L’8 marzo anche quest’anno è stato giornata di mobilitazione contro la violenza sulle donne ed ogni discriminazione di genere in tutto il mondo. Ci riconosciamo pienamente nelle motivazioni e nelle parole d’ordine di questa giornata e nella lotta rivendicata dai movimenti delle donne in ogni angolo del pianeta dove ci sono ancora molte espressioni di violenza e discriminazione maschiliste, razziste e classiste.
In questo particolare periodo di crisi sanitaria, ma anche economica, sociale e climatica, il mondo del lavoro è stato fortemente colpito e le ineguaglianze latenti che lo permeano sono esplose con violenza: il precariato, il lavoro nero, lo sfruttamento e le disuguaglianze hanno creato, insieme alla pandemia, un effetto domino che ha visto cadere, come pedine, migliaia di lavoratrici.
Sono migliaia le donne costrette a sottostare al ricatto lavoro/salute, accettando di recarsi a lavoro in contesti privi di sicurezza, mettendo a rischio la propria vita e quella di chi, a casa, dipende da loro. Il lavoro delle donne per lo più non si conclude, infatti, nel momento in cui timbrano il cartellino, ma ha a che fare, come sottolineano spesso le attiviste del Movimento Internazionale delle Donne, con la riproduzione dei rapporti sociali e familiari. Conosciamo da vicino molte storie di lavoratrici delle pulizie impiegate nelle strutture sanitarie, dipendenti di cooperative sociali, lavoratrici in RSA, impiegate nella grande distribuzione, che si organizzano e lottano per cambiare questa realtà di pericolo e incertezza chiedendo che anche a loro vengano fatti tamponi periodici, minore precarietà e aumento delle retribuzioni. Ci teniamo a ricordare che le lavoratrici delle pulizie infatti hanno retribuzioni orarie di 7 euro lordi.
Come Adl Cobas abbiamo partecipiamo alla giornata dell’8 marzo perché vogliamo dare il nostro contributo per combattere la violenza maschile contro le donne che avviene prevalente nella sfera domestica (61,3% delle donne uccise nel 2019 è stata uccisa dal partner o ex partner) ma che nei luoghi di lavoro dove sono ancora troppi i casi di molestie, violenze e ricatti sessuali.
In questa giornata però abbiamo voluto anche portare all’attenzione di tutte e tutti le discriminazioni di genere che ancora oggi avvengono nel mondo del lavoro. Solo la metà delle donne rispetto agli uomini è impiegata in profili dirigenziali, nonostante via sia una maggiore qualificazione ed il possesso di titoli di studio mediamente più elevati. La differenza retributiva media di genere nel privato è di 100 euro (1.400 euro per gli uomini, 1.300 per le donne), ma nei livelli di inquadramento più alti le differenze sono anche più forti.
Le più basse retribuzioni e la posizione più bassa all’interno dei profili professionali, portano inevitabilmente ad una maggiore povertà anche nelle pensioni che verranno percepite. Rispetto alle pensioni, se prendiamo in considerazione un campione di 10 donne e 10 uomini, troviamo che 5 donne su 10, cioè la metà, prendono meno di 1000 euro di pensione mentre gli uomini che prendono meno di 1000 euro sono solo 2 su 10.
Per quanto riguarda i tipi di contratto, più di un terzo delle donne è assunta a tempo parziale, rispetto a meno di 1/10 degli uomini. Pensiamo alle lavoratrici del comparto delle pulizie che quasi sempre devono subire il part time. Ma anche quando il lavoro part time non è l’unica scelta disponibile, per molte donne lo diventa per la mancanza di servizi e il peso del lavoro domestico e di cura che continua a gravare sulle spalle delle donne. Non è una novità per nessuno che le donne continuino a farsi carico di gran parte delle incombenze familiari. L’Istat rileva che la percentuale del carico di lavoro familiare svolto dalle donne tra i 25-44 anni sul totale del carico di lavoro familiare è del 67%, con sovraccarico tra impegni lavorativi e familiari tale per cui più della metà delle donne occupate svolge oltre 60 ore settimanali di lavoro retribuito e/o familiare.
Tale situazione si è aggravata con l’emergenza sanitaria e l’adozione di strategie di distanziamento fisico che hanno imposto vecchie e nuove modalità di organizzazione del lavoro a domicilio (telelavoro e smart working) e la didattica a distanza. In tale scenario, le lavoratrici madri si sono trovate improvvisamente costrette a districarsi, nell’ambiente domestico, tra il repentino aumento dell’attività di cura, istruzione ed educazione dei figli e una nuova modalità di organizzazione del lavoro. Una condizione fortemente stressante che rischia di incentivare ulteriormente la fuoriuscita delle lavoratrici madri dal mondo del lavoro. Nel corso di questa pandemia nei nostri uffici abbiamo visto un crescendo di donne lavoratrici che hanno dato le dimissioni entro i primi 12 mesi del bambino per stare a casa con i figli. D’altronde nonostante le misure adottate dal Governo per fornire sostegno alle famiglie, a fronte della sospensione dei servizi scolastici, sono state riconosciute in favore di entrambi «i genitori lavoratori», non sembra che le stesse siano state idonee a garantire una reale parificazione di genere nella gestione delle nuove esigenze familiari, determinate dalla pandemia in atto.
Non è stata, in effetti, prevista alcuna misura che incentivasse i padri, rispetto alle madri, a usufruire del cd. “congedo Covid”, in controtendenza rispetto all’orientamento dell’Unione Europea a favore dell’introduzione di misure volte a stabilire che almeno una parte del congedo parentale debba essere goduta in via esclusiva da ciascun genitore.
I dati ci indicano che una gran parte di donne dichiara di non essere alla ricerca di un lavoro perché deve prendersi cura dei bambini o di altre persone non autosufficienti della famiglia. Tra queste le donne migranti con figli si trovano ad essere ancora più in difficoltà perché in molti casi non hanno una rete familiare di supporto.
Troppo poche sono ancora le risorse investite per migliorare la qualità e aumentare i servizi accessibili a tutte e tutti per la cura, così da permettere a tutte coloro che lo vogliono di entrare nel mondo del lavoro. Troppo basse le retribuzioni e troppo precari i contratti nei settori femminilizzati. Troppo poveri, selettivi e discriminatori gli ammortizzatori sociali. Per questo chiediamo:
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l’introduzione di un salario minimo orario non inferiore a 9 euro lordi;
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l’introduzione di un ammortizzatore sociale universale che eroghi importi non inferiori a mille euro;
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l’ampliamento dei soggetti che possono accedere al reddito di cittadinanza oltre che un aumento degli importi erogabili;
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il riconoscimento e la valorizzazione economica del lavoro domestico e di cura gratuito e retribuito svolto all’interno delle case;
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politiche di welfare e servizi pubblici che facilitino il bilanciamento dei carichi di cura tra uomini e donne, come l’implementazione degli asili nido, l’introduzione di incentivi per una più equa distribuzione tra i genitori dei congedi parentali e l’incremento degli indennizzi.
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l’adozione di politiche volte al contrasto della povertà femminile nelle fasce più anziane della popolazione;
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maggiori investimenti nei servizi di welfare per le persone anziane e non-autosufficienti, per migliorare le condizioni di lavoro sia delle lavoratrici sia delle pazienti in prevalenza donne.
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l’utilizzo delle risorse del recovery fund per finanziare queste misure e più in generale politiche contro la violenza di genere e favorire l’audeterminazione delle donne.
A Padova nella giornata internazionale per i diritti delle donne le lavoratrici delle pulizie si sono mobilitate per denunciare le paghe da fame e la precarietà del lavoro negli appalti e subappalti degli ospedali, degli uffici pubblici e delle catene della distribuzione organizzata.
Dal mattino presto davanti all’IKEA Padova le lavoratrici hanno detto “8 Marzo: meno mimose, più salario e diritti” per l’aumento della paga oraria del CCNL delle pulizie e Multiservizi, uno dei contratti con la paga più bassa in Italia.
In tarda mattinata le lavoratrici delle pulizie del Ospedale di Piove di Sacco si sono concentrate davanti all’ingesso del nosocomio per fare presente che il loro lavoro è essenziale non solo nella pandemia ma sempre e per chiedere quindi che le ore di lavoro settimanale aumentate di fatto per l’emergenza sanitaria, vengano stabilizzate nel loro contratto.
Nel primo pomeriggio, davanti all’Agenzia delle Entrate un gruppo di lavoratrice che da anni si occupano dell’igiene e sanificazione degli uffici della direzione provinciale, ha manifestato la drammatica condizione economica connessa al mancato pagamento da dicembre del salario (già bassisimo) e del TFR maturato con un precedente appaltatore. Le lavoratrici hanno chiesto all’egenzia in quanto committente di intervenire immediatamente per sanare questa vera e propria vergona.
La giornata si è conclusa con l’imponente corteo promosso dal nodo locale del movimento Non Una Di Meno, nel quale abbiamo ribadito la necesita di più diritti salario e dignità per le lavoratrici delle pulizie.