di Maia Pedullà
Innanzitutto esprimo la vicinanza a chi ha fatto lavoro politico quotidiano negli ultimi anni con Olol, alla sua compagna, ai suoi compagni, a chiunque gli abbia voluto bene. Vi mando abbracci, solidarietà, affetto. Io non l’ho visto per anni e sono straziata. Nel pensare a Olol penso anche a voi, e spero che questo vi sia e ci sia un po’ di conforto.
Il 20 ottobre 2016 arrivo al Bocciodromo, a Vicenza, con i miei due trolley pieni di sex toys, preservativi, femidom (preservativi vaginali), lubrificanti e tanti oggetti di uso comune pervertibili per il piacere.
Arrivo e chi vedo? “Ma si tu che fai sta roba???!”. Olol mi allarga un sorriso dei suoi, di quelli che ti arrivano dritti, fatti anche con gli occhi, che brillano, non solo con la bocca. Ci chiediamo, quasi all’unisono, da quanto tempo non ci vediamo. Ed è abbraccio stretto. Io non vivo in Veneto da anni, da Vicenza non passo da tempo, e ultimamente, soprattutto per la sua instancabile militanza nell’ADL, lui è molto assiduo nel suo attivismo locale. Bazzichiamo giri diversi, e non solo per caso.
Sono lì, invitata dal collettivo “We Want Sex” per tenere un laboratorio, “Giochiamocela!” (“sui sex toys, e sguardi obliqui sul piacere”. Un pretesto per parlare di sessualità, safer sex, ovvero “sesso più sicuro”, prevenzione di Malattie Sessualmente Trasmissibili, pratiche sessuali incentrate sul piacere e non sulla riproduzione, consenso nelle relazioni e altro).
Olol è lì quella sera perché c’è sportello legale dell’ADL.
Le compagne mi propongono di coprire il tavolo allestito con tutti i miei giochini, finché c’è sportello. “Non copriamo proprio nulla” – dico. Chiedo sempre uno spazio sicuro e protetto durante i laboratori, in cui chi partecipa si possa esprimere, ma lo spirito non è quello di rendere segreta o oscena la sessualità – anzi l’opposto. Altrimenti non ne usciremo mai, da questa logica di segreto, vergogna, invisibilizzazione della sessualità delle donne, delle froce, delle lesbiche, degli stessi maschi cisgender, che costituisce una delle basi della violenza maschile. E che perpetua lo stigma che divide “per male”, e “per bene”, separa la sessualità legittima da quella illegittima. Se qualcuno che è lì per lo sportello ha voglia di curiosare, per me, sarebbe il massimo.
Proprio di questo parliamo lungamente pochi giorni dopo con Olol al telefono. E’ lui a contattarmi, mi chiede se possiamo parlare. Hanno avuto un’assemblea in cui ci sono stati conflitti o incomprensioni su quello che è successo, su questo fatto del coprire, sulla coesistenza di spazi e sensibilità, e lui vuole capire.
Voler capire, volersi capire, confrontarsi realmente.
E’ solo un piccolo episodio. Avrebbe potuto fregarsene, o risolverla nel contesto del Bocciodromo, fosse in maniera autoritativa, a pacche sulle spalle o attraverso la discussione. Invece no. Ci teneva a capire cosa ne pensassi io, cosa fosse successo secondo me, voleva spiegarmi che da parte sua non c’era stata alcuna imposizione, voleva capire se e cosa gli era sfuggito. La politica è tutta la vita, anche nelle modalità di relazione, non un settore di esperienza compartimentato. Questo per me era Olol, e per quest’attitudine si è sempre meritato il mio rispetto.
Parlando è emersa la questione della possibilità che ci fosse stata una forma di automatismo, nella gestione dello spazio del Bocciodromo, di separazione di ambiti e soggettività con scarsa condivisione progettuale comune (“i migranti”, “i lavoratori della logistica”, “le lesbiche e le femministe” del collettivo) voleva capire perché e come risolvere questa aporia, attraverso il confronto. Il confronto prima di tutto, come metodo. Parole sue, che ha ripetuto spesso durante la chiacchierata. E’ facile e importante poter parlare, se l’atteggiamento è questo, anche partendo da prospettive diverse, ed è solo una delle ragioni per cui sono davvero addolorata che il mondo abbia perso una gioia come lui.
Nella nostra ultima telefonata ha parlato tanto e ha tanto ascoltato. Nel dialogo ha riflettuto amaramente che sì, quello spazio come tutti non è esente da problematiche legate a gerarchie di genere né da forme diversificate di violenza sessista, e che “da lavorare ce ne sarebbe”: “fatelo, facciamolo! Io ci sono” – poco più di un mese dopo si sarebbe tenuta la manifestazione a Roma di Non Una Di Meno, una marea di centinaia di migliaia di persone contro la violenza maschile sulle donne. Anche per questo ero andata, per avere sensori e fare un po’ di propaganda occulta (eheh), e gliel’ho ovviamente detto. Mi ha risposto che sì, alcune problematiche non se l’era poste, ma come gli avevo visto fare anni addietro, ragionava velocemente con la massima empatia. Mi sono fatta promettere che sul bancone del bar, accanto alle bustine di zucchero, ci sarebbero stati anche dei preservativi. “Contaci, dobbiamo arrivare a farlo”. Io ho rilanciato, in un gioco di messaggi: “Allora anche assorbenti nei bagni!”. E siamo andati avanti così.
Sono l’ultima a poter parlare di Olol, con cui non ci siamo frequentati negli ultimi anni – nonostante abbiamo condiviso fin da giovanissimi le stesse battaglie, ho meno di una manciata d’anni meno di lui, e anch’io ero una minorenne facinorosa. Del resto, per dar voce agli ultimi, ai marginalizzati, a chi non ha diritto di parola e di conflitto, ha speso la sua vita. E in questo gli sono complice e grata. Uno dei pochi maschi alfa che di alfa aveva davvero poco o nulla.
Olol spero che il tuo ricordo non sia memorialistico, ma onesto, come lo sei stato tu: curioso, generoso al midollo, attento alla dimensione collettiva e a ciascun* allo stesso tempo. Me l’hai dimostrato, ancora una volta, in questo nostro ultimo scambio. Ma l’hai dimostrato con il tuo impegno di una vita. Ho visto la capacità di trattare fra pari con i lavoratori e le lavoratrici, migranti da tutte le parti del mondo, l’attenzione, la passione, la riconoscenza e il reciproco riconoscimento – competenze che si sviluppano – ma nel tuo caso, credo, un modo di essere da sempre, e una ragione di esistenza.
Con affetto e stima. Triste, perché con un pezzo del mio mondo in meno.
Maia