Parafrasando la liturgia: ‘le elezioni sono – per il momento – finite, andiamo in pace’ e, come da liturgia, sul sagrato ci si attarda a commentare, a vociare sulla incongruenza della cravatta fuxia del sindaco e sulla provocante scollatura della comare di turno. Voci e chiacchiere che, pur sciatte e scontate, hanno formato e ancora contribuiscono a costituire la comune opinione pubblica di paese, di quartiere, di città, dell’Italia. Tra don Camillo e Peppone. Poi venne la TV, poi la rete e i social, con le trasformazioni comunicative e sociali che hanno indotto, con taluni – pochi – che hanno potuto abusarne alla grande e tal altri – molti – che ne hanno subito le conseguenze, spesso senza neppure rendersi conto fino in fondo che almeno tre mutazioni antropologiche si sono materializzate in meno di 50 anni nel mentre si insiste a considerare e tentare di mantenere statico il sistema dei partiti, della delega e del consenso.
Le elezioni rimangono – importa relativamente se amministrative o politiche – e sono, comunque, un’immagine, distorta dallo specchio istituzionale, dei rapporti di forza tra i soggetti sociali che, giocoforza, convivono. Vale, dunque, la pena, rifletterci sopra per riprendere ossigeno e liberarci dall’affanno prodotto dall’inquinamento sociale che le elezioni portano – sempre – con sé, anche per quelli che se ne chiamano fuori.
Procediamo per punti, senza pensare di essere esaustivi o conclusivi, giusto per darci un orientamento nella confusione e nelle distopie di diverse narrazioni o interpretazioni, ufficiali e di movimento.
I partiti novecenteschi non esistono più, non le sezioni, le associazioni, i circoli: quelli che non si sono sfarinati rimangono potenti lobby che gestiscono interessi materiali ed amministrativi. Punto. Essere un politico di partito equivale ad essere – a seconda del ruolo che si ricopre – un amministratore delegato, un quadro dirigente, un impiegato di una – grande o piccola – società commerciale, dove i pacchetti azionari non sono altro che le correnti, la rappresentanza territoriale, grumi di interesse, etc. Una strutturazione gestionale ed amministrativa del partito, questa, ancora fordista ma sempre più accentrata – ecco il leader maximo – per far fronte al just in time che l’attuale governance richiede. Se ne discosta, parzialmente, il M5S che, accogliendo la corrente trasformazione produttiva e sociale come proprio assunto paradigmatico, si è strutturato in rete, con i meet up, i focus, le primarie on line, ma anche qui il guru/leader permane come riferimento decisionale centrale. Sulla sua impermeabilità alle lobby di potere, pur con pesanti indizi, vedi l’inceneritore di Parma, non mettiamo le mani sul fuoco e sospendiamo il giudizio.
Nella trasformazione sociale prodottasi, nella mutazione della rappresentanza politica, italiana come europea, si è consolidato un tripolarismo politico e partitico, con la peculiarità italiana [e ispanica], ove lo smottamento xenofobo, costruito sulla paura del diverso e sull’egoismo socioeconomico, dilagante in Europa ed anche negli USA, è stato ammortizzato dal M5S che mantiene, con qualche pesante scivolone, un orientamento garantista sul piano dei diritti individuali e sociali. Si è determinata, quindi, con le recenti elezioni una fase di destabilizzazione del percorso di governance imboccato con prepotenza dal Partito Democratico di Renzi, posto che all’orizzonte si profila, oltre che il fantasma dell’opera incompiuta – la riforma costituzionale – anche la debacle politica – legge elettorale – con le dimissioni annunciate e le elezioni perse in partenza: vedremo delle belle giravolte!!
Questi partiti/impresa hanno intercettato la delega di meno del 50% degli operai sociali. Ed è un problema per loro, ma non tanto per la scarsa legittimazione che ne consegue, bensì per la perdita di ‘pacchetti di deleghe’ da far pesare nei reciproci rapporti di potere, tra lobby. È un problema anche per i movimenti, giacché questa sottrazione della delega votante non si è trasformata in anomalia selvaggia e non produce nuovo conflitto sociale.
Nel panorama elettorale abbiamo assistito anche all’accavallarsi di posizionamenti pro o contro la partecipazione di singoli esponenti dei movimenti o di esperienze sociali, in modalità diretta o indiretta, alla competizione elettorale locale. Un’affermazione ideologica e di principio per la non partecipazione o la partecipazione, è fuori luogo.
A Napoli, san Gennaro ha fatto il miracolo, la coalizione sociale aggrumata da De Magistris ha fatto bingo, ponendo le basi per una sperimentazione di partecipazione popolare e sociale all’amministrazione di una metropoli complicata e infida come poche altre. Ma da questo allo slogan ‘Napoli base rossa alla riscossa’ ce ne corre. Aldilà del comprensibile entusiasmo e delle migliori intenzioni di tutti gli attori sociali che si sono mobilitati. De Magistris ha la pretesa di porsi al centro della scenario politico per una ‘nuova sinistra’ – l’incontro con Varoufakis lo testimonia – con la sottesa intenzione di lanciare un’OPA sulle rovine del ceto politico che si è scompostamente mosso attorno alla recente proposta di Sinistra Italiana e di quelle passate.
La scelta partecipativa o meno alle elezioni, comunque, dovrebbe appartenere alla valutazione, volta per volta, delle condizioni sociali materiali e di quelle reali dei movimenti, dei soggetti in campo, delle circostanze, della disponibilità a sporcarsi le mani nella melma dei partiti e delle liste, della capacità si sottrarsi alla politica politicante. Non è facile, non è da tutti. Camminando con lo zoppo si impara a zoppicare: la prassi politica nei partiti e nelle istituzioni è ontologicamente una pratica corruttiva. Lo abbiamo già visto e lo vedremo ancora, ma, di contro, abbiamo anche un formidabile patrimonio di soggettività ‘altra’ che non teme alcuna prova e confronto. In tutto ciò il dato che rimane la cartina di tornasole è il conflitto: solo un allargamento, il radicamento, la soggettivazione dei percorsi di lotta nei territori è il discrimine in grado di indicarci se il rapporto con la delega istituzionale del voto può dare delle risultanze sociali e trasformative utili e concrete.