La vertenza Almaviva si è conclusa nel peggiore dei modi. Con la complicità di uno dei tanti governi anti-lavoratori, l’azienda è riuscita a presentarsi al tavolo delle trattative, allo scadere della procedura, con un ricatto che gli avrebbe garantito in tutti i casi quello che voleva: un taglio al costo del lavoro, per potersi accaparrare nuovi appalti!
Da una parte l’opzione taglio dei salari dei dipendenti (consideriamo l’esito della trattativa prevista nei tre mesi successivi già scritto), la maggioranza part-time con 650 euro mensili, che avrebbe ridotto il costo del lavoro ad Almaviva e trascinato alla fame i lavoratori, in quanto oltre a quest’ultimo si sarebbe aggiunto la decurtazione relativa all’ammortizzatore sociale (una CIGS come minimo al 45%).
Alla penuria economica si sarebbe aggiunto un controllo individuale della prestazione lavorativa, con una conseguente drammatizzazione dei già insostenibili ritmi-carichi di lavoro.
Dall’altra il licenziamento di 1666 lavoratori, ormai per Almaviva troppo costosi per il mercato dei call center in outsourcing, con la successiva possibilità di partecipare tra qualche mese alle gare di appalto pubbliche e private con offerte più “concorrenziali”, per poi procedere a commessa acquisita, all’assunzione di giovani con contratti precari e licenziabili in qualsiasi momento grazie al Jobs Act.
Assistiamo in questi giorni ad un indecente “scaricabarile” tra governo, Sindacati Confederali ed RSU, che ha come unica conseguenza quello di escludere Almaviva, agli occhi della pubblica opinione, da ogni responsabilità. Questo è un altro risultato incassato da Almaviva, che ha intelligentemente indirizzato la trattativa con questo fine.
Le responsabilità del dramma di 1666 lavoratori ricadono su tutti gli attori di questa triste vicenda:
– su Almaviva, che con il veto a qualsiasi soluzione ragionevole e oggettivamente applicabile, che non sottoponesse a sacrifici inaccettabili i lavoratori, ha di fatto cinicamente spinto nel baratro 1666 persone e le loro famiglie. Ci riferiamo soprattutto al veto relativo ad ogni riequilibrio delle attività sulle varie sedi, che avrebbe permesso l’applicazione di un ammortizzatore spalmato su tutti i siti e di minor impatto economico per i lavoratori. E non ci sono alibi: l’azienda ha dimostrato con il rapido trasferimento delle commesse sulle altre sedi durante la trattativa, che i vincoli tecnici e commerciali, da essa addotti, erano una colossale balla, strumentale al ricatto occupazionale! Governo e Sindacati hanno colpevolmente “sorvolato” su questa evidenza, accogliendo sin da subito questo inaccettabile veto e spostando di fatto la trattativa sulla sola soluzione che interessava ad Almaviva: l’abbassamento del costo del lavoro;
– sul Governo, che con le sue politiche del lavoro a favore delle imprese (Jobs Act e abolizione della reintegra dell’art.18, modifica dell’art.4 L 300/70 sul controllo a distanza, riforma degli ammortizzatori sociali, ecc.) ha rafforzato il potere delle aziende di sottoporre ai lavoratori il solito ricatto occupazionale, per estorcere diritti e salario, imponendo nella varie trattative un assioma, che il “pensiero unico”, con un’abile propaganda, fa sembrare oramai un’inconfutabile legge di natura: non è possibile mantenere il posto di lavoro senza cedere salario e diritti! Assioma ormai condiviso da CGIL-CISL-UIL.
– sui sindacati CGIL-CISL-UIL-UGL, che con una azione sindacale “inspiegabilmente” incongruente, hanno fatto sì che si arrivasse a questo triste epilogo: per tutta la trattativa, e anche nella precedente, hanno continuamente ripetuto, a mo’ di “mantra”, che il problema dei lavoratori Almaviva era legato ai problemi dell’intero settore, senza però procedere con una coerente azione sindacale: pochi scioperi di tutte le sedi Almaviva, nessuno sciopero di settore, nessuna mobilitazione che coinvolgesse i lavoratori degli altri Call Center e dei Customer Care dei committenti. In definitiva, nessuna volontà di unificare le lotte e aumentare la forza contrattuale dei lavoratori Almaviva. E anche in questo caso non ci sono alibi, dal momento che negli anni precedenti sono stati in grado di mobilitare centinaia di migliaia di lavoratori (vari scioperi nazionali e più di un corteo di settore a Roma) per portare avanti e ottenere la loro demenziale proposta delle “clausole sociali”, che in questi mesi si sta dimostrando non solo scarsamente applicabile, ma addirittura deleteria per il salario e i diritti dei lavoratori!
Ma non possiamo però esimerci da evidenziare il fatto che tutto questo è stato agevolato dal disinteresse della stragrande maggioranza dei lavoratori, dalla mancanza di una pur minima capacità di contrastare questo evidente disegno e di far emergere e imporre argomentazioni, parole d’ordine e obiettivi, anche nell’opinione pubblica, che mettessero in difficoltà Almaviva, Governo, Sindacati Confederali: nessun interesse ad analizzare autonomamente e organicamente la situazione, dedicandosi ad uno sterile “ribellismo” da tastiera, da sfoggiare nei vari social network (fatto di “immagini” accattivanti, spot ad effetto, notizie a profusione spesso fuorvianti e inverosimili, “professionisti” indicati come possibili risolutori della vertenza, ecc.), assemblee sterili nelle quali ogni critica all’azione sindacale confederale veniva recepita come “fastidiosa” e neutralizzata con il luogo comune “dell’unità e dell’utilità di non litigare”. E soprattutto, un’imbarazzante e inspiegabile scarsa partecipazione a quelle poche mobilitazioni messe in atto (parliamo della sede di Roma, non conoscendo la situazione che si è sviluppata a Napoli). Per essere chiari: a Roma non c’è stata una reale lotta dei lavoratori degna di questo nome, ma solo una lotta virtuale sul web!
Pensiamo che la sconfitta dei lavoratori (e gli scriventi sono anch’essi lavoratori) sia stata fondamentalmente questa: quella di non essere riusciti a impedire ad Almaviva, Governo e Sindacati Confederali di sottoporre ai lavoratori, a poche ore dalla scadenza dei termini della procedura di licenziamento, il solito bieco ricatto! Quello che è successo dopo la firma dell’accordo che prevedeva i licenziamenti su Roma, ne è soltanto la tristissima coda.
Ad oggi, l’obiettivo perseguibile è quello di cercare di ricompattare questa massa di lavoratori, oramai disoccupati dal 30 dicembre, rivendicare e strappare “con le unghie e con i denti”, con una lotta reale, lavoro e reddito a chi ha permesso questo vergognoso scempio!
Noi ci adopereremo nei prossimi giorni affinché ciò avvenga.
COBAS Almaviva