Il Tribunale di Milano riconosce il diritto del dipendente a percepire un trattamento retributivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e, in ogni caso, sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
Il 30 marzo 2023 il Tribunale di Milano ha condannato la C.I.V.I.S. a corrispondere le differenze retributive a favore di una dipendente che aveva chiesto, tramite lo Studio Gianolla – D’Andrea, la nullità degli articoli 23 e 24 del CCNL Servizi fiduciari e il diritto a percepire una retribuzione che rispetti i principi dell’articolo 36 della Costituzione: una norma fondamentale e necessaria, perché garantisce il diritto ad un retribuzione proporzionata e sufficiente.
Sono parole semplici, al punto da sembrare astratte e retoriche, dalle quali è difficile discostarsi o affermarne il contrario. Ma solo a livello teorico.
Nella pratica, invece, è fin troppo semplice allontanarsi dal principio costituzionale, fino a dimenticarsene per relegarlo nella moltitudine di tabelle salariali riportate nei 922 contratti collettivi nazionali di lavoro vigenti in Italia.
Accade quando una società decide di applicare ai propri dipendenti le tabelle salariali di un contratto collettivo – come quello della Vigilanza e dei Servizi Fiduciari – che prevede un trattamento salariale non adeguato ai principi di proporzionalità e sufficienza.
Per inciso, il CCNL Vigilanza e Servizi Fiduciari è stato sottoscritto da CGIL e CISL, due organizzazioni sindacali considerate tra quella maggiormente rappresentative.
Il dipendente, quindi, chiede l’illegittimità del CCNL applicato al proprio rapporto di lavoro in quanto la retribuzione prevista non risulterebbe rispettosa del principio stabilito dall’articolo 36 della Costituzione (oltre al danno per usura psicofisica per l’abnorme quantità di lavoro straordinario imposto, senza pause).
Il Tribunale di Milano, a fronte delle richieste del ricorrente, analizza l’art. 36 sotto due profili:
il primo, relativo al diritto ad una retribuzione “proporzionata” (criterio della proporzione), nel senso che assicuri al lavoratore una ragionevole commisurazione della propria ricompensa alla quantità e qualità dell’attività prestata;
il secondo, invece, al diritto ad una retribuzione “sufficiente” (criterio della sufficienza), per stabilire la quale è necessario riferirsi al determinato periodo storico e alle condizioni concrete di vita esistenti, e valutare se l stessa ricada sotto il livello minimo necessario ad assicurare al lavoratore un’esistenza libera e dignitosa.
Quest’ultimo criterio si ritiene sussidiario rispetto a quello della proporzionalità alla quantità e alla qualità del lavoro, nel senso che, accertata l’adeguatezza della retribuzione sotto tale profilo, il ricorso al criterio della sufficienza è utile a stabilire un’eventuale revisione della stessa in considerazione della situazione familiare del lavoratore.
L’Art. 36 come parametro “esterno”
I contratti collettivi, normalmente, sono elevati a parametro per la valutazione della congruità della retribuzione, poiché la contrattazione collettiva dovrebbe rappresentare l’esito di un ampio confronto tra le parti rappresentanti gli interessi datoriali e quelle rappresentanti gli interessi dei lavoratori.
Tuttavia, tale valutazione può essere superata quando le circostanze di fatto portino a ritenere che anche la contrattazione collettiva abbia individuato minimi retributivi non rispettosi del dato normativo. La retribuzione prevista dal contratto collettivo, quindi, acquista solo una “presunzione” di adeguatezza ai criteri di proporzionalità e sufficienza, una presunzione non assoluta: l’eventuale inadeguatezza può essere accertata attraverso il parametro di cui all’art. 36 della Costituzione, che è “esterno” rispetto al contratto.
Tale previsione attribuisce al giudice il potere discrezionale di adeguare la retribuzione secondo i criteri di proporzionalità e sufficienza, prestando la massima prudenza e con precisa motivazione.
Per effettuare una valutazione del genere è necessario avere dei riferimenti o parametri, ovvero degli elementi di valutazione concreti.
Gli elementi-parametro
Il primo confronto è svolto tra I CCNL che regolamentano il medesimo settore, e quindi il CCNL Servizi Fiduciari, applicato dalla C.I.V.I.S., il SAFI (sottoscritto dalla UIL) e l’AISS, (firmato dall’UGL).
Per le mansioni svolte dalla ricorrente – servizi di accoglienza, reception, portierato, custodia, guardiania – le retribuzioni sono le seguenti:
il CCNL Servizi Fiduciari prevede una retribuzione lorda mensile di 980 euro. Applicando le aliquote fiscali e previdenziali, la retribuzione netta è di 685,25 euro, per tredici mensilità, con una retribuzione oraria pari a 3,96 euro;
il CCNL SAFI prevede una retribuzione lorda mensile di 1.017,24 euro. La retribuzione netta è di 711,19 euro, per tredici mensilità, con una retribuzione oraria pari a 5,88 euro;
il CCNL AISS prevede una retribuzione lorda mensile di 929,01 euro. La retribuzione netta è di 649,60 euro, per tredici mensilità, con una retribuzione oraria pari a 5,37 euro.
La ricorrente, però, ha posto all’attenzione dei giudici ulteriori elementi di valutazione, non meno importanti:
- i dati Istat relativi alla soglia di rischio di povertà, che individuano quale indice di povertà assoluta una soglia che varia da euro 819,13 del 2015 ad euro 839,78 del 2020. Secondo il Tribunale, però, tale criterio non può essere considerato un parametro tout court ma può essere rilevante solo a livello indiziario;
- il reddito di cittadinanza, che prevede un ammontare complessivo mensile pari ad euro 780,00, indicato dal legislatore quale valore del beneficio di una misura che rappresenta un “livello essenziale delle prestazioni”;
- la NASPI, ovvero l’indennità di disoccupazione, la cui misura massima è pari ad euro 1028,25 al netto degli oneri fiscali, sebbene in concreto sia previsto un trattamento pari al 75% del valore della retribuzione mensile percepita;
- la CIGO, ovvero la Cassa integrazione guadagni ordinario, che prevede un’integrazione salariale per i lavoratori sospesi temporaneamente dal lavoro, con l fine d’integrare o sostituire la retribuzione.
Se si considerano questi elementi parametro, tutti i CCNL del settore Servizi Fiduciari prevedono retribuzioni oggettivamente insufficienti rispetto ai canoni di cui all’articolo 36 della Costituzione, tanto più se si considera che gli ultimi tre parametri rappresentano forme di sostegno al reddito se non livelli di prestazione essenziali.
Di conseguenza, si può fare ricorso ad altri CCNL, anche solo in parte affini, ma che non si discostano dall’ambito di categoria rappresentato dai Servizi fiduciari.
I cosiddetti “CCNL-parametro” posti a confronto, quindi, sono il Multiservizi e il Proprietari di Fabbricati, che riconoscono retribuzioni superiori al reddito di cittadinanza, alla Naspi e alla CIGO e possono essere ritenuti dei validi ed effettivi parametri per ritenere non proporzionata e non sufficiente – secondo la dizione dell’art. 36 – la retribuzione prevista dal CCNL Servizi fiduciari.
Il Tribunale ha, così, riconosciuto l’inadeguatezza del trattamento salariale erogato dalla C.I.V.I.S. alla lavoratrice nel corso del rapporto e ha accertato la nullità degli articoli 23 e 24 del CCNL censurato poiché in contrasto con l’art. 36 della Costituzione, riconoscendo il diritto della ricorrente a percepire una retribuzione corrispondente a quella prevista, per le medesime mansioni, dal CCNL Proprietari di Fabbricati.
La C.I.V.I.S., quindi, è stata condannata a corrisponderle le relative differenze retributive maturate nel corso del rapporto di lavoro.
Dopo l’ennesima sentenza di un tribunale che impone il rispetto dei principi di proporzionalità e sufficienza, ci si chiede se non sia arrivato il momento di una legge che appresti un sistema di tutele universale per tutti i lavoratori e le lavoratrici, non soggetto a rapporti di forza squilibrati, e che li tuteli dal lavoro povero.
E che affermi, in maniera chiara e precisa, che “un’esistenza libera e dignitosa” deve essere garantita a chiunque, comunque e in ogni caso.