Riflessioni sul contratto “dopo nove anni”.
C’è di che riflettere a leggere le interviste che hanno rilasciato venerdì – commentando a caldo il rinnovo del Contratto appena siglato – i segretari di due dei sindacati che hanno partecipato alla trattativa, la Cgil (che ha firmato) e la Gilda (che non ha firmato).
Sinopoli flc-cgil
Francesco Sinopoli, si dichiara soddisfatto: “E’ caduto – dice – un pezzo della 107, con una parte del bonus merito che andrà a confluire nello stipendio”. Si riferisce al fatto che una parte dei 200 milioni che la Legge 107 ha destinato al finanziamento del bonus meritocratico nel testo firmato venerdì viene destinata agli incrementi della Retribuzione Professionale Docenti (al massimo 15 euro lordi). I sindacati dicono che si tratterebbe di 80 milioni sui 200 complessivi, ma all’articolo 39 bis dell’ipotesi di contratto è scritto che saranno “40 milioni a regime”. Il punto è, però, che non è caduto nessun “pezzo della 107”, perché il bonus pseudo-meritocratico dispensato dai DS rimane, con tutta la sua carica divisiva: poco cambia che a “contrattare” i criteri dell’elargizione saranno le RSU e i DS, piuttosto che i comitati di valutazione (che, del resto, in base alla Legge 107, dal 2019 avrebbero passato la mano).
Altro motivo di soddisfazione è, per Sinopoli, il mancato aumento degli “orari di lavoro”: “Non c’era possibilità che firmassimo un contratto in cui si toccava l’aumento degli orari di lavoro, per questo possiamo ritenerci soddisfatti”. Dalla soddisfazione del segretario della FLC, si evince che le notizie che erano circolate non erano una campagna di disinformazione e fake news, ordita – come Sinopoli aveva sostenuto con sprezzo del ridicolo – da “alcune organizzazioni sindacali che puntano a delegittimare il negoziato ed erodere voti alle elezioni RSU”: visto che ora ci si dichiara soddisfatti per aver scampato (fino a quando?) il pericolo, evidentemente non era un’invenzione di demagoghi.
Di Meglio – gilda
Anche il segretario di Gilda, Rino Di Meglio, che pure non ha sottoscritto l’ipotesi di accordo, non nega che poteva andare peggio. Alla domanda “ci sono punti positivi?”, risponde, riecheggiando Sinopoli, “Sì, il fatto di non aver peggiorato le cose”.
Assodato che non c’è nessuna novità veramente positiva – a cominciare dagli aumenti: niente più di un’umiliante elemosina, dopo 9 anni di blocco del contratto e la perdita del 20% del potere d’acquisto delle retribuzioni –, si tira un sospiro di sollievo per il fatto che il nuovo contratto (che la CGIL addirittura festeggia con enfasi degna di miglior causa: “Su le teste! Dopo nove anni abbiamo il contratto”) non peggiori la situazione.
Di Meglio, però, è più esplicito sull’effettivo tentativo dell’Aran di proporre un rinnovo “punitivo”: “Ad esempio è stata stralciata la parte della bozza in cui prevedeva aumenti di orario di servizio, quindi non vengono introdotti compiti aggiuntivi obbligatori e non retribuiti né per la formazione, né per l’Alternanza Scuola-Lavoro. Il Collegio dei Docenti mantiene la prerogativa di deliberare il piano delle attività e non viene modificata la funzione docente”. Facciamo attenzione al verbo usato da Di Meglio, ché il diavolo si nasconde nei dettagli: “stralciata”. Non “cassata”, “ritirata” o “annullata”, ma stralciata, cioè tolta dall’insieme della bozza, non si sa se per eliminarla o per esaminarla e considerarla separatamente.
Le nostre riflessioni
Neppure Sinopoli se la sente di esagerare con l’entusiasmo, quando dice che “ovviamente non è un contratto che risolve tutti i problemi, ma sicuramente è un buon punto di partenza”. Che non sia un contratto che risolve i problemi ce ne eravamo accorti: si può dire – al massimo e con incauto ottimismo – solo che ne evita di nuovi. Che sia un buon punto di partenza (dopo poche righe diventa addirittura “ottimo”), invece, è assai discutibile.
Il sospetto che ci assale, logico più che malizioso, è che ci sia stato un gigantesco (e miserabile) gioco delle parti: visto –devono essersi detti – che abbiamo solo briciole da offrire in termini di aumenti retributivi, che sono offensivi persino come mancetta pre-elettorale, carichiamo la categoria di aspettative negative – presentando una bozza smaccatamente peggiorativa – e poi caliamo l’asso (si fa per dire) del “non aver peggiorato le cose”: magari non ci cascheranno tutti, ma i più creduloni sì.
Il sospetto è corroborato dalla distanza siderale che c’è – più del solito – tra ciò che si dice e si scrive e la realtà che sarebbe sotto gli occhi di tutti. Un esempio. Gli aumenti di (massimo) 50 euro netti vengono considerati dal Miur buoni a garantire “l’obiettivo di dare il giusto e necessario riconoscimento professionale ed economico alle nostre lavoratrici e ai nostri lavoratori” . Pare che la ministra consideri i lavoratori della scuola una massa di imbecilli smemorati (o forse è convinta che non leggano i comunicati del Miur), già dimentichi delle allegre dichiarazioni rilasciate urbi et orbi meno di otto mesi fa: “Gli insegnanti dovrebbero percepire almeno il doppio di quello che prendono ora”. Nessuno, ovviamente, le aveva creduto: la credibilità della ministra che aveva promesso di lasciare la politica in caso di sconfitta al referendum costituzionale è, infatti, pari a zero.
Anche sul fronte sindacale, naturalmente, certe parole vengono pronunciate con leggerezza. La parte peggiorativa “stralciata” dalla proposta governativa, che fine ha fatto? È stata eliminata o è stata tolta per esaminarla separatamente, subito dopo le elezioni, considerato che questo contratto 2016-2018, ancora neanche nato, è praticamente già scaduto? È difficile credere alla buona fede di chi oggi esulta per la firma del contratto “dopo 9 anni” e non dice che, senza un intervento legislativo di abrogazione della 107, la nuova stagione contrattuale da aprire “a partire da giugno” non potrà che essere di lacrime e sangue. È difficile credere che il contratto firmato ieri non sia stato concepito solo come una (squallida e irresponsabile) merce di scambio elettorale, che ha tatticamente rinviato i “problemi” (le fregature) di qualche mese. Molte delle schifezze “stralciate”, infatti, non stavano solo nella bozza dell’Aran: sono nella Legge 107 (e nella Brunetta e nel Decreto Madia). I contratti non abrogano le leggi, ammesso (e non concesso) che chi esulta per inesistenti cadute di pezzi della 107 abbia davvero intenzione di chiederne la cancellazione: più di mille vacue parole, infatti, vale quello che quei sindacati NON hanno fatto dopo il grande sciopero del 5 Maggio 2015, a cominciare dall’abbandono di ogni forma di reale conflitto, già dall’Agosto 2015, passando per il sostanziale boicottaggio della raccolta delle firme dei referendum abrogativi, nella primavera del 2016, arrivando alla più attiva accettazione di tutto l’impianto della 107, eccezion fatta – almeno in parte – per le questioni inerenti la mobilità, sulle quali hanno cercato di lucrare consensi a buon mercato, contribuendo – in definitiva – alla trasformazione dei diritti in privilegi e alla balcanizzazione delle insegnanti e degli insegnanti.
Le schifezze, dicevamo, non sono destinate a rimanere “stralciate” a lungo. La schifezza dell’obbligo di Alternanza Scuola Lavoro è un regalo della Legge 107 (e dei suoi decreti delegati), così come lo è la funzione di tutor di classe in capo ai docenti (contro le quali la Cgil si è battuta così tanto da offrire il proprio contributo tanto agli studenti, organizzando in proprio attività di ASL, quanto ai docenti, offrendo loro formazione ): vogliono spiegarci lorsignori come pensano di lasciare fuori dagli obblighi di lavoro dei docenti il tutoraggio – previsto dalla legge 107 – delle attività di ASL, obbligatorie per gli studenti al pari (se non di più) della frequenza delle discipline curriculari dei piani di studio? Vogliono spiegarci come faranno lorsignori sindacalisti “rappresentativi” (e Sinopoli in particolare, che dichiara: “Non c’era possibilità che firmassimo un contratto in cui si toccava l’aumento degli orari di lavoro”) a non aumentare l’orario di lavoro obbligatorio quando, nel tavolo che partirà da Giugno, si dovrà contrattualizzare la formazione obbligatoria prevista dalla Legge 107? Possibile che i sindacati siano così potenti da imporre ai tavoli di contrattazione la cancellazione de facto di norme di legge che – latenti e debolissimi – non hanno contestato e osteggiato (o hanno fatto solo finta) quando i governi hanno messo la fiducia in Parlamento per approvarle?
La stessa domanda potremo porla per decine di altre questioni lasciate in sospeso da questo contratto, a cominciare dall’applicazione di quel TITOLO III sulla “Responsabilità disciplinare” che occupa ben 16 delle 26 pagine della “Parte comune” del nuovo contratto.
A questa domanda noi rispondiamo “accà nisciuno è fesso”, scioperando il 23 Febbraio.