ALCUNE BREVI NOTE SUL GOVERNO M5S-LEGA.
Di solito si aspettano 100 giorni per tracciare un primo bilancio di una nuova compagine di governo, ne sono passai neanche 50 nel caso del Governo di Giuseppe Conte, prestanome del contratto tra M5S e Lega: è, dunque, presto, tuttavia cerchiamo ugualmente di cogliere quello che ci vogliono propinare, dove vogliono portarci a parare.
È indubbiamente un governo formatosi tra avversità e sospetti tra le parti istituzionali che concorrono alla formazione dell’esecutivo: non si possono dimenticare gli iniziali veti incrociati tra M5S e il Centro Destra, il poderoso autogoal dei DS col M5S propiziato dall’entrata a gamba tesa di Renzi, l’incarico a Cottarelli, lo stop, al limite dell’area di rigore costituzionale di Mattarella. Sicuramente una parte dei poteri forti in Italia e in Europa hanno remato contro l’accordo di governo tra Lega e M5S, nutrendo nei confronti di questa ultima formazione politica una forte resistenza non disponendo di sufficienti e adeguati terminali che ne garantissero l’affidabilità: la lobby Casaleggio non è, ancora, accreditata nei gangli del potere internazionale che conta, fa e dispone. Ma i Di Maio e i Salvini ce l’hanno fatta a dispetto di tutti i gufi, dello spread, dei narcisi del PD, di Mattarella.
E sono partiti alla grande – ognuno, Salvini e Di Maio – sventolando i punti più appetibili, presenti nel contratto di governo e nella campagna elettorale, che li ha visti vincenti: reddito e immigrazione. Continuando, dallo scranno del Governo, l’agitazione e la propaganda che hanno sempre connotato il loro DNA politico, con un linguaggio, una retorica e una narrazione da Bar Sport, che hanno lasciato basiti tutti i sopraffini commentatori politici, ma hanno fatto volare nei ripetuti sondaggi la Lega, tanto che a Pontida si è proclamata futura guida politica per l’Italia e l’Europa per i prossimi 30 anni.
Sbruffonate da osteria; certo ma stiamoci attenti. Chi, come i grandi gruppi editoriali italiani, alcune associazioni padronali, la lobby trasversale del PD, ha scommesso su di una implosione a breve dell’accordo di governo, sta sbagliando alla grande, prendendo per buoni alcuni screzi, alcune discrepanze – vuoi tra loro vuoi con altri rappresentanti delle Istituzioni – nelle esternazioni e nell’operato dei due alfieri Salvini e Di Maio. Un’attenzione alle contraddizioni per allargare le disomogeneità politiche presenti che non sta portando e non porterà da nessuna parte. Tutti devono fare i conti con una realtà politica di governo che si sta consolidando e rafforzando, e che ha a disposizione tutte le carte per far durare la 18^ legislatura fino a quando essi stessi – la Lega o il M5S – decidono che è di loro beneficio politico.
A meno che non faccia capolino un Cigno Nero, così come lo ha evocato il ministro per gli Affari Europei Savona, come lo ha ricordato quello dell’Economia Tria adombrando una uscita dall’Euro: il fantasma del default economico viene fatto alleggiare troppo spesso. È un pericolo reale o un escamotage per imbrigliare le pretese di sforamento del debito del M5S ad opera degli ‘uomini del Presidente’ Mattarella? Non siamo in grado di saperlo, di certo ci sono l’annunciata riduzione del PIL previsto e una rissa continua sui grandi numeri della previsione di Bilancio, sotto l’ombra della prossima chiusura del Quantitative Easing della BCE di Mario Draghi.
Il Governo, dunque, ha le carte per durare e per asfaltare i competitors politici a destra come a mancina: Di Maio e Salvini recitano i rispettivi ruoli di poliziotto buono e sbirro cattivo, con qualche sconfinamento nella reciproca caratterizzazione come quando Salvini dichiara di agire da papà o Di Maio bacchetta Macron. Ruoli funzionali alla gestione del potere e per riaffermare quello che i rispettivi elettorati vogliono sentirsi dire, per poi smentire o smussare per tranquillizzare benpensanti e poteri reali nazionali e transnazionali.
Così abbiamo visto Salvini ringhiare contro migranti, ONG, l’accordo di Dublino, mettendo a repentaglio regole di ingaggio per il salvataggio dei naufraghi, negando le consuetudini internazionali del mare, travalicando i suoi poteri e competenze, destabilizzando i conciliaboli europei per poi tornarsene a casa con un pugno di mosche, una tirata d’orecchio del solito Mattarella e una manciata di migranti da distribuire in Europa. Insomma Salvini ha fatto e continuerà a fare la voce grossa sull’immigrazione, sapendo di parlare alla pancia di molti, consapevole di non avere altri strumenti a disposizione se non un secchio per svuotare un mare di migranti. Può fare solo propaganda a fronte di risultati prossimi allo zero: nonostante il picco favorevole nei sondaggi è in affanno, ha bisogno dell’Europa e non dei paesi sovranisti di Visegrad e dintorni.
Di Maio, inizialmente fatto sparire dal poliziotto cattivo, ha prodotto il ‘decreto dignità’ infastidendo non poco padroni e padroncini, strizzando l’occhio, pur concedendo poco, ai giovani e ai lavoratori precari, al senso comune degli operai che vedono le imprese delocalizzare dopo aver incassato incentivi su incentivi. Ha scompaginato le relazioni sindacali ricevendo e contrattando con le Union della gig economy metropolitana, con i Cobas del commercio per le chiusure domenicali, rivendicando a sé il principio di rappresentanza reale dei lavoratori. Riattiva i voucher per il lavoro stagionale in agricoltura e turismo, sventola , anche lui il sovranismo – andando con lo zoppo si impara a zoppicare – bocciando l’accordo con CETA col Canada, beccandosi gli applausi di Coldiretti. Agita il taglio delle pensioni sopra i 4000€ netti per costituire un fondo di solidarietà per i pensionati poveri. Insomma l’occultato Di Maio è ritornato alla ribalta con piccoli risultati concreti d’effetto per il suo elettorato, attirandosi gli strali degli industriali manifatturieri, dell’establishment sindacale e del partito mancino e con in sottofondo il brontolio persistente dei poteri forti italiani ed europei.
Non possiamo non essere allarmati da questo intreccio di governo, di questa saldatura ideologica attorno al sovranismo populista tra due formazioni politiche con un background sociale molto diverso, così come dobbiamo tenere presente l’ombra del Cigno Nero dei poteri forti: ce lo ha ricordato Luciano Canfora dalle colonne del Corriere quando, giorni fa, ha scritto che, quando la propaganda si è saldata con il welfare, l’Italia e l’Europa hanno conosciuto il loro periodo più nero con una adesione di massa.
Ben vengano, dunque, le magliette rosse dell’indignazione etica, la vertenza Boabab, la marcia in Calabria e di Ventimiglia, consapevoli che è necessario industriarsi tutt*, con disponibilità e rispetto, per dar vita ad una stagione di conflitto sociale reale e dispiegato.