E’ in dirittura di arrivo, quando ormai la legislatura volge al termine, il disegno di Legge di riorganizzazione delle Agenzie Fiscali.
Leggiamo nelle cronache di questi giorni i toni apocalittici di organizzazioni sindacali, come la CGIL, che hanno prima cullato il modello di aziendalismo spinto delle Agenzie Fiscali ed ora, di fronte a questo disegno di legge, piangono lacrime di coccodrillo parlando di “privatizzazione delle Agenzie Fiscali”.
Onestamente sembra davvero esagerato e rischia di puntare troppo in alto, sparando all’impazzata e non cogliendo gli elementi critici del disegno di legge che vanno guardati con estrema attenzione. Cosa vuol dire privatizzazione?
Bando alle ciance. A noi pare davvero che la privatizzazione non c’entri nulla, il disegno di legge, lungi dall’affrontare i problemi reali delle Agenzie Fiscali, quelli dei 32.000 dipendenti, di un rapporto Fisco – contribuenti sempre più complesso, di investire sulla professionalità, fissando percorsi di carriera chiari, volti a dare dignità ai lavoratori, porti a termine in maniera chirurgica un’operazione di rafforzamento della catena di comando, volta a perpetuare il sistema feudale di “nomina fiduciaria”. Questa sembra l’unica cosa che conta, che interessa ai nostri vertici istituzionali.
Leggiamo la relazione che accompagna il disegno di legge, perchè il diavolo, sappiamo bene, si nasconde nei dettagli. A metà circa della relazione si legge: “La gestione del personale è in condi-zioni particolarmente critiche. Hanno pesato numerosi interventi legislativi susseguitisi negli ultimi anni, che hanno progressivamente eroso l’autonomia delle agenzie su questo fronte, e da ultimo la nota sentenza della Corte costituzionale sugli incarichi di-rigenziali.” Eccolo lì, ci risiamo, è un mantra, l’Agenzia delle Entrate (non è un errore, pare davvero chiara la mano che ha guidato il legislatore) non si rassegna, così da lasciarci più di un dubbio sul fatto che il vero obiettivo di questa legge sia quello di porre fine all’annosa questione degli incarichi dirigenziali. Come? Facendo un concorso, come direbbe il tanto vituperato articolo 97 della Costituzione? No, la risposta la si trova un pò più avanti all’articolo 3 del DDL, nella parte in cui modificherebbe l’articolo 71 del d. Lgs. 300/1999, quello che fu il padre delle Agenzie Fiscali. Come viene modificato? Accentuando i profili di autonomia organizzativa, comunque già presenti in passato, sperando che tanto basti. Infatti, scompare dalla disposizione che delega l’organizzazione dell’Agenzia al Regolamento di amministrazione il riferimento alla conformità con il Testo Unico sul Pubblico Impiego. Basta davvero questo a far parlare di privatizzazione del pubblico impiego? Assolutamente no, anche perchè il comma 1 dello stesso articolo, dopo aver fatto la concessione, in realtà estremamente positiva, di conservare un’area contrattuale a sè stante, ribadisce il principio della sottoposizione del rapporto di lavoro alle spire del T.U.P.I. Le materia che vi vengono sottratte sono: a) organizzazione e funzionamento dell’agenzia; b) le norme per l’assunzione del personale dell’agenzia, per l’aggiornamento e per la formazione professionale, nonché per la valutazione dello stesso; c) le dotazioni organiche complessive del personale dipendente dall’agenzia; d) le regole per l’accesso alla dirigenza; e) previsione di apposite posizioni organizzative di livello non dirigenziale e relative regole di accesso; f) criteri per la mobilità dei dirigenti e dei titolari di posizioni organizzative non dirigenziali.
Ora è evidente che sulle prime tre lettere, le Agenzie Fiscali hanno avuto da sempre ampi spazi di autonomia, considerato che, sull’unico piano in realtà oggetto di norme stringenti, ossia il regime assunzionale, le Agenzie stesse, fatta eccezione per l’Agenzia del Territorio, hanno goduto di un esteso regime di deroga che, fortunatamente, bisogna ammetterlo, ha consentito un ricambio generazionale che altre amministrazioni si sognano. La vera ciccia rimangono le lettere successive, quello è il centro di imputazione degli interessi di questo disegno di legge. Ossia, nuove regole per l’accesso alla dirigenza, perchè quelle degli altri (concorsi veri), qui da noi, dicono, ormai sono in disuso (non ci siamo più abituati), carta bianca sulle posizioni organizzative, che, invece, ci piacciono un sacco e carta bianca sulla possibilità di disporre a piacimento di entrambi. Queste posizioni organizzative, come viene spiegato nel comma 4, vengono attribuite, mediante “selezione interna che tiene conto delle capacità e del merito degli interessati e delle valutazioni dagli stessi conseguite negli anni precedenti”. Dunque, l’elemento valutativo è il perno di questo sistema, basato tutto su termini come capacità, merito e valutazione che significano tutto e niente (per l’osservatore esterno), mentre per i dipendenti pubblici, e dell’Agenzia in particolare, che già ci si sono cimentati significano molto, purtroppo. Questa parte del disegno di legge è quella più odiosa, perchè segna irrimediabilmente la rinuncia del Parlamento a dare un sistema di regole, rimettendo tutto nelle mani delle lobby di potere createsi in seno alle Agenzie, perpetuando un sistema che, in troppi casi, non ha dato buona prova di se.
Forse qualcuno scopre oggi che l’Agenzia delle Entrate mal digerisce il controllo esterno? Il modello Agenziale è stato concepito da Visco & co proprio in questi termini: ampia concessione di spazi di autonomia organizzativa, contemperata da uno stretto controllo sul vertice dirigenziale di nomina politica (i direttori centrali dell’Agenzia delle Entrate alla Leopolda sono un segnale chiaro), una tensione sugli obiettivi e sulla misurazione della prestazione su cui si è costruito tutta la catena di comando, che disegna un’amministrazione efficentista per la quale i numeri contano prima di tutto, prima ancora della qualità dell’azione amministrativa. Questa mania di valutare tutti, di misurare l’efficienza della prestazione come se si trattasse di un casco di banane, ha generato, insieme ad una cultura aziendalista, logiche perverse, in alcuni casi, a certi livelli, di vero e proprio mercanteggiamento anche con gli evasori.
Tutto questo tema non viene minimamente affrontato, se non nella parte del DDL in cui viene modificata la struttura degli obiettivi di performance (lett. B) del comma 3 ter dell’articolo 59), in cui sembra di poter leggere un’accentuazione, positiva, degli istituti della tax compliance, cui però non sembra fare da contraltare una pari attenzione sull’inasprimento dei controlli verso i veri evasori, dei quali, assai stranamente, non si parla più.
Questa è una rivoluzione? Non sembra davvero.
Forse in molti si aspettavano che fossero maturi i tempi, per una riforma dell’ordinamento dei dipendenti del Fisco, da troppo tempo attesa, che possa dare lustro e stimoli all’enorme bagaglio di professionalità di cui è dotata. Facciamo solo un esempio, per dare uno stimolo: quanti sono gli avvocati dentro l’Agenzia delle Entrate? Perchè l’Agenzia delle Entrate non è riuscita mai a pensare all’istituzione di un’Avvocatura interna? Inutile dire che, se si aspetta di leggere contenuti di questo tipo nel ddl sulle Agenzie Fiscali si rimarrà delusi, perchè non c’è nulla di nulla, solo operazioni di cucitura del sistema, non è privatizzazione, è solo un sistema interessato a perpetuare se stesso.
Come lavoratori dell’Agenzia delle Entrate, invece pensiamo sia ora di metterci in movimento per superare l’accordo di miseria del 30 novembre 2016 , sottoscritto da CGIL CISL UIL, conquistando un contratto dignitoso con aumenti che recuperino almeno quanto perso con il blocco contrattuale che perdura da 8 anni.
Veneto, 10/10/2017
ADL COBAS