Sono passati 45 giorni dal insediamento del Governo Conte bis, che abbiamo considerato il male minore a fronte del egemonia fascista di Salvini nel primo Governo Conte, ora proviamo a fare alcune considerazioni su il detto e il fatto che ha accompagnato questo passaggio delle consegne, sotto gli occhi vigili dell’Unione Europea.
La paura e il ricatto sono la chiave politica per interpretare lo stato dell’arte nella sfera istituzionale e paraistituzionale, una specie di tag, di marcatore che ci permette di decodificare le dichiarazioni, le esternazioni, le scelte, i passaggi convulsi che gli attori o meglio gli agenti della politica nostrana mettono in atto giorno dopo giorno, fase dopo fase.
Proviamo a risalire all’inizio del passaggio politico che ha dato origine all’attuale compagine governativa. Salvini ha bevuto troppo al Papeete, Salvini ha fatto i conti senza l’oste Mattarella, Salvini ha preso un colpo di sole, Salvini si è montato la testa; a lungo si potrebbe continuare a snocciolare i luoghi comuni che hanno infarcito titoli, editoriali e pensose riflessioni, ma, quasi, nessuno ha sottolineato il bluff giocato sul tavolo istituzionale dal pokerista Salvini.
Dopo aver imposto, ‘o con me o andiamo alle urne’, i decreti anti immigrazione e di ordine pubblico, stravinto sulle Grandi Opere, ridicolizzato il M5S, aveva promesso la flat tax, di non toccare l’IVA, sgravi fiscali alle imprese, nuovi investimenti, l’autonomia differenziale alle Regioni, meno Stato al Nord più Stato al Sud: tutto e il contrario di tutto, con in tasca un progressivo aumento del deficit pubblico che aveva già fatto inalberare Junker e Draghi, nel loro ruolo di tutor dell’Unione Europea. Tanto è bastato per silurare il maitre a penser della Lega e uomo ombra di Salvini, il Giorgetti quale Commissario europeo agli Affari economici, così che gli economisti di riferimento della Lega, Borghi e Bagnai, nei mesi di luglio e agosto dopo un semestre silenzioso, ricominciavano a sparare a palle incatenate contro i parametri di Maastricht, contro l’Euro, riprefigurando un possibile sganciamento dagli steccati economici e finanziari europei, alla luce, anche, di una diffusa percezione recessiva nell’economia globale, in particolare europea, denunciata dall’ex ministro Tremonti – pure lui leghista seppur anomalo – e certificata dall’agenzie di rating circa l’andamento economico intero di ciascun, in cui l’Italia porta la maglia nera. Ma la Confindustria nazionale e veneta in particolare, in tempi strettissimi, posta la stagione estiva, ha espresso in modo netto e compatto il proprio parere negativo, anzi contrario: necessitiamo di più Europa. Il mondo dell’economia reale si è scrollato di dosso il ricatto ed è andato a vedere il gioco. E Salvini ha avuto paura, ha capito che non ce l’avrebbe mai fatta, dentro il quadro politico esistente, ha avuto paura di affrontare la Finanziaria da gestore nei fatti del Governo, non potendo mantenere nessuna delle promesse sbandierate, in primis la flat tax, anzi perdendoci la faccia tra il suo elettorato e il reticolato dei rapporti produttivi nel Grande Nord. Il bluff del andiamo alle elezioni subito sarebbe stato, per lui e la Lega, la via d’uscita più conveniente da un cul de sac in cui si è infilato da solo.
Anche il Governo che poi si è aggrumato è frutto della paura delle compagini partitiche che lo hanno costituito, una paura giallo-rosè delle urne, di vedersi schiacciati nell’angolo per i prossimi anni, esclusi dal consesso d’elezione per il prossimo Presidente della Repubblica, paura di essere messi da parte in Europa, paura di un legame troppo sbilanciato e stringente col populismo russo. Un Governo nato nella paura, non può che reggersi sul sospetto reciproco, sul tenersi aperta sempre e comunque una via di fuga, nel tentativo di allargare il proprio margine di sicurezza e di manovra, nel obbiettivo di emergere in un contesto di governo dove il presidente del Consiglio dei Ministri, Conte, un signor nessuno, villipeso e snobbato nel precedente Governo, si vuole prendere il centro della scena e contare per il ruolo che gli è stato attribuito. Matteo Renzi dopo essersi posto, assieme a Beppe Grillo, quale sponsor di un Governo Conte bis, ha paura di scomparire dentro la scena pubblica del Paese, dentro i nuovi assetti del PD, così con un colpo di teatro presenta il suo, personale, gruppo politico, raccogliendo al momento solo amici e parenti, ma potendo affermare che senza di lui, del loro gruppo parlamentare, per il Governo la maggioranza è da scordarsi, adombrando il ricatto di una possibile crisi.
E Conte cresce nei sondaggi mentre di Maio scende e ha paura di perdere la leadership del M5S, quindi Conte, strizzando l’occhio a Zingaretti e al PD, fa la voce grossa nel Governo minacciando a Renzi e di Maio “o con me o le urne”, ventilando un’alleanza politica che vada oltre le elezioni regionali prossime venture, stuzzicando il giovane Gigino con l’ombra [il ricatto] di una possibile esposizione politica con un proprio assembramento che attirerebbe quell’area politica e sociale dei 5S che soffre il tentacolare controllo politico assunto dal barone rampante di Maio.
Un gioco di ricatti e minacce che al Conte bis è consentito fare fin tanto che si muoverà sotto l’ala protettrice dei vertici europei che anche in questi giorni hanno ribadito l’assenso all’impostazione degli intenti governativi presenti nel Documento di Programmazione Economica e Finanziaaria, così come è stata inviata a Bruxelles. Lo stesso concetto è stato ribadito dal ministro Gualtieri e dal governatore della Banca d’Italia Visco nella conferenza stampa che ha fatto seguito al vertice del FMI di questo fine settimana a New York: “ l’Italia si è allineata alle scelte economiche e fiscali europee e non rappresenta più un pericolo per la stabilità politica dell’Unione Europea”.
È, quindi, un Governo che si regge sui ricatti e sulla paura, generati dalle debolezze reciproche, dove, aldilà degli equilibri precari, a nessuno, in questa fase, è possibile rompere l’incanto senza rischiare di andarsi a schiantare e rimanere con le ossa rotte per degli anni se non per sempre.
Ma volendo andare oltre a questa misera fenomenologia politica, cosa ci rimane in tasca nel cambiamento di casacca degli assetti di governo? Pochissimo, quasi niente: le promesse di un cambio di impostazione sull’ordine pubblico e le migrazioni non hanno avuto alcun seguito, se non la soluzione rabberciata nel caso di salvataggi in mare; immobilismo in politica estera, basti vedere Libia, Siria-Rojava, Egitto; nulla sugli interventi ambientali; qualche euro in più per i contratti, per la scuola, per la fiscalità dei lavoratori dipendenti a basso reddito. Certo da un Governo nato, non quale ricaduta delle lotte sociali ma nei conciliaboli delle stanze oscure, nel segno della paura, dei ricatti, delle minacce, non c’è da aspettarsi altro, anche per questo lo sciopero del 25 ottobre dovrà servire per dare smossa a questa melassa in cui tutto rimane indifferenziato, per chiedere e ottenere un effettivo cambio di passo.