Oltre 51 mila persone infettate sul luogo di lavoro. 276 morti sacrificati sull’altare del lavoro, del profitto. Lo abbiamo denunciato continuamente nei luoghi di lavoro, abbiamo fermato con scioperi e mobilitazioni il lavoro per chiedere e per ottenere di poter svolgere le mansioni assegnate in sicurezza, seguendo le indicazioni di pubblica utilità. Non è stato facile ottenere rispetto per la vita, per la dignità, per la salute dei lavoratori. Anzi spesso abbiamo dovuto ’supplire’ con i nostri pochi mezzi alle carenze delle imprese. Proponiamo qui di seguito l’articolo di Gilda Maussier, pubblicato l’8 agosto sul manifesto, che ci da uno spaccato – fornito dall’INAIL – della situazione pandemica nei posti di lavoro. B.Z.
Decresce ma è ancora molto alto il numero di persone che denuncia all’Inail di aver contratto il Coronavirus sul posto di lavoro: al 31 luglio sono 51.363 le segnalazioni raccolte dall’Istituto dall’inizio dell’epidemia, 1.377 in più rispetto al monitoraggio del 30 giugno, di cui 360 sono relative a contagi avvenuti nel mese di luglio. Invece il 15 giugno scorso i casi riportati nel report nazionale dell’Inail erano 49.021, 1.999 in più rispetto a quelli rilevati dal monitoraggio precedente del 31 maggio.
Un dato dunque che potrebbe lasciare ben sperare anche se – al netto del lavoro nero – come si ricorderà, riguardo la certificazione dell’avvenuto contagio in ambito lavorativo, per una pandemia dal carattere universale come il Covid-19, l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro ha opposto non pochi ostacoli, e solo in parte ha limitato l’onere della prova a carico del lavoratore per determinate categorie, come gli operatori sanitari e coloro che si trovano a contatto con il pubblico. Cosicché l’analisi dei dati e territoriale contenuta nel settimo report nazionale elaborato dall’Inail fotografa solo una porzione del reale mondo del lavoro.
I CASI MORTALI da Coronavirus certificati dall’Inail sono in totale 276, mentre erano 236 il 15 giugno scorso. I deceduti sono soprattutto uomini (83,3%) e nelle fasce 50-64 anni (69,9%) e over 64 anni (20%), con un’età media delle vittime di 59 anni. Ma ad ammalarsi (o forse a denunciare l’avvenuto contagio quando sono ancora in vita) sono invece in maggior parte le donne: il 71,4% contro il 28,6% delle denunce presentate da uomini, e l’età media scende a 47 anni.
Più di otto segnalazioni su dieci sono concentrate nel Nord Italia: il 56,3% nel Nord-Ovest e il 24,2% nel Nord-Est, seguiti da Centro (11,8%), Sud (5,7%) e Isole (2,0%). La Lombardia naturalmente ha il primato con il 36,2% dei casi segnalati e il 43,8% dei decessi.
È NEGLI OSPEDALI, nelle Rsa e nelle Asl che si concentra l’80,6% delle infezioni denunciate e il 33,7% dei decessi avvenuti. Se invece si escludono le Aziende sanitarie locali, la percentuale scende ma non di molto: il 71,6% del complesso delle infezioni denunciate e il 23,4% dei casi mortali vengono registrati negli ospedali e nelle case di cura e di riposo di ogni tipologia. Ad ammalarsi sono soprattutto i tecnici della salute, con il 40,0% dei contagi denunciati, di cui la maggioranza (l’83%) sono infermieri, operatori socio-sanitari (21,0%), medici (10,3%), operatori socio-assistenziali (8,9%) e personale non qualificato nei servizi sanitari, come ausiliari, portantini e barellieri (4,7%).
ANCHE PER I DECESSI purtroppo la percentuale è simile: «Circa il 35% dei casi mortali riguarda il personale sanitario e socio-assistenziale – si legge nel report dell’Inail – Nel dettaglio, il 9,9% dei decessi codificati riguarda i tecnici della salute (il 62% sono infermieri), seguiti da medici (8,5%), operatori socio-sanitari (6,6%), operatori socio-assistenziali e personale non qualificato (3,8% per entrambe le categorie)». Secondo l’analisi dei dati pubblicata ieri dall’Istituto, nella classifica dei più contagiati seguono poi i servizi di vigilanza, quelli di pulizia, i call center, il settore manifatturiero (addetti alla lavorazione di prodotti chimici, farmaceutici, alimentari) e le attività dei servizi di alloggio e ristorazione.
SPIEGA LA CGIL LOMBARDIA che nella regione più colpita d’Italia «le denunce di infortunio in occasione di lavoro nel settore della sanità e assistenza sociale sono aumentate da 1.816 nei primi sei mesi del 2019 a 9.163 nello stesso periodo del 2020, pari a +404%». E sono le donne ancora le più colpite (13 mila rispetto a 5 mila uomini) perché è donna la maggioranza di infermieri, ausiliari e operatori socio assistenziali.
SOLO IERI È STATO ACCERTATO un focolaio di Covid nel teramano, allo stabilimento Amadori di Controguerra, dove nove dipendenti sono risultati positivi, insieme a tre familiari contagiati dai lavoratori. Sono sotto osservazione anche le altre 47 persone che facevano parte dello stesso turno di lavoro di una donna risultata positiva che da tre giorni è in isolamento domiciliare. «Ricordiamoci una regola importantissima: con la febbre si sta a casa – è il monito di Pierluigi Lopalco, docente di Igiene all’Università di Pisa e responsabile delle emergenze epidemiologiche della Regione Puglia – Purtroppo noi abbiamo avuto degli importanti focolai causati da persone che sono andate in giro e persino a lavorare con la febbre. Questo oggi non è ammissibile. – aggiunge dimenticando i ricatti troppo spesso subiti dal lavoratore – Dobbiamo trasformare quella che fino a ieri era un’emergenza sanitaria in quella che è la normale, ordinaria amministrazione di una epidemia. Le regole ci sono, i controlli devono essere intensificati».