Grande è il desiderio di bypassare questo periodo pandemico e di ritornare alla vita di prima, per quanto difficoltosa, dura e in sofferenza essa fosse. Non sarà cosi, per diversi motivi e fattori. Il cambiamento è già in atto, sotto i nostri occhi anche se non riusciamo ad averne una percezione complessiva e decrittarne chiaramente le traiettorie. Nulla sarà come prima: è da augurarselo, perchè, come ci ha ricordato la rivista medico-scientifica internazionale Lancet [1], quella che stiamo attraversando non è una pandemia ma una sindemia ovvero una tracimazione virale prodotta dalle attuali condizioni socio-economiche e ambientali del nostro sistema di vita. È questo sistema, il sistema capitalistico di produzione e riproduzione, la pandemia. Uscirne senza le ossa rotte sarà dura, anche perchè, a dirla schiettamente, i rapporti di forza generali, nella società, in questa fase, non ci sono favorevoli e il cambiamento, prodotto dall’alto, da chi detiene il potere e la sua governance, non ha – quasi mai – avuto ricadute positive per lo stato di salute del pianeta e dei suoi abitanti.
Ma veniamo a noi, alle mutate condizioni materiali, allo spostamento del peso specidfico dei vari settori della produzione, in cui la nostra convivenza collettiva viene messa al lavoro, pensiamo solo al balzo felino del segmento del capitalismo delle piattaforme, Amazon in testa, con Bezos [2], il Paperone più ricco tra i Paperoni, di quello dei mezzi e strumenti di comunicazione, di quello della logistica e della grande distribuzione commerciale, di quello chimico-farmaceutico e via via almanaccando. Tutti settori e segmenti del complessivo sistema produttivo socializzato che hanno avuto una rendita di ‘posizione’ rispetto alla pandemia, senza operare un vero salto tecnologico o organizzativo, ma semplicemento affinando e approfondendo quello in essere, mantenendo, dunque, il modo di produzione e di lavoro dato. Mentre in altri comparti della produzione socializzata il Covid ha cambiato il nostro modo di lavorare con una rapidità sorprendente, senza che quasi ce ne accorgessimo[3].
Le imprese private [e pubbliche], come sempre accade nei momenti di crisi, che sono anche imperdibili opportunità di ristrutturazione dei processi produttivi, hanno colto l’occasione al volo, come se attendessero un pretesto, esterno e perciò indiscutibile, per modificare a loro vantaggio i rapporti tra capitale e lavoro. Ed ora sono impazienti di oltrepassare il blocco dei licenziamenti e rampanti nel accappararsi le risorse messe a disposizione, così da poter mettere a profitto la nuova geografia integrata e senza intermediazioni della produzione. Questo vale, ancor di più, per tutte le modalità di erogazione di lavoro cognitivo, basti pensare alle potenzialità, rivelatesi concrete e sostanziali, del lavoro a distanza, dello smart-working. In tutti i segmenti della Pubblica Amministrazione, della scuola, del settore bancario-finanziario-assicurativo, in generale in tutti gli uffici gestionali ed amministrativi dei settore terziario, privato e pubblico, si è fatto un uso generalizzato del lavoro da domicilio, raggiugendo punte di oltre 80% in alcuni settori, in alcuni periodi del lockdown, in alcune aree territoriali [zone rosse]. Altrettanto è valso per il ‘lavoro cognitivo’ dell’industria, dove si è sperimentato con riscontri produttivi positivi la funzionalità dello smart-working nella progettazione, nella ricerca, nei data groups. Una modalità di lavoro che, biunivocamente, lavoratori e imprese, per oltre il 50% vorrebbero stabilizzare nell’immediato futuro, con buona pace delle ‘parti sociali’: sindacati e partiti istituzionali sono evaporati, in questo passaggio. Perfino nel regno delle piccole e medie industrie, nel Veneto, secondo una recentissima inchiesta della Fondazione NordEst ‘solo’ il 22% di esse ha apprezzato e riconosciuto profittevole l’esperienza di smart-working maturata[4].
Un lavoro complesso, difficoltoso, inesplorato spetta al sindacato conflittuale, oltre al doversi interrogare sul proprio ruolo, funzione e sulle proposte da mettere a verifica sul campo delle lotte.
Una repentina trasformazione si è materializzata nell’organizzazione del lavoro, senza alcuna mediazione sindacale o conflittualità sociale, accettata e leggittimata, senza colpo subire, grazie dall’emergenza virale. Per di più gran parte dei costi economici e sociali di questa trasformazione epocale sono ricaduti – dal wifi al buono pasto – sui lavoratori cognitivi stessi, con un ulteriore depauperamento e messa in produzione delle loro risorse economiche, sociali, del loro stesso tempo di vita. Un grande disciplinamento sociale si è inverato, sia nella trasformazione dell’organizzazione del lavoro, che nel rispetto del distanziamento sociale che ci ha accompagnato e ci insegue in questa sindemia, in larghissima parte gestita col linguaggio della guerra – quindi della paura e del terrore, inoculati continuativamente da ogni tv e media – dalle Istituzioni dello Stato, conferendo loro, di riflesso, una rinnovata, quanto inaspettata, legittimazione, in specie ai leader decisionisti siano essi Conte o Zaia[5]. Nel tempo della ‘guerra’ non vi è spazio per la mediazione o l’intermediazione tra settori e/o soggetti sociali.
Una trasformazione nell’organizzazione del lavoro che viene accompagnata dall’occultamento sociale ed economico di quello strato di lavoro precarizzato ed instabile, prodotto da quella tendenza generale alla progressiva frantumazione del lavoro con la diffusione dei “lavoretti” e la spinta trasformare il lavoro dipendente, scaricandone i costi, in tante partite Iva, che così viene piegato ad assumere la forma e la sostanza del lavoro on demand, nel mentre altre attività lavorative, come l’insegnamento, il lavoro di cura e di assistenza, vengono privatizzate, svalorizzate, diffamate nel loro ruolo e funzione sociale.
Una trasformazione nell’organizzazione del lavoro che produrrà un’ulteriore radicale mutazione antropologica nella nostra vita sociale, di relazione e di convivenza. Le stesse città o metropoli subiranno una conversione epocale. Che senso e funzione avranno i grandi centri direzionali bancari, finanziari e amministrativi di Londra, Parigi, Milano, New York, Singapore, Hong Kong quando si svuoteranno stabilmente dei milioni di colletti bianchi che vi trascorrono le giornate. Enormi monumenti vuoti come le migliaia di capannoni che impestano di cemento i territori della pianura padana. E la viabilità, il trasporto urbano o extraurbano serviranno ancora a trasferire i corpi, quando, per molti, la sede di lavoro è tra la cucina e lo studiolo.
Ovviamente non ci sono i 4 cavalieri dell’Apocalisse e neppure quelli dello Zodiaco dietro l’angolo ma un cambiamento epocale che ha una velocità trasformativa sorprendente avendo, in sé, come propellenti la pervasività della tecnologia 5 G e l’accellerazione prodotta dalla pandemia.
1> http://www.nbst.it/822-pandemia-covid-19-%C3%A8-anche-sindemia-disuguaglianze.html#
3> https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/—europe/—ro-geneva/—ilo-rome/documents/publication/wcms_756435.pdf + https://www.censis.it/rapporto-annuale
5> https://www.unime.it/sites/default/files/Programma%20CONVEGNO%20AIS%20Politica%202020%20-_0.pdf + https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/12/30/news/sondaggi_nell_anno_delcovid_il_primato_e_di_conte_salvini_il_meno_amato-280507928/