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ADL Cobas > Blog > Sociale > Diritto alla Casa > Padova: contro la speculazione edilizia costruiamo nuovi modi di abitare
Diritto alla Casa

Padova: contro la speculazione edilizia costruiamo nuovi modi di abitare

adlcobas
di adlcobas Pubblicato 12 Dicembre 2023 173 Visualizzazioni 11 minuti di lettura
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11 minuti di lettura
Sindacato di Base ADL Cobas - Padova: contro la speculazione edilizia costruiamo nuovi modi di abitare
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Oggi martedì 12 dicembre, ad un anno e poco più dallo sgombero delle case di via Melette a Padova, assieme Pedro Centro Sociale Occupato e ASD Quadrato Meticcio Football siamo andati a vedere e testimoniare qual è la situazione abitativa nel quartiere Palestro, tra case pubbliche abbandonate al loro destino, inquilini vessati da spese altissime e nessun servizio, lavori di ristrutturazione in ritardo e una generale emergenza abitativa diffusa in tutta la città che non trova risposte nelle istituzioni.
Tanto è stato detto sulla crisi abitativa a Padova negli ultimi due anni, pochissimo è stato fatto.

Qui sotto il documento dell’iniziativa e i video della passaggiata informativa

Contro la speculazione edilizia costruiamo nuovi modi di abitare

Più di un’anno fa finiva l’esperienza delle occupazioni di via delle Melette 3a. Alle 8 di mattina un imponente schieramento di forze dell’ordine bloccava gli accessi della strada, mentre altri agenti di polizia buttavano giù le porte dei quattro appartamenti occupati, ferendo una delle ragazze all’interno. Nel frattempo all’esterno la polizia caricava più volte il presidio di solidarietà che si era creato. I nostri vicini, 4 nuclei di anziani con vari problemi di salute, terrorizzati dal dispiegamento di polizia, si sono barricati in casa, non prima di aver insultato chi stava cacciando le persone che per più di 5 anni aveva portato loro conforto e assistenza.

-ISEE-
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Già, perché quei 4 appartamenti facevano parte di una palazzina Ater, ente che dovrebbe gestire le case popolari, quasi completamente vuota (4 appartamenti sfitti su 8) e corso degli anni, lo stato di incuria dello stabile, la mancanza di manutenzione e l’assenza di qualsiasi sostegno sociale, aveva relegato gli anziani residenti in uno stato di solitudine e isolamento, rotto solo dalle continue richieste di pagamento da parte di Ater di salate spese  condominiali a fronte di interventi inesistenti.

Così è stato fino a quando un gruppo di giovani non ha maturato la decisione di occupare gli appartamenti sfitti, adoperandosi fin da subito per riqualificare l’intero stabile, ormai quasi privo dei requisiti di abitabilità, a cominciare dal giardino, che al tempo era ridotto ad una vera e propria foresta, pulire e ritinteggiare le scale, smaltire i rifiuti ingombranti che si erano accumulati, sistemare perdite d’acqua e togliere muffa negli appartamenti, tutte cose che gli inquilini anziani non avrebbero potuto fare da soli. Tutte cose che negli anni avrebbe dovuto fare Ater.

La decina di occupanti erano per lo piú giovani precariə e studentə che non avevano la possibilità economica di sostenere un affitto e alcuni rifugiati usciti dai percorsi di accoglienza. La necessità di un tetto sopra la testa è un diritto fondamentale e troppo spesso chi occupa viene descritto come un criminale, ma criminale è chi lascia vuote le case e chi alimenta la speculazione immobiliare. Gli anni di occupazione sono stati convissuti insieme, facendo la recupera degli sprechi agroalimentari veniva offerto un sostegno alle persone povere del quartiere, troppo spesso lasciate sole, si cucinava per tuttə mettendo in condivisione materie prime e risorse, creando momenti di socialità e ascolto, assumendo di fatto un’altro modo di vivere la propria casa, aprendo le porte a chi ne avesse bisogno. Ora a distanza di un’anno, mentre quelle pratiche virtuose sono state cancellate con un atto di forza, le case sgomberate sono tornate ad essere chiuse, abbandonate e lasciate al degrado.

Lo sgombero di via delle Melette tanto violento quanto ingiustificato, va inquadrato nel contesto di radicale trasformazione che nell’ultimo anno e mezzo ha interessato il patrimonio di edilizia pubblica e la composizione numerica degli inquilini ATER residenti nel Rione Palestro, con piani di svuotamento per riqualificazione di ben 13 palazzine e il trasferimento forzato di centinaia di persone. Il complesso più grande, composto da 10 palazzine (64 appartamenti), situato tra via Palestro, via Toselli e via Magenta è stato completamente svuotato ad Agosto 2022 e a tutt’oggi si trova in stato di abbandono. Il mancato avvio del cantiere è giustificato da ATER, con la presenza di amianto nelle canne fumarie degli stabili e con gli elevati costi non preventivati di cui dovrebbe farsi carico per la bonifica e il suo smaltimento. Eppure i fondi per il piano di riqualificazione ed efficientamento energetico del complesso sono stati stanziati da tempo (7,3 milioni di euro di cui 5,7 da fondi governativi e 1,6 milioni da fondi propri della stessa ATER). A questo si aggiungono le 2 palazzine di via Lago Ascianghi (32 appartamenti) svuotate a Marzo 2022, di fronte alle quali è stata posta una rete per segnalare la presenza di un cantiere, che però non è mai partito e rispetto al quale ATER non ha ancora ufficialmente chiarito quale saranno le tempistiche, né i dettagli del piano di ristrutturazione. Se negli ultimi mesi abbiamo assistito all’avvio del cantiere nella palazzina di via Amba Aradam (16 appartamenti svuotati a Maggio 2023) e alla ristrutturazione di una decina di alloggi all’interno del Quadrato “Caduti della Resistenza” che a breve dovrebbero essere riassegnati, per contro permangono ancora 21 alloggi sfitti da anni nel complesso tra via Varese e via Monte Cengio, rispetto ai quali non ci sono comunicazioni ufficiali, se non che la loro ristrutturazione è bloccata per mancanza di fondi dedicati. Alla luce di questi dati, emerge un quadro che evidenzia la presenza di oltre 100 appartamenti di edilizia residenziale pubblica ancora vuoti ed in attesa di essere ristrutturati. 

Questa operazione di svuotamento simultaneo ha prodotto forti ricadute sul nostro tessuto sociale in cui si riscontrano una riduzione delle persone che vi circolano, una riduzione delle iscrizioni negli istituti scolastici e una riduzione degli introiti per gli esercizi commerciali di prossimità,  determinando anche un abbassamento degli standard della qualità della vita all’interno del Rione. 

La situazione particolare del Rione Palestro, non è casuale ma è frutto del generalizzato disinvestimento e della privatizzazione dell’edilizia residenziale pubblica, avviato negli anni ‘90, che ha trasformato le varie ATER locali in veri e propri bancomat al servizio delle Regioni, prova ne siano le continue vendite all’asta di centinaia di alloggi pubblici. A questo processo di dismissione del pubblico si affianca in maniera complementare la domanda di case come forma di investimento privato, talmente diffusa e forte, da superare l’offerta disponibile sul mercato immobiliare e da determinare come logica conseguenza l’aumento dei prezzi sia degli affitti che delle compravendite. 

La trasformazione della casa da diritto a merce su cui investire e ricavare rendite, ha prodotto non solo la scarsità di affitti sostenibili, ma anche la crescita non regolamentata degli affitti brevi e con essa un abitare sempre più temporaneo. Una temporaneità  sempre più a breve termine: dagli studenti fuori sede alle molteplici forme del turismo di massa che rischiano di rendere le città e i loro quartieri, degli anonimi luoghi di passaggio, in cui per i cittadini residenti i costi della vita aumentano, i servizi  diventano più carenti generando una crisi territoriale che è insieme sociale, abitativa e culturale. I più penalizzati da questo meccanismo escludente sono i giovan* precar*, per i quali l’assenza di una casa rappresenta il principale ostacolo alla propria mobilità ed indipendenza, ma funziona allo stesso modo anche per le donne ed i migranti, che nella maggior parte dei casi  scontano il gap salariale rispetto ai corrispettivi uomini/autoctoni nel poter saldare affitti dai costi insostenibili e allo stesso tempo sono soggette a forme di discriminazione di genere o subiscono forme di razzismo che precludono loro la possibilità di stipulare un contratto di locazione.

Di fronte a uno scenario fatto di migliaia di persone che faticano a trovare un alloggio e altrettante a rischio di sfratto, in molti a parole si interrogano su come affrontare l’emergenza abitativa, ma nei fatti, se il 40% dei fondi del PNRR risultano genericamente destinati a “nuove costruzioni” evidentemente a favore di soggetti privati operanti nel mercato immobiliare, il governo Meloni ha scelto di non rifinanziare le uniche due misure concrete introdotte per contenere la suddetta emergenza, ovvero il contributo all’affitto per le locazioni sul libero mercato e il fondo morosità incolpevole mirato a sanare le situazioni di morosità. 

Per cambiare rotta sul serio, occorrono fondi per un effettivo rilancio dell’edilizia pubblica e politiche pubbliche mirate a promuovere la residenzialità, attraverso una rigorosa regolamentazione degli affitti a breve termine. Ancor di più, serve la costruzione di movimenti dal basso in grado di rivendicare la casa come diritto universale e valore d’uso e non di mero scambio commerciale, attraverso progetti di riappropriazione collettiva, autorecupero e rigenerazione dell’immenso patrimonio immobiliare pubblico che nel nostro paese conta migliaia di stabili e strutture abbandonate.

Per condividere questa situazione con tutta la cittadinanza e per amplificare la denuncia della vergognosa situazione in cui versa il patrimonio di edilizia pubblica, amministrato da Ater, invitiamo giornalisti, cittadini e solidali ad una conferenza stampa alle ore 11.00 di martedì 12 dicembre presso piazzetta Caduti della Resistenza. 

Intervento di mattia boscaro dell’asd quadrato meticcio
intervento di francesco sartori del cso pedro
intervento di riccardo ferrara di adl cobas
intervento di lisa giacon ex occupante case ater via delle melette
Argomenti:case popolaridiritto all'abitarediritto alla casaoccupazioni abitative
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L’ADL Cobas (come “associazione difesa lavoratori”) nasce nel 1992 dall’esperienza politica e sociale sviluppatasi lungo il decennio degli anni 80 nella Bassa Padovana attorno alle lotte contro la ristrutturazione, il decentramento, i licenziamenti, la precarizzazione del lavoro e la devastazione ambientale in quei territori. 


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