione lo stabile, la chiesa fondamentalmente. Sono enti in fase di scioglimento, c’è una normativa nazionale che regola il processo. Per questa struttura in particolare è stato nominato un commissario speciale, che svolge un po’ la funzione di un curatore fallimentare, anche se non c’è un fallimento in corso, ma uno scioglimento dei beni. Il commissario speciale fa capo alla regione e l’iter burocratico previsto per questo spazio ne prevede la presa in gestione da parte del comune. Esiste un passaggio redatto dalla regione del 2017 che dice al comune: allora comune ti svegli? Te lo prendi? Ma non c’è mai stata risposta.
Noi attualmente abbiamo mura che sono di proprietà della commissaria nominata dalla regione, che si sta occupando della struttura. Il problema è che questa situazione piace un po’ a tutti perché se ne lavano le mani, mentre noi chiediamo che il comune prenda la struttura tra i beni di sua proprietà per assegnarlo a Nudm, ma appunto su questo non ci sono passi avanti.
Il comune di Alessandria pare aver fatto voto di silenzio da molto tempo, è proprio questa situazione che vi ha portate a prendere la decisione di occupare?
Abbiamo scelto di mettere in atto l’occupazione dopo aver tentato una serie di altre strade: abbiamo raccolto più di 3000 firme che comunque in una città come Alessandria non sono poche, abbiamo fatto una manifestazione per chiedere al comune un incontro, abbiamo indicato al comune una serie di spazi abbandonati di proprietà pubblica che potevano essere assegnati, dati in gestione direttamente. Un processo durato mesi che non ha visto un’apertura al dialogo.
In seguito a questo è stata presa la decisione di occupare, ma anche dopo essere entrate nello spazio non abbiamo mai chiuso le porte a un qualsiasi dialogo. È un’occupazione di necessità, la casa delle donne è uno spazio che in una città come questa serve e lo ha dimostrato la quantità di persone che si rivolgono a noi e la gente che ha attraversato lo spazio in questi giorni. Non siamo disposte a rinunciarci semplicemente perché la volontà politica istituzionale non c’è.
Quali sono le attività che si svolgono nei vostri spazi?
Intanto distinguerei tra servizi e iniziative politiche. Tra i servizi ci sono una serie di sportelli che sono stati attivati dal principio: consulenza legale, ostetrico, di accompagnamento in situazione di gravidanza, c’è anche uno sportello del sindacato di base Adl cobas con cui seguiamo situazione prettamente femminili.
Con la pandemia abbiamo dovuto rivedere le modalità, aprendo una linea telefonica comune per tutti gli sportelli, un centralino che poi smistava le chiamate in base al tipo di esigenza, ma adesso vorremmo riaprire in presenza.
Inoltre abbiamo sempre fatto attività di diverso tipo dibattiti, presentazioni di libri, laboratori per bambine e bambini sul tema di genere, facciamo un festival tutti gli anni “Mia un altro genere di arte” promuovendo l’arte dal punto di vista di genere.
Quali sono i prossimi passi?
Ora l’intenzione è di riaprire con il calendario delle attività, con la programmazione degli eventi e la ripresa degli sportelli in presenza. Crediamo che il ritorno alla normalità sia un passaggio fondamentale da fare in questo momento.
Allo stesso tempo siamo consapevoli che il pericolo non è cessato e che potremmo arrivare qui una mattina e trovare la casa murata e il portone sbarrato, ma in quel caso siamo pronte a riprenderci lo spazio e a indire un corteo nazionale, proprio perché ci hanno dimostrato le sorelle in tutta Italia che la casa delle donne non è solo un problema delle alessandrine.
Immagine di copertina di Non Una Di Meno Alessandria