“Un giorno all’improvviso
licenziaron tutti quanti
Eran fuori dal magazzino
non chiedermi il perchè..”
“Un giorno”, nello specifico la mattina di lunedì 18 gennaio 2016, ha avuto inizio una storia di solidarietà, dignità e resistenza in risposta a un atto di arroganza. Veramente “all’improvviso” all’interno del magazzino logistico della catena di supermercati discount “Prix” di Grisignano di Zocco (Vi), “licenziaron tutti quanti” i 70 lavoratori della Cooperativa Leone, che aveva l’appalto in scadenza il 31 gennaio.
A chi doveva iniziare il proprio turno è stato negato l’accesso e chi invece stava svolgendo il proprio lavoro è stato cacciato fuori senza dare spiegazioni. In quei concitati momenti i lavoratori veramente “erano fuori dal magazzino, non chiedermi il perchè”. La motivazione è stata la disdetta anticipata ed unilaterale da parte di Prix dell’appalto con la Cooperativa Leone.
E qui inizia una storia di arroganza. E’ prima di tutto l’arroganza dell’utilizzo illegittimo del meccanismo del cambio d’appalto tra cooperative. E’ un sistema che estende la condizione di precarietà lavorativa ed esistenziale anche a chi ha un contratto subordinato a tempo indeterminato. In questo modo un lavoratore è sempre sottoposto al ricatto della perdita del posto del lavoro oppure dei diritti acquisiti in anni di presenza all’interno dello stesso magazzino. Questo meccanismo di abbassamento del costo del lavoro trova maggiore forza e si è amplificato con l’introduzione del Jobs Act.
Il cambio d’appalto è l’occasione irrinunciabile per poter fare finte neoassunzioni e poter così ottenere gli sgravi fiscali previsti per i nuovi contratti. Nel caso del Prix mettere in mezzo a una strada 70 lavoratori e relative famiglie significava guadagnare tra nuova manodopera inquadrata con un livello retributivo più basso e sgravi fiscali del Jobs Act circa 1.200.000 euro (di cui 516.000 pubblici). Le “tutele crescenti” del Jobs Act non sono certo per il lavoratore, ma per le imprese, che ora possono licenziare più facilmente. Inoltre i recenti dati Inps sulle nuove assunzioni mostrano come da gennaio 2016, con la diminuizione degli sgravi da 8.000 € all’anno per tre anni, a 3.250 per due anni, ci sia stato un crollo di contratti a tempo indeterminato. Non a caso le cessazioni sono maggiori delle nuove accensioni.
La famiglia Fosser, proprietaria del Prix, non ha potuto tollerare il rifiuto da parte dei lavoratori di subire sulla propria pelle questo giochetto e quindi non si è fatta nessun problema a liberarsi di chi si è spaccato la schiena per 15 anni in quel magazzino, soprattutto poi se si aderisce a sindacati conflittuali. E’ l’arroganza tipica di quegli imprenditori veneti, ai quali, sentendosi i “paroni”, bisogna sempre obbedire a prescindere dai propri diritti e tutele.
“Di tempo ne è passato,
ma siamo ancora qua...”
Ieri, lunedì 4 aprile, al Prix sono rientrati al lavoro i primi 9 lavoratori licenziati il 18 gennaio scorso.
“Di tempo ne è passato” da quella mattina, eppure durante quel mese e mezzo di blocchi a tutte le ore fuori dai cancelli del Prix si cantava “ma siamo ancora qua”, nonostante il freddo, la pioggia, i lacrimogeni e le cariche della polizia e l’iniziale volontà ferrea da parte del Prix di non trovare una soluzione. Con il primo blocco dei camion nella giornata del 18 gennaio è iniziata soprattutto una storia di dignità, resistenza e solidarietà.
E’ la dignità di persone che con determinazione hanno deciso di mettere in gioco i propri corpi per riconquistare ciò che spettava loro e per rispondere a un’ingiustizia. E’ stata una lotta di resistenza non solo contro il Jobs Act e la truffa dei cambi d’appalto tra cooperative, ma anche contro gli interessi di uno dei poteri forti di questa regione: la grande distribuzione alimentare.
Si tratta di un’importante sistema di potere, che fattura miliardi di euro, in grado di influenzare istituzioni e media locali. L’esempio lampante è stata la “santa alleanza” sancita dalla lettera firmata in Regione Veneto il 19 gennaio, in cui committenti (Prix, Despar–Aspiag Service, Trasporti Romagna-Mg Service, Alì e Unicomm), la Regione, la Provincia di Padova, Legacoop e Cgil, Cisl e Uil, chiedevano ”l’intervento tempestivo delle Prefetture per ripristinare la legalità e l’agibilità dei cantieri” di fronte ad “agitazioni e scioperi non regolari avvenuti nelle più importanti piattaforme di logistica.” La vertenza del Prix si è infatti inserita all’interno della lotta portata avanti dai lavoratori iscritti ad Adl Cobas, impiegati nei magazzini dei committenti sopracitati per ottenere migliori condizioni lavorative.
La risposta delle istituzioni alla lettera del 19 gennaio è arrivata nella giornata di venerdì 5 febbraio, quando il blocco dei lavoratori fuori dal Prix è stato caricato ben tre volte con un massiccio lancio di lacrimogeni. Quel giorno i lavoratori licenziati non erano da soli. C’erano anche i facchini degli altri magazzini della logistica presenti a portare la propria solidarietà. Per tutti è stato immediato capire che attorno alla vertenza Prix era in gioco il futuro di tutti e tutte.
Quella giornata di lotta, ma anche le manifestazioni di Vicenza il 30 gennaio, di Monselice il 6 febbraio e quella di Padova il 5 Marzo, sono state l’esempio che “Tocca uno, tocca tutti” non è solo un slogan, ma rappresenta un sentimento di unità tra lavoratori e non solo. Infatti sono state molto importanti le iniziative di solidarietà e volantinaggio organizzate fuori dai supermercati Prix in tutto il Veneto. In questo periodo, dove soffia il vento dell’intolleranza e si vogliono innescare guerre tra poveri, la lotta del Prix ci insegna quanto sia essenziale costruire pratiche di solidarietà tra le persone e che queste possono portare a risultati concreti.
Infatti il 14 marzo, dopo un mese e mezzo di blocchi e numerosi incontri in Prefettura, si giunge finalmente a un accordo. La mobilitazione è riuscita ad imporre che la vertenza venisse risolta partendo da un principio base: la scelta volontaria del lavoratore. 28 torneranno a lavorare con un contratto a tempo indeterminato, con il mantenimento dei livelli e diritti acquisiti senza l’applicazione del Jobs Act, dopo un iniziale periodo di tre mesi a tempo determinato. I rimanenti 26, su base volontaria, hanno accettato una buonuscita, consistente in 9000 euro netti di base per tutti, a cui aggiungere 500 euro per ogni anno di anzianità e 250 euro per ogni figlio a carico.
“e oggi come allora
rupie rupie caregà”
“E oggi come allora” la vicenda del Prix ci dà degli ulteriori spunti di riflessione. Se lo slogan simbolo della manifestazione “rupie rupie caregà” è in lingua pakistana, questo ci mostra che ci troviamo di fronte a una nuova composizione di classe e alla necessità di innovare il nostro modo di comunicare.
“Tocca uno, tocca tutti”, “tutti uniti”, “rupie rupie caregà” sono parole semplici ma dirette, che si sono tradotte immediatamente in pratiche di lotta concrete, capace di parlare di sé ben oltre i confini della singola vertenza. Quanto successo al magazzino Prix si è trasformato immediatamente in potente paradigma, sia per quel che riguarda le politiche padronali, rese ancora più fameliche dalla pioggia di euro garantiti dagli sgravi fiscali, e garantite dall’assenza di tutele per una fetta ampia di lavoratori (fondamentali nel sistema economico ma visti come bestie da soma da cui trarre il maggior profitto possibile, salvo poi liberarsene quando chiedono, udite udite, il rispetto dei loro diritti), sia per chi, in Italia e in Europa (vedi cosa sta accadendo in Francia in queste ore con la straordinaria lotta contro il Jobs Act in salsa transalpina della ministra El-Khomri) ogni giorno produce conflitti e rivendica un diverso modello economico e sociale, contro questo sistema di sfruttamento e di precarizzazione della vita nel suo insieme.
Non a caso questa lotta ha manifestato la crisi profonda e la quasi totale assenza della politica istituzionale. A parte un’interrogazione parlamentare del senatore Cappelletti dei 5 Stelle, nessuna forza politica ha espresso solidarietà sui licenziamenti. La vertenza Prix ci ha dimostrato come, all’interno di questa crisi economica e di un contesto politico post-democratico, i tradizionali meccanismi di mediazione sociale siano definitivamente saltati. La prima vera risposta istituzionale è stato il lancio di lacrimogeni e la presenza dei blindati della polizia durante i presidi dei lavoratori, che non solo non si sono fatti spaventare ma, al contrario, hanno raggiunto un livello di determinazione, consapevolezza e unità che ha portato al concretizzarsi di un vero tavolo in Prefettura per cercare di risolvere la vertenza. La ragione ha avuto la meglio sulla forza, ci verrebbe da dire.
Lo scenario è ben definito. Di fronte all’attacco ai diritti dei lavoratori, portato avanti dai precedenti governi e aggravato dal Jobs Act renziano, e ai tentativi di indebolire le esperienze sindacali conflittuali, solo la costruzione di pratiche di lotta determinate e di solidarietà può portare a risultati concreti. L’ingresso ieri nel magazzino Prix dei primi lavoratori riassunti, dopo 77 durissimi giorni di lotta, è la dimostrazione che non esiste lotta che non si possa fare.