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ADL Cobas > Blog > Approfondimenti > Pandemia ed emergenza sanitaria – Mobilitazione per l’uso territoriale dell’ OSPEDALE di Schiavonia
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Pandemia ed emergenza sanitaria – Mobilitazione per l’uso territoriale dell’ OSPEDALE di Schiavonia

adlcobas
di adlcobas Pubblicato 1 Settembre 2020 1.3k Visualizzazioni 13 minuti di lettura
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13 minuti di lettura
Sindacato di Base ADL Cobas - Pandemia ed emergenza sanitaria - Mobilitazione per l’uso territoriale dell’ OSPEDALE di Schiavonia
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Proponiamo di seguito l’intervento di Paolo de Marchi [ADLcobas] nel dibattito pubblico – nell’ambito del EKOparck Festival al parco Buzzaccarini/Bosco dei frati di Monselice – in presenza di oltre 500 persone, a cui ha partecipato tra i gli altri il prof. Andrea Crisanti di UniPD, noto virologo.
Di seguito pubblichiamo l’invito per la mobilitazione di sabato 5 settembre perchè venga garantito ai cittadini della Bassa Padovana l’idoneo e dovuto servizio sanitario di cui dovrebbe essere garante l’ULSS6-EUGANEO.

TESTO DELL’INTERVENTO DURANTE LA SERATA DEDICATA ALL’EMERGENZA COVID E AL DESTINO DELL’OSPEDALE DELLA BASSA PADOVANA – mercoledì 26/08/2020

di Paolo DE Marchi

Premessa

Sono stato e sono come cittadino che vive nella bassa padovana e come iscritto all’ADL-Cobas tra coloro che non hanno condiviso la scelta di smantellare la vecchia rete ospedaliera della bassa padovana per costruire l’attuale polo unico di Schiavonia. Non credo che questo abbia migliorato l’offerta ospedaliera, anzi ha provocato una perdita netta di posti letto; favorito l’esodo di utenza dalla bassa padovana in altri ospedali aggravando in tal modo i passivi di bilancio della ex USL 17; contribuito a peggiorare il servizio medico sul territorio, già deficitario da tempo; aumentato invece le opportunità per la sanità privata di guadagnare utenza a fronte della riduzione dei servizi e delle prestazioni sanitarie pubbliche. Si sarebbe potuto con minori costi migliorare e potenziale la rete ospedaliera esistente ma questa opzione non è stata mai contemplata nel “glorioso” lustro della “reggenza” regionale da Galan a Zaia, caratterizzata dalle grandi opere ospedaliere venete in regime di project financing che tanti debiti hanno accumulato nel bilancio pubblico regionale. Premesso ciò, nessuno degli abitanti di questo territorio si sarebbe aspettato che di fronte all’emergenza covid le istituzioni regionale li avrebbero privati dell’unico ospedale esistente. Eppure questo è avvenuto!

-ISEE-
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Prima riflessione

Si è trattato di scelta giusta e ben ponderata? Se lasciamo fuori da una lettura della composizione della popolazione dell’estesa nuova USL 6 l’utenza che gravita sui servizi ospedalieri di Padova (abitanti del capoluogo e dei Comuni della cintura metropolitana), le ex USL 17 e 15 (Alta padovana) presentano un bacino di utenza rispettivamente di circa 180 mila e 250 mila abitanti. L’ex USL 17 però li ha distribuiti su 46 Comuni contro i 28 dell’Alta PD e in una superficie di 888 kmq contro i 528 dell’ex USL 15. In più nell’Alta Padovana ci sono 2 Ospedali, a Camposampiero e Cittadella, per un totale di 690 posti letto contro i 368 dell’Ospedale di Schiavonia. Domanda:secondo voi dove era meglio sacrificare un ospedale per le sole cure covid, sempre che questa sia stata una scelta giusta e più di qualche dubbio l’avrei? Secondo il buon Zaia ovviamente nella ex USL 17 dove esiste una sola struttura ospedaliera, in un territorio più volte bistrattato dalle decisioni delle istituzioni regionali. E c’è oggi chi sta ancora lodando il Presidente regionale per la sua indiscussa lungimiranza pianificatoria.

Seconda riflessione

Insieme a medici e infermieri, di cui si è lodato giustiamente abnegazione, sacrificio, professionalità, hanno operato con eguale efficienza e professionalità anche lavoratori e lavoratrici spesso invisibili ai più, che svolgono i servizi di pulizia e igiene nei reparti e garantiscono con il loro lavoro il funzionamento delle strutture ospedaliere, dei laboratori, dei reparti, degli uffici. Sono per lo più lavoratrici con una paga base lorda di 7 euro, soggette spesso ad arbitrari tagli dell’orario, a decurtazioni salariali e con contratti che tardano ad essere approvati. Chi di loro ha la fortuna di lavorare in full time non arriva a 1000 euro nette a fine mese; il comparto, inoltre, attende ormai da oltre 6 anni il rinnovo del contratto. Fanno parte di quella frazione lavorativa sempre più ampia nel nostro Paese di lavoratori e lavoratrici poveri/e. Anch’essi/e hanno lavorato e rischiato la propria salute durante l’emergenza covid tanto quanto medici e infermieri e hanno dovuto manifestare – come a Monselice e Piove e Bergamo – per veder garantito anche per loro livelli adeguati di sicurezza e di prevenzione. A questi lavoratori come a tutti gli altri va la nostra solidarietà e riconoscenza. Ma questo non basta, bisogna che gli investimenti necessari a migliorare il servizio sanitario debbano prevedere anche il miglioramento della loro condizione di lavoro, sottraendoli alle incertezze e spesso alla scarsa trasparenza degli appalti da cui dipendono.

Terza riflessione

Riguarda il prossimo futuro. E’ sotto gli occhi di tutti che la frequenza sempre maggiore di pandemie da virus negli ultimi 25-30 anni sono favorite dalle caratteristiche delle società contemporanee e dal loro sistema economico e industriale globalizzato. Grandi insediamenti urbani, estrema mobilità di merci, persone e animali e le caratteristiche estrattive e dissipative delle risorse naturali e animali favoriscono lo scatenarsi di epidemie e la diffusione dei contagi nella specie umana. Abbiamo visto poi come le aree più fragili per presenza di inquinamento dell’aria, dei suoli, delle acque – come appunto la pianura padana – possano subire maggiori e più gravi contagi di altre zone del pianeta per la presenza di maggiori patologie nelle popolazioni. Come affrontare quindi questa situazione dal lato della difesa sanitaria? Forse affidandoci agli ospedali da campo donati dall’emiro, per altro incompleti o agli ospedali “chiavi in mano” alla Bertolaso destinati allo smantellamento una volta venuta meno l’emergenza o, peggio, continuando con la logica delle opere in project financing improntate al profitto per i privati investitori sulla pelle della spesa pubblica? O, invece, investendo diversamente quei finanziamenti europei destinati alla sanità dei Paesi dell’Unione? Perchè è chiaro che il sistema sanitario ha sì tenuto ma non ha funzionato come avrebbe dovuto e questo per i guasti determinati dalla sua privatizzazione progressiva che ha impoverito la medicina territoriale e imposto modelli che hanno mutuato dal sistema industriale la logica del just in time: razionalizzazione al minimo delle scorte e processi produttivi finalizzati alle domande di mercato che garantiscono maggiori profitti. Nella sanità dove la prevenzione e la cura devono essere garantite in egual misura a tutti non si può ragionare così perchè è questa logica che ha fatto trovare impreparato il sistema, senza dotazioni anche più banali di materiale, senza spazi adeguati e insufficiente strumentazione specialistica. Si deve ripartire con un cambio netto di rotta sostenendo la ricerca, potenziando la medicina sul territorio, rivedendo radicalmente il rapporto tra sistema sanitario nazionale e gestioni regionali eliminando disparità, sprechi e corruzione, investendo sulle risorse umane con più assunzioni e migliori condizioni contrattuali, rivedendo a favore di quella pubblica il rapporto esistente tra sanità pubblica e privata, concependo reti ospedaliere attrezzate a rispondere alle emergenze epidemiche senza che questo faccia venir meno la difesa delle altre malattie, riduca la possibilità di cure e prestazioni.
Perchè nell’affrontare un cambio di rotta deciso nella sanità nazionale non va mai dimenticata la tragedia consumatasi tra la nostra popolazione anziana, nelle RSA, nelle Case di Riposo o, peggio, nell’isolamento delle loro abitazioni. Una tragedia che non è stato un evento imponderabile ma frutto di logiche privatistiche di gestione delle strutture di accoglienza per gli anziani, di impoverimento della medicina sul territorio, di errori gravi e di indirizzi terribili come quelli di selezionare l’accesso alle strumentazioni di terapia intensiva per i contagiati secondo criteri di età.


MANTENERE APERTO L’OSPEDALE DELLA BASSA PADOVANA
ADERIAMO ALL’APPELLO ALLA MOBILITAZIONE PER SABATO 5 SETTEMBRE PER IMPEDIRE CHE ALLA POPOLAZIONE DELLA BASSA PADOVANA VENGA SOTTRATTO L’UNICO OSPEDALE ESISTENTE NEL TERRITORIO

L’appello lanciato dal consigliere comunale di Monselice, Francesco Miazzi, a nome di tutta la minoranza consigliare, dal palco del Parco Buzzaccarini di Monselice mercoledì scorso, 26/08, a conclusione del partecipatissimo dibattito sulla situazione del contagio da covid-19 nel nostro Paese e sul futuro dell’Ospedale di Schiavonia, che invita alla mobilitazione davanti al suo ingresso per le ore 10 di sabato 5 settembre per scongiurare il rischio di ridestinarlo ad hub unico anti-convid, non può che trovarci solidali e impegnati per la sua riuscita.
Come ADL-Cobas durante il lungo lockdown abbiamo denunciato più volte come sbagliata e grave la scelta del Presidente regionale Zaia di chiudere l’unico ospedale della bassa padovana a ogni prestazione che non fosse quella del ricovero dei contagiati da covid-19 e ci siamo mobilitati per rivendicare anche per i lavoratori e le lavoratrici delle pulizie garanzie di sicurezza adeguate contro il contagio. Coerentemente con queste posizioni oggi aderiamo convintamente alla mobilitazione lanciata dall’appello dai consiglieri comunali di minoranza di Monselice.

Il rischio di assistere nel prossimo autunno, a fronte di possibili recrudescenze del contagio, a una nuova chiusura dell’Ospedale di Schiavonia, negando di fatto ogni tipo di cura e assistenza che non siano quelle dedicate per i contagiati da covid-19 a una popolazione di 180 mila abitanti, costringendoli a migrare in altri ospedali molto lontani sia nella provincia che fuori di essa con rischi concreti per la loro salute, va scongiurato dimostrando con la mobilitazione la volontà della maggioranza della popolazione di questo territorio a mantenere aperto per tutte le cure e le prestazioni questo unico presidio ospedaliero.
La mobilitazione di sabato 5 settembre deve anche servire a richiedere il ripristino funzionale completo dell’ospedale che, ancora oggi, a distanza di 3 mesi è sottodimensionato con gravi disservizi per l’utenza.

Proposte alternative alla destinazione a hub unico per le cure covid dell’ospedale di Schiavonia sono in campo da tempo come quella formulata da alcuni medici locali di ripristinare a tale scopo alcuni padiglioni del vecchio ospedale di Monselice, facilmente ri-funzionabili – soluzione questa certamente meno bizzarra dello spot elettorale pro-Zaia dell’ospedale da campo donato dall’emiro, incompleto e oggi ridotto a capannone vuoto in disuso dietro all’Ospedale di Schiavonia – o come la più logica e coerente, sempre che sia corretta la scelta di destinare alcune strutture ospedaliere a hub unici per la cura covid, di destinare a tale scopo uno dei due ospedali presenti nell’alta padovana.
Ragioni di opportunità elettoralistica (basti guardare ai bacini elettorali della Lega nel padovano) e interessi a mantenere chiusi i vecchi ospedali nella bassa padovana in attesa di operazioni speculative e impuntature dettate dalla volontà di non riconoscere le scelte errate della stagione dei project financing, stanno alla base dell’insensibilità delle istituzioni regionali per i bisogni di cura che verrebbero negati o, comunque, fortemente limitati alla popolazione della bassa padovana.

La nostra adesione al sit-in del 5 settembre davanti all’Ospedale di Schiavonia sta nelle ragioni qui succintamente esposte e negli argomenti che abbiamo espresso mercoledì 26 agosto dal palco del Parco Buzzaccarini di Monselice che abbiamo riportato.

ADL – Cobas Padova/Bassa Padovana

Argomenti:monseliceospedaleschiavonia
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L’ADL Cobas (come “associazione difesa lavoratori”) nasce nel 1992 dall’esperienza politica e sociale sviluppatasi lungo il decennio degli anni 80 nella Bassa Padovana attorno alle lotte contro la ristrutturazione, il decentramento, i licenziamenti, la precarizzazione del lavoro e la devastazione ambientale in quei territori. 


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