«Ciao Sara, io sono al fronte, in prima linea come in guerra». Il messaggio non arriva da una terapia intensiva né da un ospedale, bensì da una cooperativa sociale lombarda che si occupa di persone con disabilità. Perché anche quelli sono servizi che restano aperti: Centri Diurni, Comunità Sociosanitarie, Residenze Sanitarie per disabili. Come i medici e gli infermieri anche gli educatori e gli operatori di questi servizi sono gli eroi di queste settimane. Sono lì, come ogni giorno, accanto alle persone più deboli, quelle che il virus colpisce più forte. Sono lì con la paura, il senso del dovere, la passione per il lavoro che hanno scelto, l’amore e il senso di responsabilità: sentimenti che convivono in ogni istante e li accompagnano. «C’è la paura, certo che c’è. A tutti quelli che in questi giorni hanno detto: “Ma chi ve lo fa fare? Chiudete!”, rispondiamo che siamo professionisti, ci atteniamo alle norme», ci hanno scritto. Alcune regioni hanno chiuso i CDD, altre no. Dove si va al lavoro, però, qualcuno comincia a denunciare la mancanza dei dispositivi di sicurezza che non si trovano da nessuna parte e di un serio piano di emergenza. Un’educatrice ha scritto alla redazione: «Siamo spaventati. Una lotta per avere ciò che ci spetta per tutelarci, una mascherina».
Anffas è la più grande associazione italiana di famiglie di persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo: ha una diffusione capillare su tutto il territorio nazionale, grazie a 167 associazioni locali e 49 enti a marchio volti a garantire la cura, l’assistenza, la tutela di oltre 30.000 persone con disabilità intellettive. Giorni fa, quando ancora la “zona rossa” riguardava solo 11 comuni, il suo presidente Roberto Speziale aveva sollecitato l’Ufficio per la tutela dei diritti delle persone con disabilità, di recente istituzione presso la Presidenza del Consiglio, trasmettendo la preoccupazione specifica per le persone con disabilità, le più fragili in quanto a maggiore rischio e con una imprescindibile necessità di assistenza. Una attenzione specifica per le persone con disabilità, in realtà, nei vari DPCM non si è ancora vista. «La preoccupazione in questo momento è altissima ed va ugualmente alle persone con disabilità e agli operatori che le assistono. Mi sento di fare un forte appello alla Protezione civile o chi ne ha la competenza perché fornisca agli operatori e ai volontari, che garantiscono cure ed assistenza alle persone con disabilità e non autosufficienti, tutti i necessari dispositivi per la protezione individuale e per prevenire il contagio», dice Speziale. «Se queste persone rimanessero prive di assistenza e cure, da sole non potrebbero farcela a prescindere dal Coronavirus. Perciò servono anche piani di emergenza e di intervento, per esempio contingenti di personale di supporto, gestiti dalle regioni o dalla stessa Protezione civile, che siano in grado di intervenire nel caso in cui le strutture vadano in crisi per carenza o mancanza di personale che si dovesse ammalarsi».
Per Speziale, in realtà, «va immediatamente disposta in tutta Italia la sospensione di ogni attività prestazione o servizio che non sia indispensabile o indifferibile per le persone con disabilità, in modo da non esporle a rischio di contagio, anche alla luce del fatto che, come sta accadendo, le nostre persone con disabilità, anche se più giovani, corrono rischi notevolmente superiori rispetto a tutti gli altri cittadini». Il pensiero di Speziale va al 38enne morto giovedì a Manerbio, in provincia di Brescia. È la più giovane vittima italiana del coronavirus ed era una persona con disabilità. Il primo caso di contagio nel bresciano riguardava un educatore, fortunatamente poi guarito: ma il contagio fra i ragazzi del Centro c’era stato. «E non è motivo di sollievo avere conferma che saranno proprio gli anziani e le persone più fragili a soccombere a causa del Coronavirus», annota con amarezza. L’imminente nuovo decreto del Governo, che si attende ad horas, dovrebbe tenerne conto.
Questi provvedimenti però, continua Speziale, «dovrebbero prevedere il contestuale avvio di attività e supporti che devono essere assicurati alle famiglie al cui interno vive una persona con disabilità o non autosufficiente, in particolare con maggiore gravità. Ciò in quanto queste famiglie, se lasciate da sole, come ci viene denunciato in queste ore da più parti, si troverebbero a gestire un carico insostenibile e con conseguenze drammatiche. Ovviamente, anche in caso di supporti erogati a domicilio – ma in molti casi sarebbe anche sufficiente almeno un servizio di counseling che potrebbe essere garantito a distanza dagli stessi operatori che avevano in carico le persone e le famiglie nei vari servizi – vanno approntate misure per garantire la salute degli operatori e delle stesse persone con disabilità e dei loro familiari. Nei casi più complessi, non gestibili a domicilio, si dovrebbero trovare, altresì, idonee soluzioni, d’intesa tra ente pubblico, famiglia, gestore e personale coinvolto».
Foto in apertura Matteo Biatta/Ag.Sintesi