“La lotta paga” è una espressione che ha un significato profondo per noi.
Ci permettiamo di usarla quando, attraverso l’organizzazione e il difficile processo di sintesi tra persone e teste diverse con bisogni diversi si riesce ad arrivare ad un risultato che altrimenti non avremmo potuto raggiungere.
Ben consapevoli del fatto che la bontà del risultato non ha carattere assoluto, ma dipende da mille variabili, prima fra tutte la soddisfazione di lavoratori e lavoratrici interessate dalla lotta.
Ricapitoliamo la storia:
a novembre l’azienda DFS Italia, parte del gruppo Louis Vouitton Moet Hennessy (gruppo che si occupa della commercializzazione di beni di lusso che nell’anno 2023 ha prodotto l’utile record di 15 miliardi di dollari), annuncia la chiusura del negozio del Fondaco dei Tedeschi.
Il Fondaco dei Tedeschi è stato un palazzo storico di Venezia di proprietà delle poste, venduto successivamente al gruppo Benetton che ha vincolato la disponibilità a ristrutturarlo al cambio di destinazione d’uso: in questo modo uno spazio di proprietà pubblico è diventato un immobile ad uso commerciale, in centro a Venezia, garantendo di poter chiedere un affitto record: 8 milioni di euro all’anno.
Nel 2016 il Fondaco dei Tedeschi riapre i battenti come centro commerciale di lusso: un pugno nell’occhio nel centro di Venezia, una struttura ad uso unicamente turistica, con beni di lusso venduti a peso d’oro.
Dopo 8 anni e 100 milioni di perdite la società decide di chiudere, con un annunci ai giornali: i lavoratori lo apprendono dai giornali e fin da subito sembra evidente che l’unico interesse sia quello di risolvere il “problema” dei dipendenti diretti, mentre per i lavoratori dell’indotto non viene prospettato nulla.
Ci sono volute 7 giornate di sciopero duro al magazzino e 6 presidi davanti al negozio del Fondaco dei Tedeschi per far passare un concetto: non accettiamo la divisione tra lavoratori diretti ed indiretti, anche per i lavoratori del magazzino di Quarto d’Altino deve essere riconosciuto il disagio dovuto alla chiusura del negozio.
La mobilitazione dei lavoratori del magazzino DHL di Quarto d’Altino è stato un percorso che ci fa dire che si, effettivamente la lotta paga, per molti motivi.
Primo perché abbiamo ottenuto delle condizioni di accordo equivalenti a quelle dei lavoratori che operavano direttamente nel negozio del Fondaco dei Tedeschi, che chiuderà i battenti a fine aprile 2025: di fatto viene riconosciuto che il disagio patito da tutti i livelli della catena dell’indotto è equivalente, e che quindi deve essere equivalente il trattamento: non esistono lavoratori di serie A e di serie B.
I lavoratori del magazzino riceveranno 1,55 mensilità per ogni anno lavorato: un lavoratore che ha iniziato a lavorare da quanto ha aperto il magazzino 9 anni fa riceverà 14 mensilità, così come un suo collega del negozio del Fondaco dei Tedeschi che ha iniziato a lavorare quando il negozio ha aperto. In aggiunta a ciò l’azienda mette sul piatto una cifra aggiuntiva di 2000 euro a lavoratore, come ulteriore incentivo.
Secondo perché al di là della buona uscita abbiamo ottenuto delle garanzie in merito al fatto che, qualora l’attività del magazzino dovesse riprendere grazie a nuovi clienti entro 2 anni a partire da oggi i lavoratori che ci hanno lavorato negli ultimi anni possono esercitare il diritto di precedenza: siamo lavoratori di quel magazzino, al di là delle aziende in appalto che dovessero susseguirsi.
Come abbiamo già detto, il costo sociale della perdita del posto di lavoro a tempo indeterminato è difficile da quantificare economicamente: in un mondo che vincola molti dei diritti base al possesso di un posto di lavoro fisso, saremmo superficiali a entusiasmarci per le cifre che abbiamo raggiunto: abbiamo vinto la battaglia ma il contesto non è di certo dei più rosei.
Così come ci sarebbe molto da discutere su come i nostri territori siano diventati terreni di conquista per società che usano il proprio brand ed il proprio fatturato per accaparrarsi il posto, senza però nessuna cura del posto in cui sono ospiti: per loro siamo terreni di conquista, da cui cannibalizzare le risorse e da cui andarsene lasciando dietro deserto, impoverimento e abbandono.
La mancanza di prospettiva è qualcosa di cui la c.d. “classe dirigente” prima o poi dovrà rendere conto.
E ci sarebbe molto da discutere su come fondi di investimento, multinazionali, gruppi commerciali e fondi immobiliari tentino di ridefinire il diritto civile e la contrattazione sindacale sulla base di principi a loro più funzionali: chi lo accetta e si piega ad una concertazione al ribasso, non opponendosi a metodi dittatoriali fa del male a tutti e tutte ed ha scelto di schierarsi dalla loro parte, contro la nostra parte.
Quello che possiamo dire però è che due mesi di mobilitazione e conflitto hanno prodotto un piccolo ma significativo risultato e come tutte le conquiste fatte dal basso sono un patrimonio da tenerci stretti.