Una scuola alter(n)ata per una società più disciplinata
L’alternanza scuola lavoro è un cardine della riforma scolastica denominata ‘Buona Scuola’ e normata con la L. 107/15 e i suoi successivi decreti attuativi, uno snodo che palesa il cambiamento che si è voluto imprimere all’assetto della scuola superiore in Italia.
Il rapporto della scuola con il mondo del lavoro è un nodo cruciale, basti pensare alla scuola media unificata del 1962 con l’abolizione del percorso post elementare di Avviamento al Lavoro; ma senza perdersi nei meandri della storia vale almeno la pena ricordare l’istituzione degli Istituti Tecnici e Professionali, definiti e strutturati dal ministro Misasi nel 1969, che col mondo della produzione e del lavoro hanno sempre sviluppato, che ché se ne dica, un intenso rapporto. Chi in essi ha insegnato lo sa bene: non esisteva una definizione altisonante come Alternanza Scuola Lavoro, ma tale rapporto era strutturale e strutturato.
Poi l’Alternanza è stata normata dalla riforma Moratti nel 2003, ma è la “Buona Scuola” che la rende obbligatoria per tutto il ciclo superiore con un monte ore spropositato [400 per gli istituti tecnici e i professionali, 200 per i licei] e la trasforma in requisito indispensabile, col suo bagaglio di crediti utili alla valutazione, per poter essere ammessi all’esame conclusivo di Stato.
Se nella ‘Buona Scuola’ le profonde e destrutturanti modificazioni introdotte per essere comprese a fondo devono essere decrittate o provate sulla propria pelle, con l’ASL divengono immediatamente manifeste per gli studenti, per le loro famiglie, per gli insegnanti, segnatamente per quelli dell’ambito liceale.
Il supporto ministeriale non c’è, quello delle categorie imprenditoriali è infimo, le Istituzioni scolastiche, escluse quelle già esperte come Professionali e Tecnici, si arrangiano alla meno peggio, inventandosi di tutto e di più. Gli imprenditori grandi e piccoli ci sguazzano e lucrano alla grande, e, qualche volta, finiscono sputtanati sui giornali o nei social.
Ma l’ASL non è un cardine della riforma della scuola superiore per le sue deficienze, per i ritardi ministeriali, per la miopia imprenditoriale, per il guazzabuglio burocratico e normativo, lo è perché segna definitivamente la sua trasformazione istituzionale: da struttura costituzionale che forma il cittadino a ente per il lavoratore del XXI secolo, quello flessibile, duttile, mobile, a chiamata, privo di diritti: non dunque il cittadino lavoratore, bensì il suddito. Come bene ha analizzato recentemente Valeria Pinto: “Ci troviamo di nuovo a che fare con il disciplinamento nella sua accezione più inaspettata. Pensavamo che la società disciplinare fosse superata e invece sta riemergendo. Con questa idea di formazione i ragazzi sono ricondotti all’ordine e alla disciplina”.
Questo convegno prenderà in esame gli aspetti qui annunciati senza pretendere di trovare la chiave risolutiva ma cercando di offrire degli spunti analitici e di riflessione che possano diventare utili strumenti di lavoro per tutti coloro che vivono il mondo della scuola.
a questo link sono disponibili diversi materiali tra cui il fascicolo integrale.
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