Probabilmente dopo il 3 maggio anche per il trasporto pubblico locale si dovranno ripensare ancora una volta frequenze, disposizioni, comportamenti.
Ma sopratutto si dovrà ipotizzare se non vogliamo ricadere nel pieno dell’epidemia nuove forme di spostamento, nuove modalità di fruizione dei mezzi pubblici, nuovi orari e nuovi comportamenti da parte di tutti.
Risulta oggi evidente che non possiamo più pensare al trasporto pubblico così come l’abbiamo conosciuto e praticato fino a prima di questa crisi, noi riteniamo che non si possa più riferirci ad un trasporto pubblico che dal punto di vista economico si sostiene grazie ad una quota di finanziamento regionale ed una quota ricavata dalla bigliettazione, e non possiamo nemmeno accettare come proposto da alcuni sindaci (vedi Brugnaro Sindaco di Venezia) che per muoversi le persone tornino ad usare i mezzi propri.
Tornare indietro alle condizioni di prima dell’epidemia significa ricostruire l’humus ideale per la ripresa del virus (come evidenziato da molti esperti il virus si è diffuso di più e più facilmente in territori inquinati), vanificando quanto di buono sia pure sotto costrizione è stato ottenuto fino ad oggi, significa non aver capito che il cambiamento delle nostre abitudini non è limitato temporalmente fino alla fine di questa pandemia, ma deve essere piuttosto un cambiamento radicale verso una diversa e migliore qualità della vita e dell’ambiente.
Questo significa operare per garantire un diverso modo di spostarsi nel nostro paese, significa riconsiderare il ruolo del trasporto pubblico, ed il suo indissolubile legame con la salute pubblica, significa non poter più identificare le aziende di trasporto pubblico come aziende d cui ricavare utili, aziende da spremere per incamerare guadagni, significa ridare a queste aziende la dignità di un vero servizio pubblico al pari della sanità o degli enti previdenziali.
Il futuro di queste aziende non potrà più essere analizzato solo sotto il profilo dei bilanci, dei ricavi o delle perdite, dovrà essere analizzato sotto il profilo dell’utilità complessiva nei confronti della società, e dei risparmi in termini di inquinamento e di salute pubblica che la loro implementazione e la loro modifica andranno a determinare.
In poche parole il bilancio di queste aziende non potrà più essere costituito per il 60% dai contributi regionali e per il resto dai ricavi derivanti dalla vendita dei biglietti, proprio perché non si potrà più pensare (almeno nel breve periodo) di vedere autobus o tram pieni di utenti pigiati uno contro l’altro,a garanzia della sicurezza degli utenti e dei lavoratori stessi, e sarà quindi necessario, se si vuole evitare l’uso del mezzo privato per quanto affermato precedentemente, implementare le corse ed i mezzi messi a disposizione dell’utenza con un notevole aumento di costi.
Questo significa a nostro parere che il contributo regionale veneto oggi fermo al 60% con valori oltretutto fermi da oltre dieci anni deve cambiare, deve garantire molto di più quelli che sono i costi attuali delle aziende, deve garantire un servizio capace di impedire ai cittadini di usare i mezzi propri, deve garantire frequenza tale da permettere spostamenti che non potranno più essere legati alle classiche ore di punta, deve garantire una capienza che tenga nella giusta considerazione la sicurezza e la salute dell’utenza e di chi lavora, deve in poche parole essere un contributo di misura tale da trasformare il servizio pubblico attuale in un “bene pubblico insostituibile”.
Questo significa che nei vari piani per la ripartenza di questo paese, della sua economia e della sua socialità, il trasporto pubblico dovrà assumere un ruolo di primo piano, proprio per poter iniziare a pensare ad una organizzazione della nostra vita diversa più indirizzata a salvaguardare l’ambiente e la salute piuttosto che il profitto e gli utili.