Sono stati giorni intensissimi quelli che abbiamo trascorso al fianco dei migranti che hanno abbandonato per sempre l’Hub di Cona, o meglio “dall’inferno di Cona”, come molti di loro lo chiamano. Circa 300 persone provenienti da molti e diversi Paesi hanno preso in mano, ancora una volta, la loro vita e hanno deciso di praticare quell’obbiettivo che quasi tutti a parole vorrebbero – chiudere gli hub di Cona e Bagnoli – ma che nessuno realmente vuole.
Negazione delle richieste più elementari, tempi di permanenza inaccettabili, sovraffollamento continuo, riscaldamento inadeguato, ricatti e minacce da parte della cooperativa, isolamento sociale: questo è quello che emerge da tutte le testimonianze degli “ospiti” e alla base della decisione di marciare per reclamare dignità e un futuro fuori dalla struttura di Cona.
La marcia per la dignità, è stata promossa e supportata inizialmente da alcuni militanti dell’USB, ma ha subito ottenuto il sostegno di numerose associazioni e organizzazioni, tra cui la nostra. Per questo, dopo poche ore della decisione di un gruppo ragazzi di abbandonare per sempre “l’inferno di Cona” ci siamo trovati a camminare fianco a fianco a qualche centinaia di persone determinate a raggiungere Venezia. Dopo aver trascorso una prima notte accampati a qualche chilometro dalla base, la seconda giornata si è svolta tra gli argini del fiume Brenta nei pressi di Codevigo. Qui quasi 200 ragazzi hanno trascorso gran parte della giornata supportati a distanza dagli altri “ospiti” della struttura che contemporaneamente bloccavano gli accessi e spingevano sulle porte del centro. A seguito di numerose richieste e di un braccio di ferro con le istituzioni locali e i rappresentanti delle forze dell’ordine, il Prefetto ha dovuto presentarsi promettendo in cambio dell’immediato ritorno nel campo una fumosa apertura di una trattativa che avrebbe dovuto avere un primo incontro nei giorni successivi. Il Prefetto evidentemente non aveva capito la portata dell’iniziativa: la richiesta infatti è stata prontamente respinta all’urlo di “Basta Cona” e “We’ll not coming back!” e la marcia è ripresa ancora più determinata. Lasciati gli umidi argini e, raggiunto un centro abitato, Codevigo, il Parroco del Paese ha aperto le porte della locale chiesa per dare riparo a tutti.
Il giorno successivo, il terzo dall’inizio della marcia, i ragazzi hanno ripreso il cammino in direzione di Mira, ancora più determinati date che le fila si era ingrossate con nuovi arrividal Campo. La polizia, che il giorno precedente aveva garantito la libertà di movimento alla marcia pacifica ha però “inspiegabilmente” cambiato registro: all’altezza dell’argine tra i paesidi Campolongo Maggiore e Bojon un funzionario di Polizia ha fatto schierare i plotoni della Celere, intimando contemporaneamente di interrompere la marcia e di ritornare a Cona in attesa di futuri incontri. Ancora una volta la Questura e la Prefettura non avevano fatto i conti con la determinazione di chi aveva deciso di lasciarsi alle spalle per sempre Cona,rischiando tutto. Anche la vita. Come Salif Traorè, che è morto dopo esser stato investito da un auto mentre cercava di raggiungere la marcia in bici. Dopo ore di fronteggiamenti con le forze dell’ordine il Prefetto si è ripresentato portando con sé l’offerta del Patriarca di Venezia di una collocazione temporanea dei migranti in alcune strutture della diocesi. Un’offerta che è stata accettata dai rifugiati perchè a Cona, l’avevano giurato, non sarebbero mai più tornati.
Venerdì 17 Novembre, è arrivata la notizia della ricollocazione in 5 strutture distribuite nella regione di tutti i migranti che hanno partecipato a questa lotta. Una vittoria indubbia da parte di chi ha messo in pratica lo svuotamento del centro di accoglienza.
Una storia questa veramente bella e importante, perchè ha ribadito quanto la lotta per i diritti e la dignità abbia bisogno di protagonisti in carne e ossa determinati a rischiare e a praticare il conflitto. Al di là delle retoriche che sui migranti siamo abituati a sentire, ci sembra evidente che il coraggio e la determinazione di andare oltre alle false promesse, ai tavoli di discussione fumosi, alle piccole “correzioni” allo status quo del campo di Cona abbiano avuto la meglio. Il comportamento della Prefettura e della Questura ha mostrato per l’ennesima volta come la questione rifugiati sia gestita in maniera unicamente emergenziale e che si trasforma in problema di ordine pubblico non appena le persone che dovremmo accogliere decidono che il trattamento è peggio di quello riservato ai detenuti. Per il Governo e la Prefettura, per le cooperative e per la stragrande maggioranza dei partiti gli HUB servono e vanno bene così: solo il rifiuto dei rifugiati poteva svuotare quel campo.
La marcia per la dignità è stata una battaglia importante e intelligente perché si è creato un coordinamento reale, un’unità d’azione – definita non a tavolino, ma a partire dalla concretezza della lotta per lo svuotamento autorganizzato dell’HUB – in cui tutte le realtà presenti hanno si dato il loro supporto tecnico e strategico, ma sempre in funzione delle decisioni che le assemblee improvvisate dei migranti prendevano.
Dalla marcia per dignità non si torna più indietro, non solo materialmente, ma anche politicamente. La lotta contro gli hub e la gestione emergenziale adesso va portata avanti promuovendo e sostenendo con forza tutti quei tentativi di sottrazione dalle maglie dei campi che si daranno nei prossimi giorni e mesi.