LA DESTINAZIONE A HUB COVID-19 DELL’OSPEDALE DI SCHIAVONIA
ERA L’UNICA SCELTA POSSIBILE?
Come è stato possibile che nel vortice dell’emergenza covid-19 l’unico ospedale della bassa padovana sia stato destinato solo ai ricoveri da covid-19; che il vecchio ospedale di Monselice sia stato in parte riattrezzato (o quasi) per un possibile ulteriore aggravamento di ricoveri da covid-19 e che, nell’area parcheggio auto per il personale dell’ospedale di schiavonia – in un’area amplissima di almeno 5.500 mq – sia in corso di allestimento l’ospedale da campo donato dal Qatar con una capienza virtuale di 500 posti letto, anche questo in previsione di ospitare pazienti da covid-19? Dovrebbe, secondo le ultime voci trapelate, sostituire l’ospedale di Schiavonia per i ricoveri covid-19 ma già sono sorti i primi problemi – riduzione del numero dei posti letto perchè le distanze previste in Italia non sono le stesse di quell del Qatar e impianti elettrici risultati non a norma – e non si capisce quando avverrà questo visto che si presume possa essere allestito per il 12 maggio ma già Zaia ha messo le mani avanti dicendo che si tratta di una prova tecnica di montaggio e che verrà smontato entro l’autunno.
I numeri dei ricoveri da coronavirus non sembrerebbero dare ragione a questa ingente disponibilità di posti letto per la cura da covid-19. Al 20 aprile nell’ospedale di Schiavonia si contano 110 degenze in area non critica e 7 in terapia intensiva (più 3 ormai negativi), entrambi i dati in calo rispetto ai giorni precedenti. Nel resto della provincia di Padova secondo i dati del 18 aprile la situazione emergenza covid-19 registrava nell’azienda ospedaliera di Padova 62 ricoveri in area non critica e 17 in terapia intensiva; 2 soli ricoverati in terapia intensiva all’ospedale di Cittadella, 4 in area non critica a Camposampiero e 1, sempre in terapia non critica, a Conselve che, aggiunti a quelli presenti a Schiavonia, da un totale di 203 ricoverati di cui 26 in terapia intensiva.
La scelta regionale era inevitabile?
Delle due l’una allora: o la Regione Veneto è in possesso di dati segretati che prevedono una prossima probabile recrudescenza epidemica di proporzioni ben maggiori di quella vissuta sinora che giustificherebbero la massiccia concentrazione di posti letto covid-19 nell’ospedale di Schiavonia, in quello del Qatar in allestimento e, per sicurezza, nei posti letto di riserva ricavati dal riattrezzato ex monoblocco del dismesso ospedale di Monselice, oppure la popolazione della bassa padovana sta pagando in termini di azzeramento di servizi e prestazioni medico-ambulatoriali-ospedaliere l’assurda decisione di sottrarre a questo territorio l’unico ospedale esistente. In questi giorni e ore il rincorrersi di voci contraddittorie – dall’ipotetico trasferimento (quando e per quanto?) dei malati da coronavirus dall’ospedale di Schiavonia a quello donato dal Qatar alle timide aperture del reparto nascite e di altri possibili reparti dell’ospedale dopo il 3 maggio – mi fa propendere più per la seconda ipotesi, cioè che sia stata una scelta sbagliata, presa senza alcuna consultazione con i sindaci del territorio, così come lo sono state le successive decisioni di questi giorni e ore e che, quindi, fosse sacrosanta e giusto l’immediata denuncia dei consiglieri comunali di minoranza del Comune di Monselice prodotta attraverso un appello on line per il mantenimento di tutti i servizi nell’ospedale di Schiavonia che ha avuto un consenso massiccio in rete. Per la stessa ragione altrettano motivate e giuste sono state le iniziative promosse dalla stragrande maggioranza dei sindaci del territorio per rivendicare il mantenimento di un ospedale nella Bassa Padovana al servizio della popolazione. Aggiungo sibillinamente il sospetto che non sia stata semplicemente una scelta infelice ma voluta politicamente quella di scegliere l’ospedale di Schiavonia e non altri come l’hub covid-19 della Provincia.
La Bassa Padovana era la più attrezzata ad accogliere un hub ospedaliero covid-19?
Mi domando se questa era l’unica e la più opportuna scelta da fare o se si potevano fare altre scelte? Si poteva scegliere un altro territorio più fornito di servizio ospedaliero? Ma se si doveva per forza scegliere la Bassa Padovana come territorio dove insediare un hub ospedaliero covid-19 si poteva decidere di riaprire e riattrezzare due strutture relativamente ancora integre come quelle di Monselice e Este invece di chiudere Schiavonia per tutti gli altri servizi?
L’attuale ASL 6 ha assorbito le USL 15 Alta Padovana e 17 Bassa Padovana. Il territorio che è servito da dall’ex USL15 Alta Padovana comprende 28 comuni distribuiti su un ambito territoriale di 582 kmq, con una popolazione di poco più di 250 mila abitanti; il servizio ospedaliero è fornito da due ospedali, quelli di Cittadella e Camposampiero, entrambi con 345 posti letto per un totale di 690 posti letto.
Il territorio servito dall’ex USL17 Bassa Padovana comprende 46 Comuni distribuiti in un ambito territoriale di poco meno di 888 kmq, con una popolazione di poco superiore ai 180 mila abitanti. Secondo la carta dei servizi del 2017 questo territorio sarebbe servito da 3 ospedali in quanto insieme all’ospedale per acuti di Schiavonia vengono considerati tali anche quelli di Conselve e Montagnana. Ma questi hanno sostanzialmente servizi medico-riabilitativi con l’aggiunta per Montagnana di un Punto di primo intervento, rivelatosi del tutto insufficiente a rispondere alle emergenze che, di fatto, fanno capo esclusivamente al Pronto Soccorso di Schiavonia. Insomma la disponibilità di posti letto ospedalieri è sostanzialmente quella dei 368 posti di Schiavonia.
Già da queste fredde cifre si capisce che tra i due territori quello della bassa padovana era quello che sarebbe andato maggirmente in sofferenza sanitaria ospedaliera se gli fosse stato sottratto l’unico ospedale esistente. Eppure la Regione ha deciso proprio in tal senso, d’arbitrio, senza sentire le opinioni dei medici, le ragioni dei sindaci e delle migliaia di cittadini espressisi via social contro questa decisione. Ancora una volta la Bassa Padovana paga un penalizzazione da parte della Regione così come avvenuto in materia ambientale con la decisione di mantenere una discarica regionale tattica a Sant’Urbano, in un territorio il cui sottosuolo è percorso da falde acquifere o con le omissioni protrattesi per molti anni sull’inquinamento da pfas o con le decisioni che hanno fatto della Bassa Padovana il luogo privilegiato per la concessione di impianti di biogas diffusi e di allevamenti intensivi per diverse specie animali. Scelte che hanno contribuito al peggioramento della condizione ambientale del territorio certificato dal primato epidemiologico regionale in questa USL di maggiori patologie legate all’inquinamento dell’aria e del suolo.
Perchè da 4 ospedali siamo passati a uno e ora a nessuno?
Un tempo la bassa padovana aveva 4 ospedali, due più grandi a Monselice e Este e due più periferici a Conselve e Montagnana, una assistenza sanitaria primaria garantita dalle visite domiciliari e ambulatoriali dei medici di base, distretti sanitari e consultori familiari deputati a facilitare l’accesso ai servizi sanitari. Era il tempo di una sanità basata sul principio universalistico del diritto alla salute per tutti, frutto di decenni di lotte e rivendicazioni sociali che avevano portato nel 1978 al varo del Servizio Sanitario Nazionale.
A partire dagli anni 80-90 le politiche neoliberiste che hanno imposto la sostanziale privatizzazione della sanità attraverso razionalizzazioni volte al profitto e rispondenti esclusivamente alle regole del mercato sono all’origine dei tagli finanziari alla sanità, della sua trasformazione da universalistica a sanità i cui costi elevati devono gravare sull’utenza, della stagione dei project financing per la costruzione dei grandi smaglianti ospedali che ha scaricato gli oneri sulla collettività e assegnato i profitti in larga parte ai privati. Di questa stagione, che ha garantito rendite politiche durature al duopolio regionale Lega Nord-Forza Italia e lauti profitti ai privati coinvolti grazie a canoni pluridecennali vantaggiosissimi e commesse vincolate, è figlia anche la nascita dell’ospedale di Schiavonia e non certo di scelte dettate dal miglioramento e potenziamento dell’offerta ospedaliera per il territorio. La sua nascita ha poggiato sulle ceneri dei 4 ospedali precedenti e sulla conseguente perdita netta per il territorio di posti letto e servizi.
In questi mesi abbiamo visto come questo sistema, travolto dall’emergenza coronavirus, abbia retto ben poco – fatto salvo il lavoro del personale medico e infermieristico. Sono emerse drammaticamente le carenze di posti letto, di terapie intensive, di strumentazione necessaria a tutelare il personale medico e infermieristico e di un qual si voglia straccio di piano antiepidemico (eppure di epidemie simili negli ultimi 20 anni se ne sono verificate tante e le indicazioni dell’OMS per piani di sicurezza in tal senso erano state più d’una); ci si è trovati persino senza tamponi disponibili e reagenti necessari all’analisi perchè produzioni, insieme a quelle delle mascherine protettive, delocalizzate da tempo in parti del Pianeta dove il costo della forza-lavoro è enormemente più basso. Il principio del Just in Time utilizzato nell’attuale produzione industriale che non concepisce magazzini di scorta delle merci ma solo produzione secondo richiesta è diventato verbo anche nella sanità con posti letto necessariamente sempre occupati per ragioni di bilancio. Di fronte a eventi come la pandemia da coronavirus ne vediamo tutta la sua assurdità applicata a questo settore.
Allora invece di dichiarare affrettatamente Zaia santo subito…forse sarebbe meglio ragionare su quale sanità le politiche regionali di questo ultimo ventennio ci abbiano dato, sul perchè si sia deciso di sacrificare un territorio già gravato da situazioni sociosanitarie allarmanti chiudendogli l’unico ospedale ancora esistente e su quale sanità, viceversa, dovremo puntare usciti dall’emergenza.