Con il DDL PMI, il governo pensa di poter eliminare lo sfruttamento nel settore
moda italiano semplicemente inserendo una nuova certificazione estesa a tutta
la filiera. Ma lo sfruttamento è strutturale e l’ennesima certificazione rischia di
essere controproducente perché opera come un velo dietro al quale si possono
continuare a nascondere ogni tipo di violazione e illegalità.
Nota positiva del DDL in discussione è il miglioramento dei contenuti dei
contratti di subfornitura, che però diventa un cambiamento cosmetico se non vi
corrispondono modifiche di sostanza. La certificazione unica non cambia nulla
di quanto accade oggi nelle fabbriche: non viene previsto alcun controllo reale e
non viene chiesto alle imprese alcun miglioramento concreto e dimostrabile.
L’unico obbligo consiste nel fornire garanzie a livello documentale, che i fornitori
già producono, senza intervenire sulle cause che ne ostacolano il rispetto,
unitamente alla previsione di maggiori ispezioni pubbliche.
Sostanzialmente la certificazione unica di conformità permetterà di operare
come sempre, continuando a violare le norme con l’avallo delle istituzioni.
Ma ciò che è ancora più grave è lo scudo alla responsabilità penale per
caporalato previsto in modo esplicito nel testo licenziato al Senato. Questa
previsione arriva dopo che diverse indagini della Procura di Milano hanno
rivelato lo schema ricorrente di cui si avvale il settore del lusso:
consapevolezza dello sfruttamento e agevolazione colposa del caporalato
nella subfornitura da parte delle capofila. Una norma che a parole tutela il
made in Italy, nei fatti protegge un sistema basato sullo sfruttamento dei
lavoratori in condizione di maggiore vulnerabilità. Questa norma consegna alle
imprese capofila una licenza a sfruttare e porta nell’oscurità anni di lotte e
istanze sindacali che hanno fatto luce sulle condizioni spesso inaccettabili con
cui si produce il lusso in Italia.
Contestiamo questa scelta scellerata e, come organizzazioni sindacali e della
società civile che lavorano per la tutela dei diritti umani e una moda
realmente sostenibile, ci opponiamo con forza a questa norma.
Ciò di cui il settore moda in Italia ha bisogno sono serie politiche industriali e
del lavoro per rilanciare un tessuto produttivo sano, basato su innovazione,
transizione ecologica, pieno godimento dei diritti nelle fabbriche e lavoro
dignitoso.
Primi firmatari
ADL Cobas
AltraQualità
ASGI Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione
Centro Nuovo Modello di Sviluppo
Campagna Abiti Puliti
Equo Garantito – Assemblea Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale
FAIR
Fashion Revolution Italia
Filctem CGIL
FOCSIV – Federazione degli organismi di volontariato internazionale di ispirazione
cristiana
Fondazione Finanza Etica
Human Rights International Corner
Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie
Mani Tese ETS
Movimento Consumatori APS
OEW – Organizzazione per Un mondo solidale ODV
Oxfam Italia
Sindacato Intercategoriale COBAS
SUDD Cobas Sindacato Unione Democrazia Dignità Cobas
The Good Lobby Italia
Tramaplaza
Transparency International Italia
UILTEC Nazionale (Unione Italiana Lavoratori Tessile Energia Chimica)


Per aderire: priscilla.robledo@faircoop.it



