C. è un autista da molti anni e nella giungla sempre più selvaggia dell’autotrasporto ne ha viste di tutti i colori. Calamite, dischi che compaiono e scompaiono e si alternano ai fogli ferie, carte tachigrafiche che si sdoppiano o triplicano, scambi di camion durante i viaggi, paghe da fame e totale disapplicazione del CCNL come delle norme minime in materia di sicurezza e tutela del lavoratore. Per non parlare delle forme di lavoro: sotto cooperativa, tramite agenzia, con la partita iva. Ma i voucher no, non credeva potessero essere utilizzati per un lavoro che non è sicuramente accessorio.
Invece capita che C. pur di lavorare per uno dei tanti pirati dell’autotrasporto abbia dovuto accettare persino questa forma di pagamento, pure consapevole del fatto che non gli avrebbe garantito alcun diritto. La paga globale giornaliera di 80 €, tramite 1-2 voucher al giorno e il restante in nero, era il corrispettivo di un nastro lavorativo mai inferiore alle 15 ore al giorno. Per 6 e a volte 7 giorni alla settimana. I voucher, nonostante venissero erogati con parsimonia, sarebbero finiti abbastanza presto se il padrone, formalmente titolare di una ditta individuale, non lo avesse pagato interponendo la ditta del figlio prima e di un altro prestanome poi. Entrambe ditte individuali di autotrasporto.
Ad un certo punto capita che C., dopo circa un anno di lavoro a voucher, trovato un impiego migliore perché almeno coperto da un contratto a termine, decida di lasciare il vecchio datore di lavoro. Oltre a fare questo, però, vuole togliersi qualche sassolino dalle scarpe e decide di contattare lo sportello dell’ADL Cobas per provare a farsi pagare il dovuto.
Bene direte voi. Certo, se non fosse che il pirata dell’autotrasporto appena ricevuta una nostra lettera, nel quale lo si invitava ad un incontro per trovare un accordo stragiudiziale, abbia letteralmente tempestato di telefonate C. e, visti i suoi dinieghi, lo abbia aspettato sotto casa.
Quello che si siano detti non è dato a sapere con precisione. Fatto sta che il pirata ha risposto alla nostra raccomandata informandoci che ha “risolto” la faccenda con l’autista e dicendoci che il nostro intervento non era necessario (!!). C., da parte sua, ha confermato che “si erano chiariti ed tutto era a posto” (!!).
Tra le righe abbiamo capito che il pirata aveva avuto modo di far presente a C. che conosceva il suo nuovo datore di lavoro…e che comunque sarebbe stato sempre disponibile a farlo lavorare da lui qualora si fosse trovato senza un impiego.
Questa è una storia di voucher. Una storia di merda, come tante. Dove gli stipendi da fame e lo sfruttamento più brutale si uniscono al ricatto e alle minacce.
Non ci sentiamo di condannare C., ma dobbiamo essere altrettanto chiari: se non cominciamo ad alzare la testa e capire che organizzandoci possiamo essere più forti dei pirati che infestano il mercato del lavoro, allora saremo destinati a vedere moltiplicarsi, sulla nostra pelle, storie come questa.