Le proteste di Zaia mentre la tenuta del sistema ospedaliero è vicino al collasso
Mentre il Governo di fronte all’estendersi dell’epidemia da coronavirus in più parti d’Italia, in un paio di giorni, emette due decreti che, di fatto, mettono in quarantena tutto il Paese, c’è chi come il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia trova il tempo di polemizzare con il Governo per aver inserito nei primo provvedimento restrittivo anche tre province venete, dando l’idea a chi lo ha ascoltato durante i TG che in fondo, almeno in Veneto, con la chiusura della zona rossa di Vò si fosse ormai alla fine del tunnel.
In realtà la situazione è seria e preoccupante soprattutto per gli anziani e per chi è costretto al lavoro senza alcuna protezione. Solo con questi due provvedimenti il Governo ha posto delle limitazioni all’attività commerciale mentre per cinema, teatri, musei e manifestazioni culturali lo stop era stato da subito totale.
Ora con le limitazioni della mobilità delle persone nei territori, da comune a comune, la stessa attività lavorativa sembra essere investita, seppure con toni soft, da limitazioni (si auspica, ad esempio, dove possibile l’utilizzo del telelavoro) ma molte delle produzioni rimangono aperte senza l’obbligo di fornire ai lavoratori e alle lavoratrici adeguata protezione. E questo avviene anche negli ospedali dove, non per caso, a risultare infetti sono sempre più medici e infermieri.
Anche in questa situazione e di fronte all’Italia al tempo del coronavirus le differenze di classe – quelle che molti dicono non esistano più – si evidenziano nel rapporto con l’epidemia e con le cure. La carenza di materiale (mascherine), di strumentazione tecnica di rianimazione e di posti letto per terapie intensive nel tanto beatificato sistema ospedaliero del nord leghista (la situazione del centro sud, per ora non colpita come le regioni del nord, è da questo punto di vista ancora più drammatica) porta persino i medici, dove si verifica l’urgenza, a prepararsi a scegliere a chi fornire l’ossigeno tra un paziente giovane o anziano. Prassi per altro non inusuale nel caso di trapianti del cuore, del midollo ecc. Quindi i più deboli, gli anziani, sono quelli più a rischio di fronte al possibile collasso delle terapie intensive disponibili e, state certi, si tratterà degli anziani meno abbienti: dubito che un anziano con forti disponibilità economiche venga privato di assistenza allo stesso modo del pensionato da lavoro dipendente.
L’epidemia da covit-19 è sostanzialmente un’influenza che può evolvere in patologie più gravi, polmonari, a basso impatto ma molto infettiva (da qui la sua rapida diffusione come avvenuto in Cina, in Italia, Corea del Sud, Iran e ora anche nel resto dell’Europa e del mondo) ma quello che ha preoccupato prima il Governo cinese e, ora, quello italiano è stata la tenuta dei sistemi ospedalieri. In Italia questa preoccupazione è stata lanciata sin dai primi giorni dell’infezione da tutti i virologi e i responsabili sanitari degli ospedali: attenzione sembrava dicessero tra le righe che il nostro sistema sanitario e, in particolare ospedaliero, piegato da decenni alla logica della privatizzazione e del profitto non riuscirà a reggere se ci trovassimo di fronte ad una estensione massiccia dell’epidemia. Per questo, alle prime avvisaglie nel Lodigiano e nel Veneto sono stati presi alcuni provvedimenti che sembravano eccessivi: non era la pericolosità in sè della malattia contratta ma la tenuta del sistema sanitario quella che preoccupava i medici e in ordine sparso i decisori politico-istituzionali.
In questi giorni che l’ospedale di Schiavonia (Monselice), il solo ad essere stato messo in quarantena per una settimana a causa della presenza nei suoi reparti di un anziano risultato positivo al cornavirus, è stato riaperto, la sua tenuta in termini di risposta alla domanda di ricoveri infettivi è già in sofferenza anche se ufficialmente non trapela ancora nulla in tal senso. Ma le voci che arrivano dagli operatori medici che vi lavorano non rassicurano. Eppure l’ospedale per acuti di Schiavonia è uno dei vari recenti “gioielli” in project financing costruiti negli ultimi decenni dai governi veneti forzisti-leghisti, uno dei tasselli della sanità d’eccellenza sbandierata da Zaia. E lo sono d’eccellenza se li paragoniamo alla rete ospedaliera del centro-sud ma pochi, ad esempio, sanno che se nel 2002 i posti di terapia intensiva in Veneto erano 1.176, nel 2019, con l’approfondirsi della logica privatistica della sanità regionale, sono ridotti a 717 segnalando un preoccupante – 39% (dati ricavati dalle Schede Ospedaliere della Regione Veneto resi noti nella pagina facebook di “Il Veneto che vogliamo”).
Oggi che ne avremmo estremo bisogno quei 459 posti di rianimazione mancanti denunciano la logica privatistica che ha favorito la sanità privata in questa regione e impoverito l’offerta pubblica.
La situazione non penso sia diversa in altre regioni e a confermarlo sono le preoccupazioni del Governo che in una circolare del Ministro della salute autorizza l’incremento dei posti letto per terapie intensive del 50% e delle pneumologie del 100%. Mancano inoltre le strumentazioni e proprio il Primo Ministro Conte ha di fatto avocato al Governo gli acquisti, estromettendo le Regioni da questa funzione sinora gestita in proprio con sperperi spesso segnalati dalla Corte dei Conti.
Un interessante articolo di Ivan Cavicchi su Il Manifesto del 10/03/20201 segnala che questo proposito non solo sarà di difficile risoluzione ma che senza assunzione di anestesisti rianimatori e infermieri specialisti e senza la creazione di spazi adeguati risulterà di impossibile realizzazione nel breve periodo. Per altro, sempre Cavicchi segnala come ci sarebbe bisogno non solo di un maggior numero di posti letto per terapie intensive ma della presenza di un sistema di degenza differenziato adeguato ad ammalati di bassa, media e alta complessità come quelli infettati dal Covit-19.
Ma queste esigenze che ora si pongono drammaticamente, al tempo dell’Italia prima del coronavirus non risultavano vantaggiose per il sistema sanitario pubblico-privato. Bene fanno i medici, messi di fronte a questa emergenza, oltre che a dimostrare la qualità e le capacità dei professionisti della sanità pubblica, a denunciare assieme a tutto il personale sanitario questa situazione ma da questa emergenza si tratta di uscire con la consapevolezza che si deve ripristinare un vero Sistema Sanitario Pubblico che getti a mare la logica del profitto nella gestione della salute dei cittadini. Sarà questa, per tutti, una battaglia prioritaria da vincere.