Come organizzazione sindacale abbiamo aderito con convinzione alla campagna contro la violenza sulle donne promossa dalla rete “globale” Non una di meno.
Abbiamo deciso di aprire, la scorsa settimana, la nostra assemblea generale dei delegati con un intervento che voleva ribadire il nostro totale rifiuto ad ogni forma di violenza di genere. In questa occasione abbiamo affermato tutta la nostra solidarietà e tutto il nostro impegno contro la violenza fisica, verbale, mediatica, politica. Maschile. Fascista. Istituzionale. Dei leader di partito e dei “giornalisti” che sta caratterizzando gli ultimi tempi
I fatti di cronaca devono spingerci a trovare nuove pratiche per dare forza e aiuto alle donne, dare loro strumenti per fuori uscire dalla violenza, e allo stesso tempo devono portarci a discutere ancora di violenza di genere e razzismo e di come fare a contrastarli, impedendo che il corpo delle donne sia ancora una volta usato strumentalmente per giustificarli.
Vi sono delle profonde discriminazioni che le donne vivono dentro e fuori il mercato del lavoro.
Difficoltà di conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, sovraccarico del lavoro domestico, la scarsa offerta pubblica di servizi all’infanzia, condannano sempre più spesso le donne alla disoccupazione forzata e al ruolo di supplenti permanenti del welfare state in via di estinzione. Il tasso di occupazione femminile in Italia si ferma al 48,5%, contro il 61,2% nella UE (peggio di noi solo la Grecia). E’ evidente, a partire da molte storie comuni di bassa e intermittente contribuzione, quale sarà, nei prossimi decenni, l’entità della povertà femminile in vecchiaia.
In un paese in cui ogni due giorni una donna viene uccisa, in cui la nuova povertà riguarda principalmente le donne, in cui il tasso di disoccupazione femminile è altissimo, come quello, del resto, del differenziale salariale, l’elemento della dipendenza economica continua a pesare come un macigno sulla possibilità per le donne di intraprendere percorsi di fuoriuscita da relazioni violente e di autodeterminazione.
Per questi motivi la nostra attenzione d’intervento si deve concentrare per combattere la disparità salariale e i meccanismi di ricatto – che colpiscono soprattutto le lavoratrici e i lavoratori migranti – con un salario minimo dignitoso almeno su scala europea. Dobbiamo insieme rifiutare il ricatto della precarietà, dei salari da fame, delle molestie e delle violenze sui luoghi di lavoro. Dunque il lavoro inteso come strumento di autodeterminazione, di autonomia e di liberazione e non come forma di schiavitù.
La battaglia contro la violenza di genere e il razzismo deve vederci tutti accomunati in una lotta contro il modello di società che non elimina lo sfruttamento ma che lo alimenta e cerca addirittura di costruire gerarchie di potere per cui anche molti sfruttati sono convinti che il loro bersaglio siano i soggetti ancora più deboli la cosiddetta guerra tra poveri dove sostanzialmente c’è sempre uno più sfortunato di noi a cui dare la colpa delle nostre difficoltà. Si tende a costruire una finta identità come per reazione per cui ad esempio il lavoratore maschio si sente superiore alla lavoratrice donna e il lavoratore bianco si sente superiore agli altri e noi dobbiamo rompere questo meccanismo diventando tutti portatori di diritti uguali per tutti! Solo così potremmo decostruire la piramide del ricatto a cui siamo assoggettati.
Per questi motivi, oggi siamo vicine/i alle tante donne che si riapproprieranno delle strade e delle piazze per respingere sessismo e razzismo giocato sui corpi delle donne native e migranti che siano, e per chiedere, oggi nella giornata mondiale per l’aborto libero, che l’interruzione di gravidanza sia ovunque depenalizzata, garantita e sicura, un diritto per le donne di tutti i paesi. Per essere libere dalla paura e unite nella solidarietà