Finalmente, tra mille sproloqui sulla validità dei vaccini anti covid, sulla logistica, sulle ‘margherite’ di Arcuri, sul nuovo ‘gabinetto militare’ di Draghi, sulla possibilità di produrli localmente, si fa strada anche nella stampa ufficiale il dibattito sul ‘diritto di proprietà’ dei vaccini attualmente in produzione. Va sgombrato il campo dall’opacità della produzione ad opera delle aziende farmaceutiche nazionali: nel caso si tratterebbe solo ed esclusivamente di adempiere ad un passo della filiera produttiva, quello finale relegato all’infialamento o al confezionamento, che ben poco incidono sulla quantità/qualità disponibile del vaccino stesso. Il problema è e sarà quello della ‘composizione’ del vaccino, della sua proprietà intellettuale, del brevetto, per poterlo produrre fattivamente e renderlo disponibile nelle quantità ritenute necessarie e opportune.
Questo è il nodo, questo è il ‘core business’ delle Big Pharma: un pugno di aziende tiene per i polmoni l’Umanità. Mentre le stesse aziende hanno avuto enormi finanziamenti per la ricerca dagli Stati, ora si fanno pagare lautamente da quegli stessi Stati, lesinando le dosi in funzione dell’ottimizzazione dei profitti presenti e futuri, favorendo l’aggiotaggio come nel caso di UK, Australia, USA, o il mercato nero e parallelo come nel caso del tentato approvvigionamento ad opera delle Regioni, ora silenziato.
In tutto questo c’è una commistione politica tra Big Pharma e Stati, che è radicata nel modello economico, produttivo e sociale, ce lo esplicita Gino Strada, con quella radicale franchezza che lo contraddistingue, quando ci fa presente che la piccola Cuba ha prodotto in proprio un vaccino anti Covid, che lì è in fase avanzata la profilassi dell’intera popolazione, che il suo vaccino sarà donato ai Paesi amici e bisognosi. Mentre qui la grande stampa si alambicca sullo Sputnik o su quelli prodotti dalle Big Pharma cinesi, di cui la ‘comunità cinese’ presente in Europa già ha fatto uso abbondante e commercio sotterraneo. Non solo la vulgata dell’informazione dominante è distorta, fuorviante e miope, ma anche il mondo del potente associativismo sociale cattolico rappresentato da Oxfam o Caritas non è entrato nel merito della questione, nonostante il chiaro invito del papa Francesco dalle finestre di S.Pietro. Nessun partito politico, nessuna Istituzione, solo un pugno di associazioni, con in testa Medicina Democratica si sta facendo promotore di una ‘campagna di pubblica utilità’ con una raccolta di firme on line e con una serie di conferenze e mobilitazioni che dovrebbero avere il loro sviluppo da qui al 7 aprile, con lo scopo di portare la discussione dentro le Istituzioni, dentro il Parlamento Europeo. Sarà una battaglia di civiltà difficile – servono un milione di foirme a livello europeo – ma sicuramente di grande valore e impatto non solo etico ma anche sulla ‘legittimità’ di uno dei capisaldi economico-sociali del capitalismo.
Purtroppo siamo molto lontani dal pensiero e dall’azione soggettiva di un Jonas Salk o di un Albert Sabin, entrambi padri del vaccino antipolio, entrambi ebrei europei in fuga dal nazismo negli USA, che rinunciarono a brevettarli, scontrandosi coi poteri forti della ricerca universitaria e della produzione, per renderli fruibili al mondo intero.
Siamo distanti anni luce da Nelson Mandela e del suo Medicines act, quando negli anni Novanta in cui l’epidemia di Aids uccideva soprattutto chi era povero, in specie in Africa ma anche nelle metropoli. Per farsi un’idea, nel 2000, dopo quattro anni dalla scoperta della cosiddetta tri-terapia contro l’Aids, il numero dei decessi negli Stati Uniti era dimezzato (da 19 a 10mila vittime/anno nel 2000), mentre in Africa, dove viveva il 70% delle persone sieropositive, era quasi raddoppiato (da 1.5 a 2.4 milioni di persone). Nel 1997, l’allora presidente del Sud Africa Nelson Mandela prese di petto il problema, approvando una legge che, per ragioni di salute pubblica e periodi limitati di tempo, permettesse al suo Paese di produrre farmaci generici senza pagare i brevetti.
Subito un cartello di 39 multinazionali bloccò l’attuazione del Medecines act, sostenendo che violava i diritti sui brevetti dell’Organizzazione mondiale del commercio. Ma il 19 aprile 1998, a seguito di una mobilitazione globale di tutto il mondo civile, della pressione dei Paesi africani e, anche, dell’Unione europea, le multinazionali ritirarono le accuse. Fu il primo storico successo contro gli interessi commerciali nel campo della salute, il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan creò così il Fondo globale per la lotta all’Aids, la tubercolosi e la malaria. Annan chiese 8 miliardi di dollari, alla fine ne ottenne 1,7. Il 13 novembre 2001, la battaglia per l’accesso ai farmaci approdò infine a Doha, sede del summit sul Wto. E incassò un’altra grande vittoria: i Paesi membri dichiararono che “niente, negli accordi del WTO sulla proprietà intellettuale, può impedire ai Paesi membri di prendere misure che garantiscano la salute pubblica”. Quindi anche di produrre farmaci generici ignorando i brevetti che li proteggono o di importarli da Paesi poveri che li vendono a prezzi più bassi di quelli imposti dalle multinazionali farmaceutiche.
La raccolta firme non ci ha mai entusiasmato ma di questi tempi crediamo sia un utile passaggio da valorizzare una campagna pubblica contro i brevetti, il brevetto sui farmaci anti covid delle Big Pharma, consapevoli che serve solo per aprire un percorso complesso e difficile in cui il protagonismo collettivo fa la differenza.
QUI è’ possibile firmare la petizione al link: www.noprofitonpandemic.eu/it