Nell’ambito del progetto “Verso interessi comuni tra lavoratori migranti e locali” co-finanziato dal programma “Europa per i cittadini”, sono stati studiati in differenti paesi europei diversi settori del mercato del lavoro. Il caso italiano delle pulizie industriali è stato confrontato con gli hotel all-inclusive in Bulgaria, le catene multinazionali di supermercati in Repubblica Ceca, il lavoro temporaneo in Polonia e i servizi domestici in Spagna. In questi settori i lavoratori e le lavoratrici migranti, insieme ad altre categorie come donne e studenti nativi, occupano le posizioni peggiori in termini di salario e precarietà. Tuttavia, nonostante le cattive condizioni lavorative e le politiche che fomentano la competizione tra lavoratori nativi e migranti, si possono intravedere spazi per la nascita e lo sviluppo di lotte comuni e forme di solidarietà. I due casi più significativi sono stati quello italiano e quello spagnolo, dove, in entrambi i casi, sono le donne ad essere protagoniste.
In Italia, il settore professionale dei servizi di pulizia è caratterizzato da una continua crescita, sia in termini di occupazione che di fatturato. Il comparto impiega circa mezzo milioni di persone, in prevalenza donne (70%), con più di 40 anni (70%), sia native che migranti (30%), che lavorano spesso part time, con bassi salari, in mansioni poco qualificate, ripetitive, faticose, esposte a rischi di varia natura, connessi alle condizioni stesse di lavoro (dall’esposizione a prodotti chimici, rumori e vibrazioni, ai rischi posturali ed ergonomici delle attività).
Grazie alla collaborazione con ADL-Cobas, l’Unità di ricerca dell’Università di Padova ha potuto intervistare alcune lavoratrici impiegate in aziende che hanno vinto appalti pubblici per la pulizia di ospedali, università, uffici. Attraverso i loro racconti è possibile non solo ricostruire i cambiamenti delle condizioni di lavoro nel settore negli ultimi trent’anni, ma anche ricostruire molte delle trasformazioni che la globalizzazione ha imposto al mercato del lavoro. Le loro storie permettono di analizzare l’impatto di politiche di “spending review”, dei progetti in Project financing, dell’esternalizzazione dei servizi in ottica di riduzione dei costi.
Negli ultimi decenni quasi tutti gli enti e le imprese, sia pubblici che privati, hanno esternalizzato i servizi di pulizia, con un sistema di appalti in cui i committenti chiedono soluzioni che siano “il più possibile economiche” e scelgono le aziende che propongono l’appalto meno oneroso. Considerando che circa l’80% dei costi degli appalti sono costi di lavoro, è evidente come la competitività e il guadagno si facciano sulla riduzione dei costi del lavoro, vale a dire sulla pelle delle lavoratrici e dei lavoratori. Ridurre i costi significa ridurre il numero dello staff (e quindi aumentare l’intensità del lavoro, in termini di mansioni/ore/turni) e conseguentemente deteriorare gli standard delle condizioni di salute e sicurezza.
I committenti chiedono alle aziende flessibilità, capacità di rispondere velocemente alla domanda, che le mansioni possano variare in base alla richiesta. Sono però le lavoratrici a dover soddisfare concretamente queste richieste, senza poter negoziare direttamente con i committenti le condizioni di lavoro. Si trovano ad essere sotto la pressione incrociata di datori di lavoro e committenti, e spesso quando nuovi contratti sono negoziati, perché un’altra ditta vince l’appalto, scoprono senza preavviso di essere sottoposte/i a nuove condizioni di lavoro.
L’organizzazione delle lotte nel comparto delle pulizie non è particolarmente facile: le lavoratrici hanno orari diversi, spesso sono isolate anche fisicamente, impiegate in aziende di piccole o medie dimensioni. Tuttavia, nel corso degli ultimi decenni, e in particolare negli anni 1990 e primi 2000, a livello locale, si sono registrate molte mobilitazioni, in particolare per quanto riguarda gli ambienti dei servizi sanitari. La mobilitazione degli anni 1990 ha portato, ad esempio, alla possibilità di mantenere il posto di lavoro nonostante le pulizie fossero appaltate ad un’altra ditta rispetto a quella in cui si era state assunte. Tuttavia, con l’ingresso di multinazionali dei servizi nel mercato del lavoro, e soprattutto con le limitazioni al diritto di sciopero imposte alle lavoratrici e ai lavoratori impiegati nel sistema sanitario, in quanto servizio essenziale, la forza delle lotte è andata indebolendosi.
Attualmente, le lotte sembrano orientate prevalentemente al raggiungimento e al mantenimento di monti-ore adeguati per ogni lavoratrice: un aspetto fondamentale visto che quasi tutti i contratti sono “part time”. Si tratta di mobilitazioni interessanti per alcuni aspetti: in primis, le pratiche di resistenza paiono ignorare le divisioni tra native/i e migranti; inoltre, pare particolarmente rilevante la presenza di lavoratrici che hanno partecipato alle lotte degli anni 1990, che hanno esperienza di come attuare pratiche di resistenza e anche che hanno memoria di vittorie nella contrattazione con datori di lavoro e committenti.
Il caso spagnolo relativo alle lavoratrici domestiche può dare alcune indicazioni utili per pensare a nuove alleanze e forme di mobilitazione in grado sostenere e dare forza alle lotte delle lavoratrici del comparto delle pulizie (e non solo). Come in Italia, in Spagna si è assistito negli ultimi decenni a un’elevata crescita dell’occupazione nel campo dei servizi domestici caratterizzata in prevalenza da forza lavoro migrante. Tuttavia, a differenza dell’Italia, esistono diverse organizzazioni di base (collettivi politici, associazioni) formate dalle lavoratrici per difendere i propri diritti e migliorare le proprie condizioni di lavoro. In occasione dello sciopero generale femminista dell’8 marzo 2018, queste organizzazioni si sono alleate con le altre componenti del movimento femminista spagnolo e hanno svolto un ruolo cruciale nella mobilitazione che ha visto centinaia di migliaia di donne scendere in piazza in tutto il paese.
L’esperienza spagnola mostra la possibilità di costruire alleanze non solo tra lavoratrici native e migranti di diversi comparti, ma anche tra occupate, disoccupate, pensionate e studentesse, in quanto accomunate dalla volontà comune di lottare contro le diseguaglianze di genere. Il lavoro domestico così come le pulizie commerciali sono un terreno fertile attraverso cui dare visibilità alla centralità del lavoro di riproduzione delle donne.
Vale la pena di esplicitare come tutti dovremmo sostenere le lotte delle lavoratrici del settore delle pulizie per migliori condizioni di lavoro, poiché beneficeremmo quotidianamente degli effetti di questa lotta: poter lavorare in condizioni degne, in un buon ambiente, per un salario equo, permetterebbe a queste lavoratrici di svolgere al meglio le proprie mansioni e a tutte e tutti fruire di spazi puliti e sicuri, quando lavoriamo, quando studiamo, se dobbiamo curarci o sbrigare delle pratiche, quando consumiamo o quando ci divertiamo.
Sono stati realizzati dei podcast (in lingua inglese) che raccontano le diverse situazioni nazionali, disponibili a questo link https://podcasts.ceu.edu/series/europe-working
Angela Maria Toffanin e Francesca Alice Vianello, Università di Padova