Alla luce dell’indizione dello sciopero generale da parte di alcune OO.SS ,con una della quali (il Si Cobas) abbiamo anche un profondo vincolo solidale frutto di un ciclo formidabile di lotte nella logistica, al nostro interno si è aperto un dibattito che ci ha portato, da un lato a non aderire nell’immediato alla proposta di sciopero, per poter prima consultare la nostra rete di delegati ed alcune altre realtà sindacali di base che non avevano ancora aderito, attivando una discussione non scontata sul come rapportarci con una proposta che, se accettata acriticamente, rischia di ingenerare fraintendimenti tra i lavoratori che rappresentiamo.
Partiamo dal concetto di “sciopero generale”. Non dobbiamo nasconderci il fatto che lo sciopero generale nella sua storia e tradizione è un evento del tutto straordinario che dovrebbe produrre di fatto il blocco dell’intero paese in tutti i settori del lavoro privato, del pubblico impiego e dei servizi. Nel secolo scorso, lo sciopero generale alcune volte ha sfiorato dinamiche di sollevazione insurrezionale, a fronte di gravissimi fatti verificatisi a danno dei lavoratori. Diciamo questo perché pensiamo che, per far crescere i movimenti di lotta sia necessario costruire percorsi reali ai quali corrisponda anche una terminologia rapportata al livello del conflitto in essere. Purtroppo, specie da parte di alcune sigle del “sindacalismo di base” vi è stato un uso improprio del concetto stesso di “sciopero generale” che si è tradotto quasi sempre in mera testimonianza, rimanendo ben lontano dalla sua originaria natura. Per quanto ci riguarda, pur avendo partecipato a volte anche noi a queste giornate, abbiamo sempre cercato di trasformarle in momenti di scioperi veri, almeno in alcuni settori, legandoli a problematiche specifiche o territoriali, cercando di ricomporre problematiche e settori di classe diversi. Altra cosa sono stati gli scioperi nazionali che sono stati indetti nel settore del trasporto merci logistica in occasione di obiettivi e rivendicazioni che intrecciavano la richiesta di miglioramenti sul piano di accordi nazionali di filiera con problematiche di tipo più generale. Pensiamo che l’esempio dell’ultimo sciopero nazionale del 16 giugno del trasporto privato e pubblico sia un esempio importante di uno sciopero vero che ha posto al governo il problema che esistono in questo paese nuovi rapporti di forza, almeno in questo settore, che possono incidere sulle scelte politiche padronali e governative. Tant’è che vi è stata una significativa levata di scudi a partire dai livelli governativi volta a peggiorare ulteriormente la normativa sul diritto di sciopero, già abbondantemente limitativa sui servizi essenziali, per allargarsi anche a settori che non rientrano nella legge 146.
Il problema che ci poniamo tutti i giorni è se le iniziative di lotta che si vanno a proporre servono realmente ad ottenere nuove conquiste e a far crescere i percorsi di organizzazione indipendente dei lavoratori e degli strati sociali disponibili alla lotta su tutta un’altra serie di problematiche che si intersecano con il rapporto capitale/lavoro. E su questo punto, quando vengono proposte delle scadenze di carattere generale, che non sono il frutto della maturazione oggettiva di contraddizioni esplosive, ma di forzature soggettive, c’è il rischio ovviamente che tali forzature si traducano in momenti di autorappresentazione e autoreferenzialità, senza riuscire ad incidere minimamente sui rapporti di forza a livello generale. Chiaro infatti che lo sciopero generale dovrebbe, quanto meno, porsi il problema di spostare equilibri, appunto, a livello generale, – la qual cosa con quel tipo di scioperi è stata solamente evocata – mentre è vero che determinate modalità di scioperi in determinati settori hanno portato a spostamenti importanti dei rapporti di forza. Si tratta allora di assumere complessivamente una metodologia sul piano dell’agire sindacale, alla luce delle profonde modificazioni del mercato del lavoro e della composizione di classe, che punti in termini reali alla conquista di condizioni migliorative sul posto di lavoro, a combattere le burocrazie sindacali della triplice, al rafforzamento dei percorsi di autoorganizzazione e alla definizione di processi ricompositivi sul piano territoriale in relazione ad altri soggetti sociali che agiscono su terreni che determinano la qualità della vita. In particolare ci riferiamo alle questioni ambientali, a quella delle migrazioni, a quella del diritto all’abitare e della violenza di genere. Questi sono i temi principali sui quali va ricercato l’intreccio virtuoso all’interno di proposte di iniziative che assumano il carattere della generalità. In questo senso allora pensiamo che va bene cercare di costruire giornate a livello nazionale di mobilitazione, lotta e scioperi che siano in grado di determinare nuovi accumuli di forza all’interno dei territori. La proposta dello “sciopero generale” la vediamo come una proposta che, più che essere quello che dovrebbe essere, ma che non è (paralisi dell’intero paese), dovrebbe offrire opportunità di intrecciare vertenze specifiche anche di carattere ampio e nazionale, con scioperi di vari gradi ed intensità – ad esempio quelle che sono attualmente in piedi per il trasporto pubblico e per logistica/trasporto merci – con problematiche territoriali che consentano una sana contaminazione tra soggetti che agiscono su terreni diversi ma che sentono la necessità di tentare una ricomposizione all’interno del territorio. Pensiamo solo alla problematica legata ai flussi migratori e a tutte le implicazioni che si producono nel rapporto con esso, sia per quanto riguarda le pericolose derive razziste e xenofobe contro l’arrivo dei profughi, sia per tutto quello che concerne l’uso sempre più massiccio di nuove forme di schiavitù di una forza-lavoro privata di ogni diritto. Quello che succede nelle campagne del sud lo testimonia, ma anche al nord il fenomeno è in forte espansione e si intreccia ovviamente con la cancellazione di alcuni diritti (vedi jobs act) che ha prodotto un considerevole arretramento delle tutele e dunque una maggiore difficoltà a resistere ai processi restaurativi di forme di comando pre -“Statuto dei diritti dei lavoratori” . Pensiamo al vergognoso dibattito che si è prodotto sulla proposta già molto pallida sullo Ius Soli o la criminale campagna messa in atto contro le ONG che operano in mare per salvare vite umane. Ebbene, non dobbiamo nasconderci che, in assenza di politiche in grado di salvaguardare tutti i soggetti deboli, l’onda razzista e xenofoba investe in pieno anche una certa parte di lavoratrici e lavoratori che si trovano a subire gli effetti dell’utilizzo di queste vere e proprie armi di “distrazione di massa”. E’ quindi di fondamentale importanza, proprio per evitare che si producano “guerre tra poveri”, riuscire ad intervenire su questi terreni anche su un piano che è prettamente culturale, di conoscenza dei fenomeni per quello che sono e per le cause che li hanno ingenerati. Così come non è semplice riuscire a coniugare le battaglie sul terreno ambientale con quelle contro il razzismo. Non è infatti raro assistere a manifestazioni di cittadini che si mobilitano sia per salvaguardare un territorio dalla speculazione edilizia, sia per impedire l’arrivo di qualche profugo. Quello dell’ambiente è un altro tema fondamentale che non può mancare dall’agenda di iniziative che si vogliano attestare su un piano di una lotta più generale per un miglioramento complessivo delle condizioni di vita. E non è più , quello ambientale, uno dei tanti punti da affrontare, ma ha assunto oggettivamente una rilevanza fondamentale, sia in termini di prevenzione dai danni provocati da fenomeni naturali (vedi terremoti, alluvioni incendi, siccità, ecc) sia come necessità di intervenire contro le produzioni di morte e l’inquinamento di aria e acque, che sono frutto direttamente del modo di produzione capitalistico, che sta minando pesantemente la salute delle persone. Tutto questo non può essere assente da mobilitazioni che si pongono obiettivi di trasformazione della società in termini generali.
A fronte di queste considerazioni ed all’interno di questo contesto, pensiamo sia importante e necessario lottare contro le leggi schifose che esistono sul terreno della rappresentanza e che limitano ulteriormente il diritto di indire lo sciopero, ma siamo anche convinti che il rapporto con la legislazione esistente non possa che essere di tipo strumentale e tattico, avendo sempre come bussola di orientamento la necessità continua di stravolgere le regole del gioco, agendo volta per volta sui reali rapporti di forza, in funzione di rafforzare il percorso della soggettivazione e dello sviluppo dei conflitti. Per quanto ci riguarda, da un lato, abbiamo stravolto la normativa esistente imponendo in buona parte del settore della logistica forme di rappresentanza e di diritti sindacali del tutto inesigibili sul piano formale, dall’altra in alcuni comparti del pubblico impiego, del privato e dei servizi pubblici, abbiamo ritenuto opportuno accettare la normativa esistente per partecipare alle elezioni delle RSU, in quanto riteniamo che in determinati contesti l’essere assenti dalle RSU rende molto complicato e difficile l’agire sindacale. Tutto questo avendo sempre in mente che quelle leggi vanno combattute. Per questo riteniamo, senza vivere alcuna contraddizione, che è giusto e doveroso lottare per rigettare l’accordo del 10 gennaio del 2014. .
In virtù di queste considerazioni, riteniamo che la piattaforma di convocazione dello “sciopero generale” vada arricchita situazione per situazione di contenuti che meglio si adattano a quel territorio.
In base a questi presupposti, pur consapevoli delle profonde divisioni che esistono anche all’interno del cosiddetto “sindacalismo di base e/o conflittuale”, (conflittuale, a volte, tra le stesse organizzazioni), pur condividendo i punti della piattaforma di indizione dello sciopero, con le necessarie integrazioni che abbiamo indicato, pensiamo che da un lato sarebbe necessario, vista la presa di posizione di USB, puntare ad una unica giornata di mobilitazione, accettando anche di spostarla nei termini indicati dal comunicato del Si Cobas, dall’altro pensiamo che la proclamazione dello “sciopero generale” vada vista soprattutto come una opportunità di costruire momenti veri di confronto ampio all’interno dei territori per trasformare quella giornata in forme di “sciopero sociale” che puntino a coinvolgere realtà soggettive che si muovono anche su quei terreni che abbiamo indicato. Quindi, opportunità di costruire scioperi veri e, allo stesso tempo, laddove ciò non sia possibile, mettere in atto altre forme di mobilitazione incentrate su problematiche e obiettivi di valenza generale e territoriale, dal problema migranti/profughi, a quello del diritto all’abitare a quello della salvaguardia dell’ambiente e della salute. Con questo spirito daremo il nostro contributo all’assemblea del 23 settembre, da cui speriamo possa uscire una data unica.
PER VALUTARE E DECIDERE SUL COME COSTRUIRE LA GIORNATA DI MOBILITAZIONE SCIOPERO E LOTTA RINVIAMO ALLA ASSEMBLEA GENERALE DEI DELEGATI DI ADL COBAS CONVOCATA PER IL 22 SETTEMBRE A PADOVA.