FUORI DAL TUNNEL DELLA CRISI?
Siamo entrati in autunno dopo 10 anni di crisi, un autunno che tutti noi vorremo ‘caldo’ e che indizioni di sciopero generale a raffica vorrebbero simulare: lavoreremo per produrre conflitto e lotte condivise con tutti i lavoratori, con tutte le fasce sociali, i soggetti falcidiati dalla Grande Crisi, ma siamo consapevoli che non sarà né facile né lineare, sia per le reali condizioni materiali in cui viviamo, sia per la situazione soggettiva in cui ci troviamo, tutti, ad operare.
Risale ad agosto 2007 l’inizio della Grande Crisi che ha massacrato lavoratori, famiglie, messo alle corde Stati e fatto saltare banche in tutto il mondo nei 10 anni successivi, col congelamento da parte di Bnp Paribas dei fondi legati ai subprime, cioè a mutui non coperti da beni o redditi presenti o futuri. Un primo passo che scoperchiò il vaso di Pandora della finanza internazionale con un effetto a catena che rimbalzò a lungo tra Europa e USA.
Una crisi di lungo periodo che è andata a ridefinire esplicitamente ruoli e funzioni degli attori internazionali e nazionali, in particolare della BCE, della Federal Reserve statunitense, della Banca Mondiale e del FMI: quando mai avevamo visto imputate a degli Stati Occidentali delle lettere di intenti come quelle recapitate a Italia, Spagna, Grecia, Cipro, Islanda; quando mai avevamo visto immettere – quantitative easing –enormi quantità di moneta per anni senza alcun ancoraggio all’economia reale, creando di fatto un Governo Extraistituzionale fondato sulla dittatura del credito e del debito, sulla paura sociale del default, del fallimento.
Una crisi che ha fatto dell’austerità il dogma del neoliberismo con tagli generalizzati a tutti i sistemi di welfare esistenti nei vari paesi, con un impoverimento degli strati più deboli della popolazione facendo, secondo i dati Oxfam, concentrare nelle mani dell’1% il 99% della ricchezza mondiale disponibile, spingendo, secondo l’ISTAT – non la Caritas -, quasi 5 milioni di italiani nella fascia di povertà assoluta, con un aumento, nei 10 anni di crisi, di ben 3.600.000 individui e portando a 8,5 milioni quella della povertà relativa.
Una polarizzazione sociale senza precedenti nell’epoca moderna, da medioevo di ritorno. Accompagnata da un distruzione pianificata e generalizzata dei diritti e delle garanzie nei luoghi di lavoro [jobs act e precarizzazione] e del reddito da lavoro [blocco contrattuale], con, di fatto, anche una destrutturazione della struttura del salario, dove la parte variabile non è più frutto di una contrattazione o di vertenzialità locali, aziendali o di settore ma deriva da bonus di vario tipo decisi esternamente, quali puro strumento di controllo politico, senza alcuna copertura previdenziale: anche la busta paga è stata precarizzata. Questo dentro un sistema produttivo fortemente penetrato dalla globalizzazione produttiva e rimodellato dalla quarta rivoluzione industriale, che, particolarmente, in Italia, sta strutturando l’assetto produttivo, in gran parte dei comparti, essenzialmente su un lavoro standardizzato di bassa qualificazione, con la permanenza di alcuni poli e distretti di nicchia a media o alta qualificazione. Un trend che se confermato porterà l’Italia a scivolare nella dinamica produttiva e sociale dei paesi denominati BRICS. La cosi detta fuga dei giovani cervelli italiani ne è la conferma sociale diretta.
Ora ci raccontano che stiamo uscendo dal tunnel della crisi, che il PIL è aumentato più delle previsioni, che anche i consumi crescono assieme all’occupazione, che l’export va a gonfie vele, specialmente in alcuni distretti, quelli a medio-alta tecnologia. Certo, è vero; ce lo confermano i nostri occhi dentro il comparto della logistica, che, come ormai tutti sanno, vi è lo snodo attraverso cui passano tutte le filiere produttive nell’epoca della globalizzazione. Ma altrettanto vero è che i consumi interni sono trascinati da quei 60 milioni di turisti che sono transitati in Italia in questi mesi, non da un aumento della propensione al consumo dei residenti: siamo, mediamente, di 2.500 € al sotto il reddito pro capite del 2007, quando in Europa quasi tutti hanno recuperato la capacità di acquisto pre crisi, se non l’hanno sopravanzata. Una situazione in miglioramento, dunque, ma basata sulle esportazioni e su un boom turistico [+6%] derivante da una, a noi favorevole, situazione geopolitica che ben conosciamo. La disoccupazione è diminuita in termini numerici di occupati, ma se si guardano le ore lavorative effettivamente svolte scopriamo che sono al livello del 2016, lontanissime da quelle erogate nel periodo pre crisi.
Dunque si allarga la platea dei lavoratori ma il loro lavoro è intermittente, precario, temporaneo e così pure il loro reddito. I lavoratori, le fasce sociali deboli sono lontanissimi dal intravvedere un miglioramento della loro situazione economica e reddituale anzi constatano una deriva costante di impoverimento, di scadimento delle condizioni di lavoro e dei diritti nel mondo dei lavori. A questa percezione sociale e a queste condizioni materiali reali si accompagnano le nubi nere di una nuova ondata di instabilità finanziaria ed economica legata alla bolla finanziaria cinese, che è sembrata implodere già in 2 occasioni negli ultimi 3-4 anni ma che ora sembra essere tenuta sotto controllo solo in virtù del fronteggiamento in corso per il controllo Nord Est del Pacifico tra Cina e Stati Uniti, dove le 2 Coree fungono da sparring partner dei reali contendenti.