Sabato 6 aprile si terrà a Mestre, con appuntamento al Piazzale della Stazione alle 14, una manifestazione per la sanità pubblica. L’evento è promosso da Covesap, un coordinamento di comitati che opera nelle 7 province del Veneto, e segue una serie di manifestazioni che si sono svolte in questi anni nei diversi capoluoghi della Regione.
I tre assi principali della manifestazione sono: il pieno rispetto dell’art.32 della costituzione che tutela la salute come diritto fondamentale; la salvaguardia e il rilancio di un sistema sanitario nazionale, equo, accessibile, universale; l’opposizione ai tagli e allo smantellamento dei servizi socio sanitari pubblici.
Negli ultimi anni il binomio salute-sanità è stato investito da uno dei più grandi corto circuiti della modernità capitalista: da un lato la pandemia di Covid-19 ha messo a nudo l’incapacità dei vari sistemi sanitari nazionali di garantire cure e assistenza per gran parte della popolazione mondiale, dall’altro lato proprio la sanità è diventata l’anello debole e sacrificabile nella ristrutturazione neoliberale della fase post-pandemica. Una contraddizione che tocca più livelli e si traduce in contrazione della spesa sanitaria che appare sempre più una scelta politica e non il frutto di congiunture economiche. Basti pensare che in Italia tra il 2020 e il 2025 l’incidenza della spesa per la sanità sul Pil è passata dal 7,4% al 6,2%, cioè 1,2 punti in meno. Per avere un termine di paragone, seppure per un periodo più compresso, l’ammontare per l’anno 2024 della spesa militare è stato del +5,1% rispetto all’anno precedente ed ha superato per la prima volta i 29 miliardi di euro e questo fa seguito ad un aumento di circa 1,8 miliardi già realizzato tra il 2022 e il 2023.
In particolare in territori periferici o nei territori montani lo smantellamento della sanità pubblica produce in molti casi l’impossibilità per intere fasce di popolazione di avere accesso a cure sufficienti o addirittura di avere accesso ai servizi di emergenza ed in tante valli del Bellunese gli abitanti non possono beneficiare delle cure nella cosiddetta “golden hour” (il tempo che serve per salvare le persone dopo una lesione traumatica).
Questi dati spiegano in maniera plastica non solo le priorità politiche del governo Meloni, ma anche gli effetti dell’economia di guerra sulla vita delle persone. I tagli alla sanità, all’istruzione e al Welfare sono infatti il contraltare di una politica economica che sta rendendo la guerra sempre di più il pilastro fondativo di una nuova fase storica del capitalismo. Questo lo vediamo non solo nell’espansione del settore della Difesa, ma anche nei sostegni più o meno diretti che riceve l’industria bellica nel nostro Paese.
In questo contesto il progressivo smantellamento dello Spisal, ovvero del servizio di prevenzione degli infortuni sul lavoro, è concausa di un progressivo disinvestimento nella sicurezza e nella salubrità degli ambienti di lavoro: si moltiplicano gli infortuni gravi sul posto di lavoro ed il Veneto è la terza regione d’Italia per infortuni mortali sul posto di lavoro: viviamo il paradosso di un paese che inserisce il lavoro nel primo articolo della sua costituzione ma che non si preoccupa minimamente della salvaguardia di chi poi a lavorare ci va per davvero.
Non possiamo non evidenziare come lo spostamento delle risorse dal pubblico al privato spesso avviene con il beneplacito di organizzazioni sociali e politiche che foraggiano e impongono l’incremento dei fondi verso fondi sanitari privati: ormai quasi la totalità dei contratti collettivi nazionali prevedono il pagamento obbligatorio per le aziende di una quota a vari fondi privati: Metasalute, Unisalute e chi più ne ha più ne metta, sponsorizzati da CGIL CISL e UIL, rappresentano un’operazione subdola di spostamento di risorse dal pubblico al privato, che garantisce per altro ai fondi stessi di ottenere un enorme bacino di utenti senza nemmeno doversi sforzare.
In tutto questo, sta emergendo da più fronti un’idea di sanità che sta inglobando una pluralità di esigenze sociali e rivendicazioni. Dal punto di vista regionale, il processo di privatizzazione e mercificazione in atto da anni ha portato con sé in particolare la diminuzione dei posti letto, la chiusura di reparti, la soppressione dei servizi ambulatoriali. Nelle diverse mobilitazioni promosse da Covesap sono state portate avanti istanze che guardano al potenziamento dei servizi territoriali, all’incremento dei Servizi di Emergenza/Urgenza soprattutto nei territori considerati più marginali, a nuove assunzioni del personale e paramedico, al miglioramento dei percorsi formativi.
Accanto a queste, sono emerse altre istanze che parlano di accesso universale alle cure psicologiche, a una medicina che deve allontanarsi dal modello patriarcale imperante, alla priorità della “salute dei territori” in una regione dove la devastazione ambientale la fa sempre più da padrona, a un concetto di salute che si estenda anche al benessere sociale ed economico della popolazione attraverso la lotta alla povertà e alle diseguaglianze. In altri termini, parlare di diritto alla salute e di una sanità che sia “bene comune” significa in questa fase lottare contro un modello di società che si sta riassestando sul profitto per pochi, la contrazione di diritti e Welfare, l’esasperazione della crisi climatica e la guerra.
Per questa ragione, come centri sociali del Nord-Est e Adl Cobas aderiamo alla manifestazione, con partenze dalle varie città