ANCHE NOI VOGLIAMO RESTARE A CASA:
NON SIAMO CARNE DA MACELLO
DIRITTO ALLA VITA E DOVERE DI PRESERVARLA:
PER NOI STESSI E PER TUTTA LA COLLETTIVITA’
Alla luce di quanto sta accadendo in questi giorni, e cioè che:
• La pandemia di coronavirus (Covid-19) continua a dilagare senza sosta;
• le cifre dei contagi, dei ricoveri e dei decessi fornite dalla Protezione Civile e dal Ministero della salute sono in crescita costante e impetuosa: solo nella giornata di domenica 15 marzo 3590 nuovi contagiati e 368 nuovi decessi;
• tutti gli esperti prevedono che questa pandemia non avrà durata breve, e che nei prossimi giorni la diffusione a macchia d’olio a cui stiamo assistendo nelle regioni del nord si estenderà a tutto il resto della penisola
• gli scenziati e gli esperti cinesi, che per primi hanno dovuto far fronte all’epidemia, hanno più e più volte affermato che l’unico modo per fermare i contagi è quello di fermare tutto e rimanere tutti a casa per almeno 2 settimane, e specificando che tutti vuol dire proprio tutti, eccezion fatta solo per chi lavora nei servizi pubblici essenziali (alimentari e generi di prima necessità, farmacie e ospedali)
ALLA LUCE DI TUTTO CIO’ SI COBAS E ADL COBAS TRADUCONO LO STATO DI AGITAZIONE GIA’ PROCLAMATO NELL’INDICAZIONE DI RESTARE TUTTI A CASA PER TUTELARE IL DIRITTO ALLA SALUTE E ALLA VITA, RIVENDICANDO LA CHIUSURA IMMEDIATA DI TUTTE LE ATTIVITA’ NON ESSENZIALI E IL SALARIO PIENO A TUTTI I LAVORATORI.
Il Governo nella giornata di sabato 14 marzo ha sottoscritto con i sindacati confederali e con le associazioni padronali un protocollo di regolamentazione delle misure per il contrasto e contenimento della diffusione del Covid 19.
Prima di entrare nel merito dei vari DPCM e di questo Protocollo è necessario fare alcune premesse.
1) L’articolo 44 del D. Lgs 81/08 (intitolato “Diritti dei lavoratori in caso di pericolo grave e immediato) stabilisce: “1- il lavoratore che, in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere evitato, si allontana dal posto di lavoro o da una zona pericolosa non può subire pregiudizio alcuno e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza dannosa”.
Dunque è evidente che in un contesto quale quello attuale (quale pericolo può mai essere più grave e immediato di una pandemia in fase di continua espansione?) le norme già esistenti sulla tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro prevedono la non punibilità e non contestabilità del lavoratore che si astiene dallo svolgere la prestazione per preservare la sua incolumità.
Come si vedrà, il Protocollo firmato da governo, padroni e sindacati collaborazionisti, invece che riaffermare questo sacrosanto diritto e casomai specificarlo e allargarlo sotto il profilo della tutela dei livelli salariali, tende ad eluderlo, vanificarlo e ad annullarlo.
SI Cobas e ADL Cobas al contrario, nell’indicare come necessità prioritaria ed immediata l’astensione dal lavoro di tutte le categorie che non svolgono mansioni strettamente legate alle necessità di sopravvivenza e di garanzia della salute di tutta la popolazione, non fanno altro che riaffermare e ribadire quanto previsto dal D. Lgs 81/08, da innumerevoli leggi e norme del codice civile, e in ultimo degli articoli 2 e 32 della Costituzione, per i quali la Repubblica considera supremi e inviolabili il diritto alla vita e la salute.
2) Risulta evidente la macroscopica contraddizione legata al fatto che, fintanto che ci saranno 15 milioni di lavoratori e lavoratrici che saranno in movimento in tutto il paese recandosi in massa nei luoghi di lavoro, a prescindere dalla corretta applicazione delle normative previste anche da quest’ultimo Protocollo, ben difficilmente si può pensare che la guerra contro il coronavirus possa produrre effetti significativi in un tempo ragionevole. Gli inviti a “restare a casa” ripetuti in continuazione dai media e dai politici e le misure coercitive di controllo minuzioso delle strade e dei territori per sanzionare chi viola le prescrizioni continueranno ad essere parole vuote fintanto che migliaia e migliaia di uomini e donne continueranno ad affollare le fermate delle stazioni e i mezzi del trasporto pubblico, ad ammassarsi nelle navette aziendali e a concentrarsi in gruppi di 4-5 persone nella stessa auto per recarsi al lavoro.
Mentre le istituzioni appaiono inflessibili e implacabili di fronte a casi sporadici di persone sorprese a prendere una boccata d’aria in strada o a qualche pendolare che tenta disperatamente di raggiungere il suo paese d’origine, continuano ad alimentare e a legittimare il vero e principale fattore di contagio che andrebbe bloccato: l’enorme concentramento quotidiano di persone correlato all’attività lavorativa,
Se è scientificamente provato che il modo migliore per combattere il coronavirus è quello di non entrare in contatto e rimanere a casa è evidente che anche tutti i lavoratori e le lavoratrici, ad esclusione di chi opera in servizi essenziali, devono fare altrettanto.
3) Ciò è tanto più evidente alla luce delle ultime ricerche epidemiologiche condotte da medici e scienziati, secondo cui il coronavirus è capace di resistere sulle superfici di metallo, di plastica e di cartone anche fino a 2 giorni. Ciò sta a significare che persino il padrone più scrupoloso, capace di adottare alla perfezione tutte le misure contenute nei DPCM e nel Protocollo, di far rispettare in maniera ferrea tutte le distanze di sicurezza, di far indossare a tutti le mascherine di protezione e di provvedere alla sanificazione quotidiana di locali e impianti, nulla potrebbe di fronte a un virus che può diffondersi non solo attraverso il contatto tra persone, ma anche attraverso il contatto con merci, contenitori e superfici contaminate: materiali cioè che costituiscono l’essenza dell’attività lavorativa e delle operazioni compiute quotidianamente nell’intera industria manufatturiera e ancor più nel settore del trasporto merci e della logistica.
4) La scelta di non bloccare anche il mondo del lavoro risponde quindi ad una precisa logica: salvaguardare la produzione e quindi i profitti prima ancora della vita stessa, con il risultato che, probabilmente, i tempi per debellare il virus si allungheranno ulteriormente, mietendo ancora più vite umane e spostando sempre più in avanti la ripresa della normale attività.
5) Quello che sta succedendo – il rischio di collasso della sanità pubblica, causato dai tagli apportati negli ultimi decenni e dalla privatizzazione di una infinità di servizi sanitari (politica appoggiata e sostenuta dai sindacati confederali con l’inserimento degli Enti Bilaterali in tutti i CCNL) ci porta a dire che la battaglia che oggi stiamo conducendo contro il coronavirus deve contenere in sé, qui ed ora, l’obiettivo di imporre investimenti mirati e aumenti di personale nella Sanità Pubblica, come unico baluardo per un esercizio effettivo del diritto alla salute. Soprattutto in tempi nei quali, probabilmente, gli stravolgimenti ambientali, frutto di questo modello di produzione capitalistico, porteranno a nuove grandi emergenze sanitarie.
6) Di pari passo, deve essere ripresa con determinazione la lotta contro le spese militari. Se si pensa che un solo caccia F35 costa quanto 7113 ventilatori polmonari, è evidente che il rischio di collasso del sistema sanitario nazionale e l’incapacità di far fronte all’emergenza attuale è anche e soprattutto il frutto di scelte politiche che hanno deliberatamente e sistematicamente trasferito ingenti capitali di spesa pubblica dai servizi sociali verso le spese militari e le imprese belliche in giro per il mondo .
7) E’ evidente che si è aperta una nuova fase di accelerazione dei conflitti globali e che è necessario attrezzarci per una prospettiva di lotta di cui non è possibile prevedere né la tempistica né l’evoluzione. Di qui la sempre più stringente necessità da parte nostra di rappresentare gli interessi degli sfruttati, in quanto le crisi economiche, le carestie, le pandemie colpiscono più duramente i lavoratori e i settori più poveri della società.
Ciò detto, e dopo avere letto il recente Protocollo che regolamenta le condizioni che dovrebbero essere imposte alle aziende per lavorare in sicurezza, formuliamo alcune considerazioni e di conseguenza alcune proposte di lotta.
L’ACCORDO GOVERNO-SINDACATI CONFEDERALI-PADRONI NON RECEPISCE PER NIENTE LE INDICAZIONI EMERSE DALLE LOTTE OPERAIE DI QUESTI GIORNI!
Il testo firmato da governo e parti sociali nella giornata del 14 marzo non è nulla di nuovo rispetto alle precedenti regole stabilite dal DPCM e lascerà infatti la gestione della sicurezza ed emergenza sanitaria nelle fabbriche e in tutti i posti di lavoro alla discrezione degli imprenditori, in quanto, come abbiamo già avuto modo di verificare in questi giorni, in assenza di controlli o di scioperi dei lavoratori, si è continuato a lavorare in condizioni pericolosissime.
Nella premessa del decreto viene riportato che le uniche intese tra organizzazioni sindacali e datoriali devono essere inerenti alle attività produttive, sancendo ancora una volta il primato della produzione sulla vita, sulla salute, sui diritti dei lavoratori!
Vengono inserite molte norme comportamentali la cui verifica diventa di fatto impraticabile. Ma proviamo a vedere i punti di maggiore criticità.
Il primo aspetto che emerge con chiarezza è che, nonostante vi siano state anche precise richieste da parte di Presidenti di Regione, non vi è alcuna chiusura delle attività non essenziali. La gestione del Protocollo viene affidata ad un fantomatico “Comitato” che dovrebbe verificare se le regole previste dallo stesso vengano rispettate. In realtà è chiaro che in moltissime realtà lavorative non esiste nemmeno l’RLS, pertanto è chiaro che, al di là delle buone intenzioni, la gestione del Protocollo è a totale discrezione delle aziende
Ma c’è un punto fondamentale che chiarisce quanto questo Protocollo sia del tutto inefficace: al punto 2 del capitolo “MODALITA’ DI INGRESSO” al secondo paragrafo si dice “Il datore di lavoro informa preventivamente il personale e chi intende fare ingresso in azienda, della preclusione dell’accesso a chi, negli ultimi 14 giorni, abbia avuto contatti con soggetti risultati positivi al COVID 19 o provenga da zone a rischio secondo le indicazioni dell’OMS”. E qui “casca l’asino”, nel senso che se tutta Italia è considerata zona a rischio, ed in particolar modo in tutte le aree del nord nelle quali la pandemia è cresciuta in modo esponenziale, è chiaro che nessuno potrebbe entrare a lavorare. Tant’è che in molte industrie del Bresciano e del Bergamasco, le stesse aziende hanno deciso di chiudere per almeno 15 giorni.
Viene poi stabilita tutta una serie di regole sulle misure di distanza di sicurezza, sulle modalità di ingresso e di uscita, sul come stare in mensa, sull’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, ma nulla si dice ad esempio sul come i lavoratori arrivano al lavoro. Quanti sono i lavoratori che si recano al lavoro in “car shering”, in 4 o cinque in una macchina. A cosa serve allora il distanziamento se non si controlla come si arriva al lavoro.
Per quanto riguarda i DPI non sono più obbligatori quelli conformi alle disposizioni dell’OMS, ma possono essere utilizzati dispositivi reperibili attualmente sul mercato.
Viene fatto divieto di qualsiasi riunione in azienda, quindi anche di svolgere assemblee sindacali, ma se così è, chi dovrebbe garantire l’applicazione delle disposizioni.
In merito alla sorveglianza sanitaria si fa riferimento genericamente al medico competente. Non si prevedono specifici controlli delle Asl. nulla. Si demanda ad una comitato formato da azienda e rls e rsa, dove le stesse non hanno nemmeno avuto una specifica formazione in tal senso, se non ad opera del sindacato li dove c’è.
Anche in caso di una persona rivelatasi positiva al Covid 19 , non è prevista la quarantena per tutti quei lavoratori che hanno lavorato nello stesso reparto, e non è consentito ai lavoratori di decidere di mettersi in quarantena, ma è sempre e solo l’azienda che “potrà chiedere agli eventuali possibili contatti stretti di lasciare cautelativamente lo stabilimento. Quindi questo Protocollo peggiora le norme sulla sicurezza e i diritti dei lavoratori, su tutte la già menzionata legge 81/08 che prevede espressamente che in caso di pericolo si possa abbandonare il posto di lavoro senza alcuna conseguenza disciplinare.
PROPOSTE DI LOTTA
In nome della salvaguardia della salute individuale e collettiva ribadiamo il diritto di lavoratori e lavoratrici di tutti i comparti di rimanere a casa , ad eccezione di chi opera nei servizi veramente essenziali. In questa direzione abbiamo promosso lo stato di agitazione nazionale che si traduce, in questa fase particolare di pandemia, nell’indicazione di astenersi in massa dal lavoro, anche laddove possano sussistere (ma sara’ molto difficile che cio’ avvenga) le condizioni di sicurezza previste dal protocollo e dai vari DPCM, reclamando il diritto ad usufruire degli ammortizzatori sociali con l’obiettivo di integrazione al 100 % del salario.
Questa modalità di lotta vogliamo metterla in atto proprio perché ci rendiamo conto che da parte governativa e padronale, al primo posto, c’è il profitto a costo della vita dei lavoratori. Con un approccio irresponsabile verso la vita umana o meglio di tipo criminale, si è disposti a sacrificare salute e vita di migliaia di persone. Abbiamo, come sindacati, visto e constatato in questi primi venti giorni di epidemia da coronavirus quali sono state le condizioni lavorative all’interno delle fabbriche e dei magazzini della logistica. Si vorrebbe lasciare ad intendere che basta oggi un protocollo per garantire la sicurezza sul lavoro, quando, tra le altre cose, diversamente da quello che viene fatto per chi porta a pisciare il cane che può incorrere in una condanna penale, non è prevista alcuna sanzione per chi non garantisce la salute e la vita della forza lavoro.
• Per QUESTI motivi, per salvaguardare la vita e la salute dei lavoratori e dei cittadini, proponiamo che si avvii una prima tornata di giorni di astensione collettiva dal lavoro, pretendendo un “salario di quarantena” così come stanno iniziando a rivendicare molte altre figure del lavoro precario che oggi sono già senza lavoro e senza salario.
• Laddove non sussistano le condizioni di sicurezza sia per quanto riguarda i servizi essenziali (alimentari, sanità, farmaceutica, energia, ecc.) sia per tutto il resto del mondo del lavoro, e’ fondamentale che gli rsa con gli rls controllino se realmente le condizioni che vengono poste dal protocollo siano rispettate ed in caso contrario va esercitato il diritto ad astenersi dal lavoro pretendendo la piena retribuzione che dovra’ essere erogata direttamente dal datore di lavoro in quanto non ha applicato la normativa in materia di sicurezza, offrendo eventualmente la prestazione e diffidando l’azienda alla messa a norma.
• Va rivendicato fino in fondo il diritto ad organizzarsi sindacalmente nel rispetto delle regole fondamentali per evitare il contagio, ma è chiaro che la gestione di questa fase della nostra vita e di milioni di lavoratori non può essere lasciata nelle mani del Governo e dei padroni. Continuiamo ad insistere nella richiesta rivolta al Governo, al Ministero del lavoro ed al MISE di accogliere la richiesta di incontro con le nostre organizzazioni per raccogliere le richieste che provengono in particolare modo dai lavoratori della logistica trasporti , un mondo che rappresentiamo in termini maggioritari.In questo senso ci è stato rivolto un invito ad un incontro con Fedit per verificare se vi sono le condizioni per la firma di uno specifico protocollo di cui verrà anche data comunicazione al Ministero
Alla luce di queste considerazioni è evidente che il rimanere a casa deve, non solo, essere un diritto, ma, soprattutto, un dovere per tutti, ad eccezione solo per quelle persone che lavorano nei servizi essenziali.
Diamo vita a partire da questa settimana ad una vera astensione di massa dal lavoro in difesa della salute e della vita di tutti.
Sulle proposte economiche del decreto che uscirà ci sono tutte le possibilità di chiedere ovunque che vengano applicate per lasciare a casa i lavoratori, (cig ordinaria, cig in deroga, fis, ecc) si tratta ovviamente di continuare a rivendicare il 100% della retribuzione.