Un diritto negato, titolava così domenica un quotidiano nazionale, a proposito di quello alla casa. La precarietà abitativa descritta nell’articolo emerge ormai chiaramente con i tratti che da anni denunciamo come Sportello per il diritto all’abitare di ADL COBAS, grazie anche al confronto quotidiano con tutti quegli “osservatori sulla realtà” come sono i progetti di mutualismo dei Municipi Sociali di Bologna.
Si è sempre più ampliata infatti quella fascia di precariato sociale e working poors che costretto il più delle volte a compiere più lavori con salari da fame, ma talvolta anche con stipendi che possono arrivare sino a 1300-1400 euro al mese, non riesce letteralmente a trovare una casa o una semplice stanza in affitto nel contesto di una città attrattiva come Bologna, in cui spesso è proprio una buona opportunità di lavoro ad aver convinto a muoversi e trasferirsi in città.
Al pari di coloro che continuano ad affluire ad uno degli Atenei più ambiti, ma si trovano a confrontarsi con una vera e propria odissea nella ricerca di una sistemazione, vedendo negato il loro diritto di restare in una città storicamente universitaria per le difficoltà di trovare una sistemazione non solo tra quelle prossime ai dipartimenti o semplicemente in centro città, ma talvolta nella stessa area urbana. Una dinamica di certo non solo bolognese, ma che caratterizza quantomeno le grandi città sede di Università: a Milano una studentessa ha piantato una tenda fuori dal Politecnico, e lì vuole rimanere fino a che non troverà una sistemazione.
Un diritto negato, con ancora ulteriori barriere, per chi poi è migrante, richiedente asilo, titolare di permesso di soggiorno, e deve confrontarsi con il razzismo sempre più esplicito da parte di agenzie immobiliari e proprietari, sempre più legittimato dalle retoriche e dalle scelte politiche discriminanti del Governo di destra.
L’impressione è che nei prossimi anni tante e tanti probabilmente si troveranno a far fronte ad un proprietario di casa che deciderà di mettere il proprio immobile in affitto su AirBnb (ormai gli annunci a Bologna, in crescita quasi costante dall’affievolirsi della crisi pandemica, sono più di 4000) o “semplicemente” espellerà i vecchi inquilini per ridefinire al massimo rialzo i prezzi delle locazioni: sono sempre di più affittuari a fare questa scelta, fondendo mercato turistico e residenziale a discapito del diritto all’abitare.
Ci vedremo costretti a fare una scelta: abbandonare la città o lottare per garantire a sé stessi e ai propri fratelli e sorelle il diritto a vivere e a costruirsi un futuro nella città.
Questo fenomeno riguarderà fasce sempre più ampie e sempre meno garantite e pone un tema di coinvolgimento diretto anche a noi, attivisti e attiviste.
Per questo la nostra scelta abbiamo iniziato a farla: intrecciando le contraddizioni che attraversano una Bologna che resiste a fatica a piattaforme digitali e speculatori, partendo da chi in questo momento è più sotto attacco dal governo Meloni – Piantedosi, i/le migranti, coinvolgendo studenti e lavoratrici che rischiano di restare risucchiati in una spirale di molteplici precarietà (abitative, lavorative, economiche) ci siamo ripresi spazi di vita, di socialità, di costruzione di comunità alternative al mercato.
Organizzazione, ibrida nelle sue componenti, in uno spazio che per molti è finalmente diventato casa. In una parola HOME: Hub di Organizzazione Meticcia
HOME vuole essere allora anche terreno di sperimentazione di sindacalismo sociale. In un Paese dove gli stipendi sono fermi da 30 anni, la lotta per un’abitazione accessibile non può non passare attraverso la ricerca di nuove forme di reddito, di salari più alti, di dignità sul lavoro. Un mondo, quello del precariato sociale, più che mai frammentato, e che il recente Decreto Lavoro indebolirà ancora di più.
Davanti ad un processo di espulsione che sembra essere inarrestabile, una parzialità di questo variegato mondo la cui permanenza in questa città è seriamente messa a rischio, si auto-organizza riappropriandosi di un immobile il cui patrimonio mobiliare, paradossalmente, sta nel risparmio di milioni di cittadini e cittadine.
Alcune idee per uscire da questa situazione le abbiamo affermate, e le ripetiamo: moratoria sugli sfratti per finita locazione e per morosità incolpevole,utilizzo temporaneo a fine abitativo di proprietà pubbliche e di aree demaniali inutilizzate da decenni, regolamentazione degli affitti brevi, ampliamento e il miglioramento dei circuiti di accoglienza per richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale.
Queste sono tre delle proposte che abbiamo in mente, e che devono per forza partire dalle città e dai corpi che le attraversano tutti i giorni generando ricchezza sociale, culturale, politica.
Non neutra ma schierata, di parte.
Perché davanti ad un ENGEL&VÖLKERS che apre in città un’agenzia per gli immobili di lusso, la nostra risposta è ri/aprire le porte di un ex caserma abbandonata per dare casa a lavoratrici e migranti precarie.
Come di fronte agli oltre 4000 airbnb in città, noi decidiamo di aprire le porte di una palazzina di proprietà pubblica in vendita, sottraendola infine alla speculazione per restituirla al “comune” e farne un utilizzo di edilizia sociale. E davanti a proprietari inadempienti e palazzinari senza scrupoli, insieme possiamo frenare questa loro arroganza, con il nostro lavoro quotidiano di denuncia e restituzione di diritti mancanti, a partire dagli sportelli di autorganizzazione sindacale.
E di fronte ad un governo razzista, sovranista ed escludente, noi decidiamo ancora una volta di accogliere, di mettere dei sassolini negli ingranaggi della macchina istituzionale, di essere meticci: PERCHE’ LA CASA TORNI AD ESSERE UN DIRITTO DI TUTTI E DI TUTTE