Stiamo assistendo con angoscia ad una pericolosissima escalation della guerra in Ucraina, una guerra che sempre di più si rappresenta come uno scontro tra gli Stati Uniti e la Nato, da una parte, e la Federazione Russa dall’altra. In mezzo ci sta la devastazione di un paese, milioni di profughi, le brutalità che troviamo in tutte le guerre, che vanno a colpire civili e militari, tutti sacrificati in nome degli interessi economici per il controllo delle materie prime. Il tutto viene condito con l’esaltazione del nazionalismo e la strumentalizzazione dell’appartenenza religiosa per alimentare i conflitti, per produrre odio.
E’ quindi evidente che di fronte ad uno scenario come questo e al fatto che le potenze economiche e militari dell’occidente capitalistico non fanno altro che alimentare la guerra con l’invio di armi sempre più sofisticate, la prospettiva solo di un cessate il fuoco, di una tregua o di un qualche accordo di pace, è sempre più lontana e la guerra continua a farla da padrona. Ed in questa guerra emergono in tutta la loro evidenza le contraddizioni enormi tra paesi inseriti in un contesto di economia globalizzata: da un lato si applicano sanzioni economiche alla Russia e si inviano armi all’esercito ucraino, dall’altro si finanzia la guerra pagando fior di miliardi alla Russia per il gas ed il petrolio. Da un lato si chiedono sacrifici enormi alle lavoratrici e ai lavoratori che stanno pagando i costi dell’invio delle armi, con un progressivo impoverimento dei salari, dall’altro si consente alle grosse compagnie che trafficano con gas e petrolio (ENI, Snam, ecc.) di avere profitti enormi (si parla di 40 mld di extraprofitti) mentre già abbiamo pagato bollette più che raddoppiate di gas e luce. Adesso il Governo, a fronte di una inflazione che si aggira attorno al 7 % (vale a dire una perdita secca di potere d’acquisto dei salari di circa 100 € per un salario di 1500 €) ha deliberato un una tantum di 200 €, che equivale ad una elemosina.
Il dato certo è che anche l’Italia è entrata di fatto in guerra, che ci stiamo inoltrando in una economia di guerra, che è il complesso militare industriale che detta l’agenda politica a tutti i governi dell’occidente e che le conseguenze di tutto ciò ricadono sempre e solo su lavoratrici e lavoratori e sui poveri. Un altro dato certo è che l’occidente, americani in testa, stanno costruendo una loro narrazione volta a cancellare tutte le nefandezze che sono state commesse e che tuttora vengono commesse in molte altre parti del mondo, dall’Iraq all’Afghanistan ,alla Siria, alla Libia, allo Yemen, alla Palestina e in molti altri paesi dell’Africa dove il colonialismo non è mai finito, al solo scopo di metter in atto una nuova politica espansionistica per ridisegnare un nuovo ordine mondiale, dopo la cocente sconfitta subita in Afghanistan.
In questi mesi di guerra, TV e media in generale sono stati invasi da disinformazione e propaganda bellicista, mentre le voci di dissenso rispetto alle scelte guerrafondaie vengono spesso criminalizzate. Da parte nostra ci siamo chiesti più volte come trovare il modo di incidere su quello che sta succedendo e su quali obiettivi. Abbiamo visto arrivare proposte di vario genere, anche di scioperi generali che rischiano di avere il sapore della ritualità e della testimonianza. Per questi motivi, pur aderendo allo sciopero proclamato da varie sigle sindacali per il 20 maggio, stiamo cercando di capire come dare un senso a quello che facciamo per noi qui e per chi sta subendo gli effetti devastanti di questa guerra.
E’ evidente che questo sciopero, per le diverse posizioni presenti all’interno della compagine che lo ha convocato igle sindacali che abbiamo visto confluire in cortei di “no vax”, o di altre che sono un tutt’uno con avvocati che rappresentano aziende che hanno utilizzato forme di schiavitù nelle loro aziende e hanno rilasciato dichiarazioni razziste nei confronti dei lavoratori schiavizzati, o altre ancora che hanno posizioni molto ambigue sulla guerra stess -, rischia di essere semplicemente una sommatoria di eterogeneità che sono ben lontane dall’essere un “fronte unitario” di lotta.
Per questi motivi siamo convinti che qui in Italia, da un lato è fondamentale costruire percorsi veri di lotta in grado di combattere realmente il carovita con vertenze concrete che possano portare ad incrementi veri dei salari.
Dall’altro è necessario costruire larghe mobilitazioni che pongano in primo piano la lotta contro il riarmo, contro l’aumento delle spese militari, contro il ritorno alle fonti energetiche fossili, contro il carovita e per garantire accoglienza a tutti i profughi che scappano dalle guerre e dalle crisi climatiche.
Ma, nella consapevolezza che siamo in presenza di una guerra tra due logiche imperiali e/o imperialistiche, abbiamo cercato di capire con chi stare all’interno di questa guerra. Per rispondere a questa domanda siamo andati, assieme alla Rete Sindacale Internazionale di Solidarietà e Lotta, fino a Leopoli ad incontrare lavoratrici, lavoratori e cittadini che si stanno organizzando per difendersi da tutto quello che stanno subendo, ma anche per riuscire ad intravvedere un futuro che non sia schiacciato in logiche nazionaliste e di subordinazione a imperialismi di vario segno. Per questo abbiamo avviato un rapporto che è fatto di solidarietà fattiva, di aiuti economici e materiali sui quali bisogna cercare di costruire il presente ed il futuro. Perché non vogliamo versare le nostre lacrime davanti alla televisione quando vediamo lo sfruttamento, gli orrori della guerra, la distruzione del pianeta e non vogliamo nemmeno liberarci dei nostri vestiti vecchi e donarli per pulirci la coscienza dei crimini che anche i nostri governi occidentali compiono (dalla rapina delle risorse naturali, alla devastazione ambientale, ecc.), noi vogliamo fare qualcosa, non vogliamo arrenderci. ma per fare qualcosa dobbiamo saperci riconoscere, riconoscere chi cerca di organizzarsi e lotta come noi.
Come Adl Cobas organizzeremo per il 20 maggio scioperi e mobilitazioni adeguando le iniziative alla specificità dei territori. Per discutere di tutto questo abbiamo organizzato una assemblea di tutti/e i/le delegati/e di Adl Cobas per il giorno 13 maggio per affrontare assieme la difficile situazione che stiamo vivendo e per decidere il da farsi, senza pensare che oggi ci possano essere risposte facili in una situazione molto complessa. Pensiamo anche sia necessario costruire un’ampia mobilitazione nella giornata della “festa della Repubblica” il 2 giugno, da un lato, e dare continuità ad un ponte di solidarietà e lotta comune con chi in Ucraina, ma anche in Russia o Bielorussia si sta opponendo alla guerra per costruire un futuro senza guerre e di fratellanza e sorellanza tra i popoli